DETMOLD: RICERCA DI UNA TARDA GIUSTIZIA

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11 Febbraio 2016

Auschwitz è stato uno dei luoghi più spaventosi della storia tedesca, esordisce Christoph Heubner vicepresidente esecutivo dell’ufficio berlinese del Comitato Internazionale che dà voce agli ex deportati del lager nazista, parlando mercoledì 10 febbraio a Detmold di fronte ad una trentina di giornalisti. Nel lager c’erano circa 8.200 SS in servizio, ed almeno 6.500 sono sopravvissute alla guerra. Ciò nonostante solo 43 sono state condotte davanti ad un giudice in Germania. Di queste appena 7 condannate a vita e 25 ad una pena detentiva. Tutte le altre sono state assolte.
La ragione dell’incontro è l’apertura l’11 febbraio del processo al 94enne ex SS Reinhold Hanning accusato di aver prestato servizio ad Auschwitz dal gennaio 1943 al giugno 1944. Trentotto le parti civili. Tre di loro, dei sopravvissuti tedeschi: la signora Erna de Vries ed i signori Leon Schwarzbaum e Justin Sonder, sono presenti.
Quello ad Hanning è il primo di una nuova serie di processi ad ex SS in Germania (si veda ne Gli Stati Generali “Memoria dopo il Giorno della Memoria”). Ad essi se ne potrebbero in futuro aggiungere altri -anche relativi al lager di Majdanek- in fase di indagine (oltre a quelli già assegnati a procuratori statali, altri 7 penderebbero innanzi all’Autorità centrale per il chiarimento dei crimini nazionalsocialisti di Ludwisburg), ma è una corsa contro il tempo.
<71 anni dopo la fine delle loro sofferenze ad Auschwitz, i sopravvissuti al lager seguono in tutto il mondo con apprensione e partecipazione questo nuovo e da tempo dovuto tentativo della giustizia e della società tedesche di confrontarsi con il sistema omicida di Auschwitz e di portare una SS che vi prese parte in giudizio> ha scritto Cristoph Heubner prima dell’incontro odierno. <Hanning in tutto questi anni non ha mai detto nulla su Auschwitz, non ha mai cercato i sopravvissuti per un gesto pacificatore, né ne ha mai parlato ai giovani> soggiunge oggi.

 

Per la prima volta l’accusa si estende a tutto il sistema Auschwitz
Si sa che ha ammesso, dopo l’incriminazione, di essere stato in servizio ad Auschwitz 1 ma ha negato di avere mai prestato servizio alle rampe. Il processo contro di lui con l’accusa di concorso in omicidio in 170.000 casi che inizierà domani, spiega però il professore Cornelius Nestler, legale di diverse parti civili, ha un’importanza particolare. Per la prima volta innanzi ad un tribunale tedesco l’accusa non si limita a contestare la sola attività alle rampe, bensì si riferisce all’omicidio di massa organizzato nel suo insieme. Ancora nel caso di Oskar Gröning (condannato in primo grado dal tribunale di Lüneburg nel luglio 2015) il giudizio verteva solo dell’uccisione di persone che poco dopo l’arrivo dei trasporti furono selezionate per l’eliminazione col gas. Adesso la Procura di Dortmund per la prima volta fa quello che aveva cercato di fare tra il 1963 ed il 1965, senza riuscirci appieno, l’allora Procuratore Generale dell’Assia Fritz Bauer, in quello che fu il primo processo tedesco per i crimini di Auschwitz svolto a Francoforte. Contesta cioè all’imputato tutte le modalità di esecuzione dell’omicidio di massa ad Auschwitz, abbracciando anche l’uccisione di coloro che erano troppo deboli o malati per lavorare, così come l’eliminazione degli internati per sistematica denutrizione. Il compito di una SS a guardia del lager consisteva nel favorire tutte le modalità di uccisione dei prigionieri, e non solo la loro morte nelle camere a gas, Auschwitz era in tutto e per tutto una fabbrica di morte.

