Basta fare un’analisi casalinga dei dati pubblicati dalla stessa app Immuni per capire che in Italia non la sta usando nessuno, fatto che in questo momento potrebbe addirittura rivelarsi un vantaggio per il nostro paese.
Questi sono i dati. Immuni è stata scaricata da 9.200.000 italiani, anche se non sappiamo quanti l’abbiano attivata, ovvero abbiamo inserito i loro dati anagrafici e poi abbiamo dato l’Ok alla applicazione per iniziare il tracciamento dei loro contatti attraverso il canale Bluetooth del cellulare.
Una volta attivata la app, gli utenti possono decidere liberamente se inserire il dato di un eventuale tampone effettuato che sia risultato POSITIVO per il Covid.
Ad oggi, gli utenti che hanno inserito il dato del tampone positivo su Immuni sono 1.202.
Il primo dato è quindi che gli italiani che usano la app di tracing sono POCHISSIMI, perché Immuni è stata lanciata il 1 giugno 2020 e da allora gli italiani risultati positivi al coronavirus sono decine di migliaia (ho rinunciato a calcolare questo dato, perchè i database a disposizione per la consultazione sono piuttosto confusi).
Riporto invece un dato di Wikipedia, secondo cui, dal momento in cui è scoppiata l’epidemia, i positivi in Italia sono stati 542.789.
Un numero decisamente importante, rispetto al quale appare che i dati di utilizzo di Immuni sono a dir poco modestissimi (seppur la app è stata varata in giugno).
Autoquarantena
Fino ad oggi, Immuni ha inviato a 25.556 utenti (assolutamente anonimi) la notifica di essere entrati in contatto con un utente POSITIVO.
Gli utenti che ricevono la notifica sono caldeggiati a mettersi in autoisolamento e contattare il loro medico di base che a sua volta avvisa la ASL di riferimento.
L’utente entra quindi in una speciale quarantena volontaria (di quattordici giorni) che si conclude quando viene effettuato un tampone il cui esito sia NEGATIVO.
I tempi in cui vengono effettuati i tamponi dipendono dalle ASL locali.
Se durante il periodo in cui l’utente si è messo in autoisolamento può accedere allo smart working, continua a lavorare.
Se invece fa un lavoro dov’è richiesta la sua presenza, non è chiaro se abbia il diritto a mettersi in malattia mentre si è autoisolato. In teoria, la possibilità di usufruire di un congedo per malattia dipende dalla volontà dei singoli medici di base, che dovrebbero comunque poter visualizzare la notifica di Immuni sul cellulare del paziente e quindi decidere se concedergli quattordici giorni di malattia retribuita o meno.
Notasi a questo punto che il rapporto tra paziente e medico di base deve essere basato sulla FIDUCIA, perchè l’utente che è stato notificato da Immuni non può uscire di casa per mostrare la notifica del cellulare al proprio medico di base. Né il medico di base è tenuto per legge a firmare un certificato di malattia semplicemente perché l’utente risulta essere entrato in contatto con un positivo da Covid (su questo non vi è infatti nessuna chiarezza a livello legislativo).
Bisogna quindi sottolineare la PROCEDURA POCO CHIARA che deve seguire l’utente che ha ricevuto la notifica, mentre invece sappiamo con certezza che deve chiudersi in casa e possibilmente ricorrere allo smart working, se ne ha la possibilità, e se il suo datore di lavoro è d’accordo. Anche in questo caso, si suppone che sia l’utente a dover inviare uno screenshot della notifica (ANONIMIZZATA, ripeto) al suo datore di lavoro, il quale a sua volta deve avere un ottimo rapporto di fiducia con il dipendente, perchè gli deve concedere lo smart working sulla base di una notifica anonimizzata inviata in modalità digitale (email, eccetera).
Se invece il lavoratore svolge un lavoro in presenza, deve interrompere la sua attività lavorativa per 14 giorni, ma in questo caso non sappiamo se una tale interruzione possa essere trattata come malattia o se invece il lavoratore debba prendere ferie.
Bene, siccome Immuni ha inviato la notifica di quarantena a 25.556 utenti a fronte di circa 1.200 positivi, dobbiamo supporre che Immuni rileva una media di 21 “contatti” da isolare per ogni positivo.
Cinque milioni di italiani chiusi in casa se tutti usassero Immuni
E qui viene il bello. Se tutti usassero Immuni, oggi, 26 ottobre 2020, in cui il numero di POSITIVI in Italia è uguale a 236.684 casi, la app dovrebbe inviare la bellezza di 4,733.680 notifiche! Venti notifiche per ognuno dei 236 mila casi!
Cinque milioni di persone dovrebbero in teoria chiudersi in casa, smettere di lavorare (a meno che non possano ricorrere allo smart working) e fare un tampone entro i prossimi quattordici giorni!
Si fermerebbe l’Italia: chiuderebbero le fabbriche, le aziende, le scuole, e i mezzi pubblici smetterebbero di circolare. Insomma, sarebbe una sciagura!
Se poi di questi cinque milioni di quarantenati ne lavora la metà, non sappiamo neanche se una tale sciagura verrebbe finanziata dall’INPS (nel caso in cui la quarantena venisse considerata malattia) o direttamente dalle tasche dei lavoratori (che dovrebbero prendere ferie).
Ecco perché l’augurio che possiamo fare agli italiani è che nessuno utilizzi per davvero Immuni, una specie di bomba che il nostro buon senso (di italiani) ha disinnescato proprio grazie alla naturale diffidenza per un sistema di contact tracing dove l’utente può doversi chiudere in casa per due settimane, senza che vi sia neanche la certezza legislativa sul fatto che un tale periodo di assenza dal lavoro venga retribuito o meno.
A questo aggiungasi che molti degli attuali POSITIVI al virus (soprattutto se sono giovani) non hanno sintomi o sono paucisintomatici. Non devono quindi andare a cena dai NONNI, dotati di un sistema immunitario più debole del loro, ma di fatto non rappresentano una minaccia per la salute nazionale, non al punto comunque di costringere cinque milioni di persone a chiudersi in casa.
Il tracing funziona se è effettuato dagli epidemiologi e non da un app
L’unica soluzione EFFICACE E SERIA per il sistema del contact tracing è quella adottata per esempio dalla Corea del Sud, dove il tracing viene effettuato direttamente dagli epidemiologi incaricati dal sistema sanitario di individuare tutti i contatti avuti dalla persona positiva. Una volta trovati i “contatti”, li avvisano personalmente e quindi li sottopongono al tampone per il Covid.
Ma non solo, sempre in Corea del Sud, le autorità sanitarie pubblicano quotidianamente i dati relativi ai luoghi dove sono transitati gli utenti risultati POSITIVI ai tamponi, così che le persone che si siano trovate nello stesso orario e nello stesso luogo dov’è passato un positivo, possano contattare le autorità sanitarie e effettuare un tampone (e ricevere istruzioni su come comportarsi durante la quarantena).
Nel modello adottato dalla Corea del Nord, il tracing è di fatto a carico del SISTEMA SANITARIO NAZIONALE, e non dei pazienti che si dovrebbero autotracciare usando una app come Immuni. Insomma, se il sistema sanitario è in grado di effettuare il tracciamento dei contagi in modo efficace (l’epidemia di Covid è stata quasi del tutto battuta in Corea del Sud) non c’è il bisogno di chiedere ai cittadini di utilizzare una app malconcepita per tracciare se stessi e mandare in SCACCO il nostro paese, come sarebbe già avvenuto se gli italiani avessero per davvero utilizzato la app in questione.
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