Togliersi la sete col prosciutto

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21 Agosto 2018

Ci sono ricordi che salgono improvvisamente la scala della memoria. Due giorni fa, di fronte ai ai fischi agli esponenti del PD al funerale delle vittime del Ponte Morandi, mi è tornato in mente mio zio che leggeva il Corriere in un giorno di Settembre di tanti anni fa. Eravamo a Porto Azzurro, all’Elba, dove lui e mia zia avevano una piccola casa. Mio zio era un alto dirigente della Longanesi, un toscano trapiantato da giovane nel Nord e poi a Milano, ma con forti radici ancora nella sua Toscana. Era un socialista, apprezzava molto il PSI milanese. Letta improvvisamente una notizia, sbottò: “sarebbe l’ora che questi ‘romani’ cominciassero a lavorare”; e per romani intendeva i politici che stavano a Roma, senza distinzione. Erano i primissimi anni novanta e la Lega Nord del Senatur stava diventando popolare. Ricordo che Mario Spagnol, altro grande dirigente della Longanesi e amico di mio zio, considerava la Lega una forza di rinnovamento, o almeno così avevo capito.

Avevo quasi diciotto anni, da sempre mi appassionava la politica, e quella frase mi colpì. Per il suo crudo qualunquismo, strano in bocca ad un uomo di lettere, un socialista. Avevo simpatia per il PSI, mi sembrava un partito rapido nel capire la società, deciso nell’affrontare i problemi. Mi piaceva Claudio Martelli, molto più di Craxi: liberal nella vita e nell’approccio politico, eccellente oratore.

Questo insignificante aneddoto, il primo tangibile “qualunquismo” della mia esperienza politica, me lo sono portato dietro per anni come un monito. Con l’esperienza di una famiglia di sinistra storica, il rozzo dividere il mondo in buoni e cattivi sulla base della capacità di lavorare, della geografia, della storia personale, non mi è mai piaciuto. Eppure, in qualche modo, aveva fatto breccia –forse solo per un minuto- anche in un uomo colto come mio zio. Lo tsunami di Mani Pulite iniziò poco dopo, e travolse persone ben più colte e riflessive di lui.

La violenza morale –e talvolta fisica- che accompagnò Mani Pulite me la ricordo bene. E mi ricordo bene come buona parte della sinistra di opposizione, e della stampa di sinistra (tipo l’Espresso), strillasse alla ricerca della rapida “verità” giudiziaria. I “romani”, ovvero i partiti storici, erano tacciati di corruzione; ed invero il finanziamento oscuro delle bustarelle era endemico. Ma furono travolti in un soffio di vento partiti storici nati dalla sofferenza dei militanti, radunatisi intorno ad idee, speranze, lavoro. Il popolo, che per Victor Hugo talvolta ritorna folla, aveva deciso: le streghe dovevano essere bruciate. Chi non ha vissuto quegli anni non può capire, e lo scuso anche della timidezza sul presente. Il lancio delle monetine contro Craxi, atto di giustizia-fai-da-te maramaldo e tragico da parte di una folla ululante, ne rappresenta forse l’apice. Ma la lettera del povero Sergio Moroni al Presidente della Camera Napolitano, prima di suicidarsi, rappresenta un drammatico monito della disperazione che può provare un uomo solo quando è braccato dalla folla. Spero che qualche ragazzo trovi la voglia e il tempo di leggerlo, sarebbe il successo più bello di questo post.

Ho sempre votato la sinistra democratica, perché credo nella libertà e nella solidarietà. Ma ho sempre sostenuto leader e cercato di votare politici che non condividessero il giacobinismo e la spettacolarizzazione mediatica delle procure. Ho sempre pensato che, nonostante il giacobinismo si riproponesse a sinistra negli anni di Berlusconi, questa malattia infantile sarebbe infine scomparsa. Un giorno ci sarebbe stata, ragionavo, una classe dirigente capace di comprendere che vellicare le “pulsioni” del popolo fosse l’atto più reazionario ed illiberale della politica; che la sinistra che emoziona e cambia la società, quella di Roosevelt, di Kennedy, di Mandela, del Nord Europa, financo in parte di Togliatti, non è mai stata forcaiola. Ha sempre creduto nel diritto e nei diritti dei cittadini. Sono toscano, e la pena di morte fu abolita nel mondo nel 1786 in Toscana, primo Stato al mondo. E pensavo che un giorno anche il retaggio della “diversità” berlingueriana, preso a pretesto spesso dal giacobinismo, sarebbe stato declinato non in snobismo e disprezzo per il nemico politico, ma in sforzo positivo per andare oltre i propri limiti a favore degli altri. Ma in vent’anni il demone giustizialista e populista ha fatto ripetutamente capolino, anche solo per frustrazione di non riuscire a sconfiggere Berlusconi in maniera definitiva.