 

Ciascun superstite ha il suo vissuto da raccontare
Il collega avvocato ed ex giudice Thomas Walther evidenzia che ogni sopravvissuto al lager porta la propria esperienza in sé. Ciascuno ha da solo il fardello del proprio Auschwitz, ed ora dopo più di 70 anni di dolore, perdita, incubi, le parti civili ne daranno testimonianza in tribunale. Giustizia sarà loro data quando ai loro congiunti, non come numeri, ma come individui verrà data voce.
Quello di non essere ascoltati è un peso per molti ex internati. Erna de Vries che ha oggi 92 anni confida che non ha parlato di Auschwitz prima del 1997, non ne voleva sapere niente nessuno prima. <Nessuno me l’ha chiesto, nessuno è venuto e mi ha domandato nulla, non potevo avvicinare io la gente e dire loro volete ascoltare la mia storia?>. Aveva 19 anni quando fu internata ad Auschwitz. Non aveva saputo staccarsi dalla madre e finì con lei ad Auschwitz nel luglio 1943. Nel settembre in seguito ad un’infezione fu destinata al blocco della morte. Il giorno in cui doveva essere uccisa voleva vedere ancora il sole, narra, mentre era disperata una SS si presentò al blocco 25 urlando il suo numero. Himmler aveva ordinato di discriminare i Mischlinge di primo grado, i figli di matrimonio misto come lei, e la SS doveva raccogliere 85 prigioniere. Finì così nel trasporto per Ravensbruck del 16 settembre 1943 e lavorò per la Siemens fino alla marcia della morte. Stette ad Auschwitz “solo” 2 mesi. Sua madre non poteva sapere che lei sarebbe sopravvissuta, ma le riuscì ancora una volta di incontrarla e la lasciò con questo viatico dicendole che avrebbe potuto raccontare ciò che è stato. Testimonierà venerdì 12 febbraio in aula anche se non sa prevedere che reazione avrà a vedersi faccia a faccia con l’imputato.

 

Leon Schwarzbaum: che sia fatta giustizia
Diverso destino ha avuto Leon Schwarzbaum. La famiglia era andata in Polonia, il Paese d’origine della madre, quando non era ancora prevedibile l’oppressione nazionalsocialista. Nel giugno 1943, ad appena 22 anni finì ad Auschwitz, 4 settimane dopo i genitori e non li vide più. Oggi ha 94 anni e ne mostra la foto in anticipazione alla sua testimonianza in aula l’11 febbraio. Cita a memoria il numero che i nazisti gli fecero tatuare e racconta del fumo che usciva dai forni crematori che si levava alto più dei camini stessi, dell’odore pregnante della cane bruciata. Narra di come alle selezioni ci si doveva mettere nudi e girare su sé stessi e, solo se non si figurava troppo dimagriti e macilenti, si aveva la fortuna di vivere ancora. Finché dei capisquadra della Siemens non arrivarono da Berlino per selezionare dei fabbri, o dei meccanici, e lo scelsero. Un’altra schiavitù ma fu la sua fortuna, quantomeno niente più selezioni. In seguito avrebbe comunque dovuto affrontare la marcia della morte da Sachsenhausen.
Stupisce ricordando un episodio di rivalsa. Dopo la guerra riconobbe nel 1946 a Berlino uno dei suoi aguzzini: gli aveva impedito brutalmente di andare a fare i bisogni colpendolo violentemente con il calcio della carabina nel costato, tanto da rimanergli impresso. Vedendolo lì per strada lo acciuffò con un suo amico, Marcel T. che oggi è un medico a New York, narra, e lo portò al comando inglese. Qui gli dissero che avevano un’ora per fargli quel che volevano. Poi lo riconsegnarono. Non sa più dire cosa ne fu. Adesso dice che non picchierebbe più nessuno, ma dal processo che si aprirà l’11 febbraio spera in una tardiva giustizia, soprattutto che l’imputato parli e dica ciò che accadde ad Auschwitz. <Deve raccontare, deve dire la pura verità e spero che la giustizia vinca e sia condannato>.

