Ricomponendo i frantumi del sogno

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8 Novembre 2014

Se è vero che, come scriveva Orwell, “chi controlla il passato controlla il futuro”, allora l’unico antidoto contro le forze che hanno tentato di depistare il nostro futuro è riannodare i fili della memoria, rimettendo insieme i frantumi di quel “sogno” (il progetto repubblicano dei Costituenti?) che la strategia della tensione, tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, ha fatto saltare in aria, riducendolo, con la violenza fascista, al silenzio di una disperata indifferenza.

Il 12 dicembre 1969 alle 16:37 a Milano, Il 28 maggio 1974 alle 10:12 a Brescia, il 2 agosto 1980 alle 10:25 a Bologna, il 23 dicembre 1984 alle 19:08 in una galleria tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro si sono fermati orologi e parole che oggi ritrovano senso e fiato grazie a “Il sogno di una cosa”, opera per il quarantennale della Strage di Piazza della Loggia, in scena da giovedì 6 a domenica 9 novembre al Teatro Strehler di Milano, nell’ambito di un progetto dal titolo “Osservatorio sul presente: legalità”, oltre un mese di spettacoli e dibattiti nelle tre sale del Piccolo Teatro, nel Chiostro Nina Vinchi, in Università Statale e presso la Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera.

“Il sogno di una cosa” nasce dal felice incontro del musicista Mauro Montalbetti con il regista, attore e autore Marco Baliani e la regista cinematografica Alina Marazzi. Un’alchimia capace non soltanto di ricreare la multimedialità della tragedia greca (musica e parola, azione scenica e danza, con la novità delle bellissime installazioni video di Marazzi), ma anche di attualizzarne la funzione politica. È infatti la piazza-agorà che diviene protagonista, con il suo spazio sociale e politico, con i suoi portici che accolgono il coro delle vittime e dei superstiti (tutti noi). Ed è la statua stessa della Bella Italia, monumento alle Dieci giornate che fecero di Brescia la Leonessa d’Italia, (ad un tempo immagine proiettata e personaggio in scena) a prestare, sul finale, corpo e voce (quelli di Alda Caiello) alle vittime della strage, chiedendo agli “eletti del popolo” verità, sola “guarigione” per questo “nostro Paese”. La partitura di Montalbetti, efficacissima e coinvolgente, si integra come un protagonista vero e proprio nei diversi quadri scenici, ciascuno autosufficiente, esprimendo alla perfezione lo sforzo di composizione della memoria, la fatica e il desiderio di ricombinare i pezzi del puzzle della trama. Quella oscura, così come quella delle vite oscurate. Vite dette, cantate e danzate dagli allievi del terzo anno del corso di Teatrodanza della Scuola “Paolo Grassi”, che hanno trovato in questo progetto, come i giovani dello IED, un’occasione per diventare più grandi, come artisti e come cittadini. Loro nel 1974 non erano ancora nati, così come i ragazzi delle scuole, che in parecchi, con i loro docenti, erano presenti alla prima delle quattro rappresentazioni, giovedì. È a loro che  passa il testimone.

(Fino a domenica 9 al Teatro Strehler di Milano).

 

TAG:
CAT: Giustizia, scuola, Teatro

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