I cinque stelle e l’azzardo morale

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9 Ottobre 2018

Quello del reddito di cittadinanza è diventato un tormentone tragicomico: dalla generosa elargizione universale promessa in campagna elettorale, un po’ alla volta siamo arrivati a una sorta di buono pasto di cittadinanza, da spendere fino all’ultimo centesimo esclusivamente in beni di prima necessità (guai a impiegarlo per spese immorali!) e solo presso negozi italiani. Chi proverà a fare il furbo e a ottenere il sussidio senza averne i requisiti verrà severamente punito, così come chi penserà di goderselo standosene pigramente sul divano; in particolare, sembra che dagli aventi diritto saranno esclusi i bamboccioni, cioè i giovani che vivono a carico dei genitori, non studiano più e non si ostinano a cercare un lavoro che spesso non c’è.

Tra le tante metamorfosi dei pentastellati ascesi alle responsabilità di governo, c’è anche quella degli spensierati assistenzialisti di un tempo in occhiuti e sospettosi distributori di elemosina di Stato. Di Maio e i suoi compari, probabilmente istruiti dal loro tutor Giorgetti, hanno scoperto l’azzardo morale, cioè il rischio che i beneficiati approfittino opportunisticamente della nuova entrata, anziché impegnarsi per uscire autonomamente dall’indigenza.

C’è da dire che tutte le principali misure contenute nella prossima manovra di bilancio sono esposte a rischi simili: la pace fiscale potrebbe restituire serenità a qualche truffatore, oltre che a tanti imprenditori martoriati dalla crisi; la famigerata quota 100 potrebbe permettere a qualche arzillo neo-pensionato di raddoppiare gli introiti, lavorando in nero; la flat tax potrebbe indurre qualche libero professionista a non fatturare giusto quel tanto che gli serve per rientrare nel nuovo regime fiscale favorevole e così via. Ahimè: come dice il proverbio, fatta la legge, trovato l’inganno e non c’è sorveglianza che tenga di fronte all’italianissima tendenza a massimizzare il profitto personale a spese dello Stato. Tuttavia, non è un caso che le preoccupazioni siano sorte solo intorno alla misura più fortemente voluta dal Movimento Cinque Stelle: anche questo è un sintomo dell’egemonia della Lega sul governo, che ha portato in primo piano l’eterna diffidenza del Nord produttivo verso il Sud (dove gran parte dei redditi di cittadinanza verrebbero erogati).

E’ sorprendente che il buon di Maio si sia prestato ad assecondare una retorica “calvinista”, per la quale chi è nel bisogno in qualche modo se lo merita, perché probabilmente è un fannullone e un opportunista. Questo punto di vista, ancorché utile a livello pratico per ridurre la platea dei beneficiari (e quindi il costo della misura), spazza via d’un sol colpo tutta la narrazione populista che ha fatto la fortuna del Movimento: il Popolo saggio e virtuoso, vessato dall’infida casta dei politici, all’improvviso si è trasformato in una plebaglia pigra e furbacchiona da guardare con sospetto e i suoi portavoce, appena promossi al governo del Paese, si sono evoluti in rigidi Custodi della Morale, quindi in una élite simile a quelle che il grillismo delle origini intendeva cacciare a suon di vaffa*****.

Invano ormai il vice premier si affanna a magnificare la manovra del popolo osteggiata dai soliti poteri forti suoi nemici: il patto di fiducia reciproca tra l’elettore qualsiasi e il suo campione politico è irrimediabilmente incrinato. I pochi mesi di esperienza di governo hanno costretto il leader pentastellato a fare i conti con una realtà diversa dalla sua narrazione, ma paradossalmente la linea di frattura non si è aperta sulla irrealizzabilità delle sue tante promesse elettorali: prima ancora, a venire meno è stata l’impalcatura manichea della sua descrizione della società, con i buoni tutti da una parte – in piazza – e i cattivi tutti altrove, nel palazzo. C’è da augurarsi che di Maio raggiunga in fretta la maturità umana e politica necessaria ad ammettere che il bene e il male sono sempre presenti contemporaneamente, ovunque e comunque: per il momento, il giovane leader appare ingarbugliato in una narrazione opposta alla precedente, in cui tocca a un governo paternalista sorvegliare il suo inaffidabile popolo.

L’impasse del Movimento Cinque Stelle è la prova che fare a meno della politica, limitandosi a contrapporre il basso idealizzato e l’alto demonizzato, può funzionare per lo spazio di una campagna elettorale, ma non quando si è al governo. Se si è incapaci di individuare i veri conflitti che attraversano la società, di comprenderne la complessità e di affrontarne i nodi spesso dolorosi, orientandosi con la bussola di un sistema di idee e di valori, la contraddizione è sempre dietro l’angolo: valeva per chi ieri ha provato a ridurre tutto allo scontro tra vecchio nuovo; varrà probabilmente anche per chi oggi contrappone il dentro e il fuori, forse più presto di quanto possiamo immaginare..

(fonte dell’immagine)

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CAT: Governo

Un commento

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  1. cantelmo19 6 anni fa

    silvia bianchi, una domanda prima di tutto. Oltre a fare critiche , saresti capace di risolver i problemi del Paese, per di più scontentar nessuno ? Ma prima della risposta , mi tocca rivelar una componente borghese piuttosto evidente nel passaggio che hai fatto sulle spese immorali. Non avevo idea di quale fosse la tua corrente politica di riferimento ma da questo omologo si evince una malcelata pendenza liberal-borghese molto simile a quella del cosiddetto povero arricchito o dell’operaio imborghesito, nato e cresciuto sotto l’albero del benessere economico e tuttora presente, nonostante il decimo compleanno della crisi. Un italiano ben diverso da quello che è esistito sino al decennio successivo al secondo conflito mondiale: allora sì che i poveri non possedevano altro se non la prole ma soprattutto avevan ricevuto in dono quel valore che nella povertà di oggi è il grande assente ingiustificato: l’UMILTA’. Chi era povero allora, non si struggeva dalla voglia di correr al mercato per poi farsi vedere col vestito più bello, nè tantomeno faceva la corsa ad ostacoli per andar in vacanza oppure pensava a comperarsi un televisore. E sebbeno qualcuno potesse farlo, aveva tuttavia il buon princìpio di condividerlo con gli altri: chi possedeva un televisore invitava a casa gli altri affinchè potessero vederlo. Il successivo boom economico ed il relativo consumismo hanno arricchito e viziato la collettività ed oramai , nonostante la decrescita, parecchie persone che stanno appena sopra la miseria, ragionano in termini di status simbol, confort e uno smodato esibizionismo assistito dal colpevole facebook. Se noi dessimo il reddito di cittadinanza a questa gente senza nemmeno porre il minimo dei filtri , daremmo uno schiaffo morale ai componenti il ceto più basso, ai quali finalmente il R.D.C. consentirà di mangiar in modo regolare senza più le penose rinunce cui è costretto. Prima di tutto è a loro che bisogna pensare e poi vi son altri che si trovan leggermente meglio: se non son benestanti è giusto aiutarli ma senza trasformarli in una nuova classe borghese assistita. Il televisor da 50 pollici in full HD non è un bisogno primario e non si diventa calviniani se vi è la volontà di migliorar le condizioni di chi sta peggio , impedendo ad altri di usar quei soldi per esigenze superflue.

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