 

Justin Sonder: nessun SS ad Auschwitz era umano
Dello stesso avviso è il terzo sopravvissuto che interviene all’incontro prima di testimoniare venerdì, Justin Sonder, che con 90 anni è il più giovane. Aveva 16 anni quando i suoi genitori vennero arrestati a Chemnitz. Il 27 febbraio 1943 alle 6 di mattina si presentarono due uomini della Gestapo e presero anche lui. In viaggio con altri disgraziati in un carro bestiame con un solo secchio per i bisogni di tutti; finché Il treno non si fermò e ci furono solo urla. <Era un inferno alla rampa di Auschwitz> dice. Racconta poi ad un gruppo ristretto di giornalisti in modo vivace di quando, a 17 anni, giunse innanzi alla SS che guidava le selezioni <scattai sull’attenti dicendo 17 anni montatore> e questi non disse né a destra né a sinistra, ma a bassa voce gli chiese se avesse parenti in Germania e lui rispose di sì di avere una zia, cosa non vera, era una signora che chiamava zia. La SS lo risparmiò e gli fece scrivere subito una cartolina sotto dettatura, e siccome tremava lo fece appoggiare alla sua schiena. <Scrissi una cartolina in piedi appoggiato alla schiena della SS “Arrivato bene al campo di lavoro di Monowitz” e so che è arrivata all’indirizzo a Chemnitz in Mauerstrasse 74 da questa signora …. un anno dopo all’appello serale mi fu detto di andare subito nella fureria, mi presentai con il mio numero da detenuto .. ed avevo ricevuto un pacchetto dal mio pediatra che aveva avuto notizia della cartolina>.
Sopravvisse a ben 17 selezioni ad Auschwitz. <A chi mi chiede cos’era peggio, rispondo le selezioni, a fianco del lavoro duro e la fame costante>. Al mattino presto, di norma alle 6, una SS spalancava la porta della baracca ed urlava una parola sola: “Selektion”. La più breve che ricorda durò 30 minuti, la più lunga 4 ore. Eri attanagliato dall’angoscia, continua, potevi finire a lavorare per la IG Farben od avere solo 1 o 2 ore in tutto ancora da vivere. Racconta uno degli episodi più drammatici, dopo essere stato operato al ginocchio nel lager. Non aveva lasciato la baracca per un ginocchio gonfio e <la SS medico di servizio era il dr. Fischer, che poi si inabissò nella ex DDR ed esercitò nel Meclenburgo Pomerania>. Questi gli dipinse sul ginocchio gonfio con lo iodio una svastica e sentenziò che un simile ginocchio da elefante doveva essere operato. In infermeria <4 detenuti mi tennero fermo, un quinto mi disse “apri la bocca” e mi ficcò un pezzo di stoffa da mordere perché non urlassi, e senza anestesia mi fu aperto il ginocchio>. Aveva 18 anni e sentore che ci sarebbe stata una selezione. Implorò il medico dell’infermeria, anch’egli un internato il Dr. Groβmann un tempo capo reparto a Berlino, di poter tornare alla baracca. Questi gli disse però che non poteva reggersi in piedi e di stendersi nel giaciglio libero. La mattina dopo alle 5 ci fu effettivamente una selezione e lui dovette farsi sostenere in piedi da un altro detenuto. Le SS mediche lo fermarono, poi con un cenno lo fecero continuare. Furono quindi chiamati i numeri dei selezionati. Due volte. I chiamati dovevano montare sul camion pronto per portarli alle camere a gas. Ma non fu fatto il suo numero, il dottore di Berlino aveva convinto la SS che leggeva i numeri a cancellarlo dalla lista.
Alla domanda se non pensa che l’imputato potrebbe difendersi dicendo di avere semplicemente eseguito degli ordini, risponde deciso che <era possibile non eseguire un singolo ordine, naturalmente comportava ritorsioni, ma si poteva fare, mi è noto>. Sonder, che fu internato anche a Dachau e Flossenbürg, ha già testimoniato contro una ex SS ed è contento che il processo abbia luogo <non è ancora troppo tardi .. c’è stato un crimine .. è da molto tempo che un processo simile dev’essere svolto>. Ed a chi glielo chiede risponde reciso che <ad Auschwitz non c’era nessun SS che fosse umano>. L’11 febbraio, con udienze di due ore, inizierà il processo ad uno di essi.

TAG: Auschwitz, Germania, memoria
CAT: Giustizia, Storia

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