Corona virus e Autonomia differenziata

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26 Febbraio 2020

Mi trovo molto a disagio nello scrivere queste righe, perché mi rendo conto che in questo momento il nostro paese vive una situazione di emergenza, e quindi la prima cosa da fare è concentrarsi su come affrontarla.

Tuttavia, anche nei momenti più difficili, occorre sempre pensare a un dopo, alle lezioni che da qualsiasi situazione provengono.

Anche il COVID 19, il “corona virus”, ci insegna qualcosa.

La reazione del nostro Ministero della Salute è stata pronta e tempestiva. Tutte le strutture sono state subito allertate; i presidi medici sul territorio sono stati riforniti di tutto quanto sarebbe potuto servire; si è subito messa in moto la macchina del coordinamento fra i vari enti. Dall’OMS è stato riconosciuto che l’Italia è uno degli stati che ha reagito nel modo più rapido, efficace e, cosa non da poco, trasparente.

Tutto bene dunque? Non proprio!

Quando, nella notte di venerdì 21 febbraio, sono stati rilevati i primi casi nella zona del lodigiano e in Veneto la collaborazione fra i presidenti delle due regioni interessate (Fontana e Zaia) e il ministro Speranza è stata buona.

Tuttavia ci sono state alcune differenze nelle tempistiche: il 21 febbraio, immediatamente, il Presidente della Regione Lombardia,  di concerto con il Ministro della Salute, ha emanato un’ordinanza per fronteggiare l’emergenza. Si è poi dovuto aspettare il 23 febbraio per avere una nuova ordinanza in Lombardia, che sostanzialmente ribadiva e ampliava le misure di quella del 21 febbraio, e una prima ordinanza in Veneto che, fra le altre cose, bloccava le manifestazioni per il Carnevale: due giorni di ritardo, proprio nel fine settimana, quando maggiore è il numero delle persone che partecipavano ai festeggiamenti.

Ciò sicuramente non è intenzionale né colpa di una istituzione piuttosto che l’altra. Il problema è che il Ministero della Salute ha dovuto, a norma delle modifiche introdotte con la riforma del titolo V della Costituzione, sentire le istituzioni preposte e quindi concordare decisioni sostanzialmente simili, seppur in momenti diversi, con differenti enti, e quindi raddoppiare gli incontri, le decisioni… in una parola: un raddoppio della burocrazia.

E, si badi, ciò non è stato neanche voluto dagli stessi presidenti delle regioni. Lo stesso presidente Zaia ha dichiarato, al programma Agorà, di Rai3 che: “ci vuole una regia nazionale. Personalmente io ho sempre proposto in questi giorni che le ordinanze adottate da Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e il Piemonte fossero rese uniche da Nord a Sud, ma anche perché comunque si coinvolge tutta la popolazione in questa partita”. Giustissimo, ha ragione, ma, purtroppo, il nostro ordinamento, che assegna alle regioni il controllo sulla Sanità, impedisce questa regia nazionale!

Poi abbiamo tutti ascoltato in questi giorni le prese di posizione delle varie regioni, ciascuna con i suoi provvedimenti, spesso molto diversi gli uni dagli altri (per avere un efficace quadro della situazione si veda qui ), in alcuni casi addirittura sindaci che hanno tentato di chiudere zone del territorio (emblematico il caso di Ischia).

E, infine, non sono mancate, in tutti questi momenti concitati, anche tensioni fra il Presidente del Consiglio Conte e il Presidente della regione Lombardia Fontana.

Insomma, nonostante la buona volontà degli attori in campo, e, va detto, l’eccellente impegno del nostro Sistema Sanitario Nazionale e della Protezione Civile, la “macchina” si è mossa in modo sicuramente efficace, ma con un notevole dispendio di energia e forse con alcuni leggeri ritardi e contraddizioni che sarebbe stato meglio non ci fossero stati.

Al contrario il ministero dell’Istruzione che, per il momento, è ancora organizzato in modo centralistico, ha emanato, senza indugi, una serie di ordinanze valide per tutto il territorio nazionale, a cominciare da quella del 23 che sospendeva i viaggi di Istruzione. Semplice, veloce, diretto!

Voglio arrivare quindi al nocciolo della questione: cosa impariamo da questa storia?

Nella vita di uno stato esistono momenti in cui vanno prese in modo centralizzato le decisioni più importanti, sia per renderle efficaci, sia per tenere unito il Paese.

Circa l’efficacia ho già argomentato.

Veniamo adesso all’unità del Paese: fortunatamente l’emergenza del COVID19 rientrerà abbastanza rapidamente. Ma che sarebbe successo se ci fossimo trovati di fronte ad una emergenza sanitaria più grave? Se questo virus fosse stato molto più aggressivo e letale? Cosa sarebbe successo se ci fosse stata la necessità di spostare ammalati dagli ospedali di una regione all’altra? Cosa sarebbe successo se ci fosse stata la necessità di spostare personale sanitario da una regione all’altra? Davvero il Ministro della Salute avrebbe dovuto perdere tempo in riunioni con tutti i governatori regionali per convincerli a prendere decisioni che magari potevano risultare impopolari nella regione da loro governata? E che cosa ne sarebbe stato del senso di unità nazionale se fossero partite polemiche politiche del tipo “noi non vogliamo i malati delle altre regioni” o “chiudiamo le autostrade e curiamoli a casa loro”?

Tutto questo non è fantascienza: è nell’ordine delle cose, è normale, purtroppo, quando il potere politico deve rendere conto ad un elettorato locale che, per come stanno le cose, tende sempre di più a rinchiudersi in particolarismi, in localismi, in sovranismi. Si perde inevitabilmente di vista il fine ultimo, l’interesse superiore.

Io sono favorevole, e continuo ad esserlo, ad una autonomia organizzativa, amministrativa, anche molto spinta, con lo scopo di rendere più snella e aderente alle necessità del territorio ogni azione di governo, ma sono sempre stato contrario, e adesso lo sono ancora di più, ad una forte autonomia politica che metta in discussione i pilastri di una unità nazionale, di un comune sentire del Paese: Sanità, Scuola, Giustizia, Sicurezza, Ambiente, Telecomunicazioni, Trasporti, Autostrade, Ricerca… sono tutti ambiti delicatissimi, nei quali occorre un forte controllo centrale.

Era sicuramente molto più funzionale alla gestione di uno stato unitario la situazione che esisteva prima del 2001, quando i poteri delle Regioni, pur significativi, dovevano comunque sottostare a quelli centrali. Dal 2001 in avanti abbiamo avuto una miriade di conflitti di attribuzione di poteri fra Stato e Regioni, e, possiamo vederlo tutti, non sono migliorati né spesa pubblica né spirito di unità nazionale.

In queste settimane, come se niente fosse, sta andando avanti il progetto di autonomia regionale differenziata. Allora io dico al ministro Boccia, e a tutti gli altri: fermatevi, in nome dell’Italia, riflettete sulle conseguenze che potrebbe avere un atto che accelera ulteriormente il processo di disgregazione del potere statale. Ci sono momenti in cui la Storia suona dei campanelli d’allarme, quando siamo ancora in tempo, ed è compito della politica, quella vera, coraggiosa, saperli ascoltare e comportarsi di conseguenza.

TAG: autonomia regionale, coronavirus, sanità
CAT: Governo

Un commento

  1. xxnews 4 anni fa

    dimostrazione classica che nessuno conosce le giuste risposte … il peggio poi è che NON SOLO I POLITICI che dovevano coordinare erano confusi, ma che i CITTADINI SI SONO COMPORTATI DA RAGAZZINI IDIOTI

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