Rilettura (non renziana) dell’editoriale dell’Economist “per il NO”

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25 Novembre 2016

 

L’abitudine è vecchia e non può essere bollata come prerogativa dell’ultimo governo. Gli editoriali e i vari endorsement provenienti da oltre confine possono essere interpretati a proprio piacimento, a seconda che piacciano o meno.

Se quindi Financial Times e Wall Street Journal appoggiano il SI al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, allora è giusto parlare di riconoscimento della brillante azione del premier, che spinge per le riforme e si batte contro “l’accozzaglia” di chi invece vuole mantenere l’Italia nel pantano.

Quando invece l’autorevole testata straniera (in questo caso l’Economist) dà il proprio sostegno al No, allora è il caso di chiamare in causa “i poteri forti” i quali (è ovvio) vogliono “un’Italia debole” (sic), non in grado di contrapporsi al loro strapotere.

Una breve rassegna stampa dei giornali di oggi rende l’idea di come la vulgata renziana sia stata accolta unanimemente. Dell’editoriale pro-No dell’Economist tutti i giornali, in linea con l’interpretazione a caldo del governo, colgono la voglia di scalzare Renzi e di insediare al contempo un nuovo governo tecnico “alla Monti”.

“Cresce il partito del governo tecnico” titola Il secolo XIX, riportando i timori dell’esecutivo in merito (“In Ue vogliono i tecnici”), e individuando anche il nome del possibile futuro ministro dell’Economia (Bini Smaghi).

Il Sole 24 Ore afferma che “l’Economist vuole un governo tecnico”, e riporta ancora una volta le parole del primo ministro, secondo cui  “Vogliono un nuovo governo Monti o qualcosa del genere, ecco perché non ci starò mai”. A quanto pare, Oltralpe temono un’Italia forte, in grado di farsi valere sulla scena europea, visto che con una vittoria del SI l’Italia diventerebbe addirittura “il paese più stabile d’Europa”.

Anche Repubblica, citando Renzi, chiama in causa “i poteri forti Ue”, decisamente schierati “per il governo tecnico”. Titoli e toni analoghi si ritrovano su Messaggero, Giornale, Corriere della Sera e via dicendo.

In realtà nel citatissimo editoriale dell’Economist si dice anche e soprattutto altro. Come avveniva solo pochi giorni fa per un editoriale del Financial Times, strumentalizzato dai sostenitori del SI, basterebbe non leggerlo in maniera faziosa per capirlo.

Nell’articolo del settimanale inglese la riforma voluta dal governo viene critica nel merito (ricalcando molte delle critiche mosse dai sostenitori italiani del No) e nel metodo.

Senza giurarci troppo attorno, l’Economist afferma che “I dettagli della riforma di Renzi pregiudicano i principi democratici”.

“La riforma non si occupa del principale problema dell’Italia: la riluttanza a riformare”, che – a quanto pare – non è il risultato della sua inadeguata architettura costituzionale.

“Riforme rilevanti, come ad esempio quella del sistema elettorale, possono essere votate anche oggi. Infatti, in Italia una legislatura approva tante leggi quanto quelle degli altri paesi europei”, scrive l’Economist, precisando che se la questione dipendesse dai poteri attribuiti all’esecutivo allora la Francia – con il suo forte semipresidenzialismo – “dovrebbe essere un paese efficiente”, mentre invece sconta la stessa “riluttanza alle riforme” dell’Italia.

Inoltre “Ogni beneficio secondario viene superato dagli svantaggi. Tra tutti il rischio che – nel tentativo di porre fine all’instabilità che ha portato 65 governi in Italia dal 1945 – si  introduca la figura dell’uomo forte. E questo in un Paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è preoccupantemente vulnerabile al populismo”.

Le considerazioni su un possibile nuovo governo tecnico, che gestisca la transizione pre-elettorale in caso di dimissioni di Renzi, compaiono solo nell’ultimo capoverso dell’editoriale.

“Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe che tanti in Europa temono. L’Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico, come ha fatto tante volte in passato”.

L’Economist inoltre concorda col Financial Times sul fatto che una vittoria del No non sarebbe un pericolo in sé la permanenza dell’Italia nell’Area euro. Pericolo che esiste ma che dipende da ben altri fattori. Al massimo potrebbe accelerare la crisi.

“Se, invece, la sconfitta ad un referendum dovesse innescare il crollo dell’euro, allora vorrebbe dire che la moneta unica era così fragile che la sua distruzione era solo una questione di tempo”.

In conclusione l’Economist afferma che “gli italiani non dovrebbero essere ricattati. Renzi farebbe meglio a occuparsi di riforme strutturali, dalla revisione dell’indolente sistema giudiziario al miglioramento del pesante apparato dell’istruzione. Prima l’Italia torna ad occuparsi delle riforme vere meglio è per tutta l’Europa”. Altro che governo tecnico.

@carlomariamiele

TAG: campagna referendaria, Economist, governo, media, referendum, renzi
CAT: Governo

4 Commenti

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  1. beatrice 7 anni fa

    Ho letto con piacere il tuo articolo che trovo perfettamente coerente con l’articolo del The Economist che ho letto in inglese. Il problema è che né Renzi né tanti, troppi italiani conoscono l’inglese per cui non hanno gli strumenti per andare alla fonte di certe informazioni. E possono cadere nella trappola sempliciona di chi gli fa un riassuntino all’acqua di rose. Per denigrare o minimizzare ma sempre pro domo sua.

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  2. beniamino-tiburzio 7 anni fa

    Già si cerca di correre ai ripari. Ormai quasi tutte le Cancellerie europee sono convinte che al referendum il no sarà in forte maggioranza. Quasi tutte le Cancellerie europee sono convinte che ciò innescherà una serie di reazioni a catena sia a detrimento dell’ Italia, sia a detrimento dell’ Europa ( ventre molle dell’ economia mondiale ). La casa sta crollando, puntellarla non serve.

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  3. guido-rietti 7 anni fa

    Ammettendo che non ho letto l’articolo originale dell’Economist, penso che il presente riassunto ragionato sia utilissimo, a parte le polemiche su (alcune? – altre?) testate giornalistiche italiane.
    Vediamo quindi la sostanza dell’articolo dell’Economist come viene riassunto, cioè i motivi per cui “I dettagli della riforma di Renzi pregiudicano i principi democratici”.
    – La riforma non si occupa di… (chi l’avrebbe detto che il benaltrismo non era un vizio esclusivo degli italiani?)
    – Le riforme si possono fare lo stesso… (grazie, poi ci criticano su velocità ed efficacia)
    – Il rischio che si introduca la figura dell’uomo forte in un paese soggetto a… (che esempi… Mussolini fece un colpo di stato, Berlusconi uomo forte???)
    – “Le dimissioni di Renzi potrebbero dar luogo a un governo tecnico operativo” (in “quel” frangente Monti salvò l’Italia, ma grazie, ora preferiamo un governo con maggioranza espressa dagli elettori con gli strumenti per operare).
    In UK non hanno una Costituzione. Forse per questo l’Economist non capisce che questa riforma è il presupposto per rendere più efficace il processo legislativo ordinario, e quindi proprio per fare le “riforme” tipo quelle che auspicano ma nell’ambito di un sistema appunto “costituzionale”.

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  4. giorgio-cannella 7 anni fa

    Ecco i miei due contributi sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 senza alcun accenno alle vicende politiche. Buona lettura.
    http://giorgiocannella.com/index.php/2016/06/03/referendum-costituzionale-italiano-ottobre-2016/ http://giorgiocannella.com/index.php/2016/10/29/referendum-4-dicembre-2016-parte-seconda/

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