Già, Berlusconi. Ora è un candido ottantenne animalista e con la patente europea di sincero democratico. Ma c’è stato un momento in cui la sinistra e le procure si aizzavano tra loro per dipingerlo come un vile opportunista, moralmente scandaloso, dedito a piegare la politica ai suoi interessi personali. E c’era naturalmente molto di vero in tutto questo. Diffidavo però di quel surplus di ferocia moralista con cui ci si scagliava contro “Papy”, quel voler ridurre un fenomeno politico importante a mera questione giudiziaria. Non avremmo mai vinto così, e sentivo che era un’operazione da appendisti stregoni.

Nel 2006 è arrivata la crisi economica e un paese invecchiato e stanco di anni di poche riforme e sacrifici, è pressochè collassato. Ne ha parlato magistralmente Jacopo Tondelli qui sugli Stati Generali. La risposta, specie a sinistra, è stata modesta. Il PD, nato dalle ceneri delle due culture cattolica democratica e comunista, ha oscillato tra un socialismo liberale delle origini (Veltroni) e degli ultimi anni (Renzi), ed un impianto più socialdemocratico (Bersani), trovando solo a sprazzi la quadra politica. Solo Renzi ha avuto il coraggio di scagliarsi contro il giustizialismo e di credere nella crescita economica, ottenendo buoni risultati economici e sociali. Con tutti i notevoli limiti della suo carattere, anche io ho creduto che Renzi fosse riuscito a far approdare la sinistra definitivamente nel campo liberale e solidale.

Ma, come in un brutto film horror, la stanchezza del Paese, la crisi economica, le riforme drastiche dell’epoca Monti (non tutte condivisibili, peraltro) e le nuove tecnologie che permettono la “manganellazione” da tastiera, –i social-, stavano alimentando nell’ombra quella “bestia” che la sinistra giacobina ha per tanti anni creduto di poter slegare a piacimento. Negli ultimi dieci anni, le accuse di insipienza, inadeguatezza, corruzione, viltà, collusione con i poteri forti, troppe volte scagliate in faccia all’avversario e “sdoganate” come temi politici, hanno fatto breccia nell’opinione pubblica. Convinto da capi politici cinici che la Società è sempre un gioco a somma zero, dove se mi arricchisco io ti impoverisci tu, se arriva l’immigrato tu starai peggio, il popolo, ritornato folla, mandava i “vaffa” ai politici e chiedeva tangibili capri espiatori per il proprio impoverimento, reale o percepito. Molti magistrati, piccoli scandalosi Roberspierre alla ricerca di visibilità e poco interessati al diritto, hanno continuato a fomentare questo clima; si è persino teorizzato che gli unici errori giudiziari sono le assoluzioni, una affermazione tetra da paese dittatoriale.

E infine, il 14 Agosto 2018 la diga ha ceduto. O, se preferite, è caduto lo splendido ponte Morandi della nostra società, che –edificato nell’ottimismo degli anni 60- ci permetteva di attraversare la valle dei nostri ritardi e delle nostre omissioni, e rimanere un grande Paese.

Ora assistiamo al populismo mediatico al potere, sempre alla ricerca di colpevoli per coprire le proprie inadeguatezze. In ultimo, il “governo del cambiamento” ha accusato senza processo “l’avido” Benetton per il crollo del Ponte. Autostrade, probabilmente colpevole di scarso monitoraggio dello stato dell’infrastruttura, è stata in ogni caso picconata senza problemi e fatta franare in Borsa, fregandosene del fatto che in questa Società, così come in tutte le Società, lavorano anche persone umili e tanta classe media. Per questi si vedrà. Ma il mondo economico internazionale è regolato dal Diritto, non dalla folla, e ora ci troviamo davanti la prospettiva di un costoso e lungo contenzioso giudiziario; ne ha parlato il professor Bin qui. Qualcuno spera che M5S e Lega riusciranno a fare in ogni caso l’interesse del Paese, che sia possibile trovare qualcosa di buono nella loro azione. Vorrei essere così ottimista.

In questo frangente, la sinistra giacobina e antiliberale non ha perso nè il pelo nè il vizio. Ha parallelamente cominciato a dibattere contro le privatizzazioni degli anni 90 e il fantomatico liberismo degli ultimi anni. Attendo a breve le prime richieste di giustizia sommaria. Questa sinistra sarà inglobata nella piattaforma Rousseau, che ne rappresenta il logico approdo. D’altro canto in comune hanno la ricerca del nemico e l’idea che prima si redistribuisce, e poi, solo poi, si cresce.

Non è chiaro cosa si prospetti all’orizzonte, ma vedendo i fischi agli esponenti PD è chiarissimo che (come si dice dalle mie parti) ci siamo tolti la sete col prosciutto.

TAG: giacobinismo, giustizialismo, populismo, Sergio Moroni
CAT: Giustizia, Partiti e politici

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