La corruzione dei babbei e l’ultra realtà

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25 Marzo 2015

Cercare i colpevoli non corrisponde propriamente con cercare soluzioni. E l’impressione che si ricava anche dagli ultimi giorni di più o meno presunta corruzione che ha coinvolto grandi burocrati, imprenditori e politici sia proprio che l’obiettivo della cosiddetta pubblica opinione non sia quello di trovare la soluzione per le cose che non vanno e continuano a non funzionare, ma cercare un colpevole, vestirlo di tutto punto del ruolo compreso di debolezze private, limiti intellettuali e sudditanze psicologiche e poi sostanzialmente obbligarlo a dare le dimissioni, fare mea culpa, abbandonare la pubblica piazza (momentaneamente).

Non che si parteggi per il presunto colpevole che pur sempre rimane un potente perenne e quasi mai di turno, ma sembra facile leggere in questo atteggiamento non tanto un’azione persecutoria, ma qualcosa di molto simile ad un’azione espiatoria. Già perché l’indignazione montante sembra sempre più simile a quella di una società (o meglio ancora famiglia, clan per non dire congrega) colta sul fatto e che come tale sceglie di ripulirsi non evolvendo, ma escludendo l’elemento che l’ha messa in imbarazzo. Un imbarazzo verso se stessi, verso le occasioni a cui non si ha accesso, verso i ruoli che non si è chiamati a ricoprire e verso le relazioni e le reti sociali a cui non si è in grado di far parte. Solo una questione d’invidia sociale?

Non credo proprio, un movimento pubblico d’indignazione che dopo almeno trent’anni (ma sarebbe più corretto tornare al 16 marzo del 1978 quando la politica di questo paese con il rapimento Moro ha iniziato un lungo viaggio di pantomimica reiterazione) non è in grado di rinnovare i propri decisori in un modo che non sia banalmente solo generazionale e con metodi non del tutto democraticamente limpidi, sta compiendo un movimento strategico in cui il fine non è la soluzione e il superamento dei problemi, ma il mantenimento dello status quo.

Se dobbiamo diffidare dell’azione di governanti scaltri o più spesso deboli, altrettanta attenzione è bene prestare a chi sfrutta l’ondeggiare di un consenso che è sempre più fragile e nasconde le proprie peggiori pulsioni sotto il mantello uniformante di un non voto oggi ormai praticamente maggioritario. Siamo in democrazia, non c’è ombra di dubbio, e la maggioranza in democrazia decide sempre.

Oggi la maggioranza in Italia decide di non votare, di non partecipare e soprattutto di non mutare alcuno degli equilibri fondanti in gioco. Se è vero che la messa in discussione del sistema italiano è venuta negli ultimi vent’anni da personaggi decisamente improbabili è anche vero che la messa in crisi di ognuno di loro non ha generato altro che un restringimento del panorama politico. Se oggi l’alternativa sono Salvini e Grillo, significa che Renzi ha il palco assicurato da una platea di non votanti capaci comunque di renderlo ininfluente e all’occasione – con la complicità dell’oppositore di turno – pronti ad aprirgli una botola in cui farlo cadere.

Nei giorni scorsi si è molto discusso del ruolo del ministro Lupi nell’inchiesta che coinvolge Carlo Incalza capo struttura di missione al Ministero delle Infrastrutture. Non c’interessa qui lo sviluppo di un’inchiesta che sicuramente è doverosa e significativa di un mal costume diffuso, ma appunto il mal costume quando è diffuso non è troppo poco ridurlo a crimine? Un mal costume diffuso è il segno di una società moralista oltre che eventualmente corrotta (come spesso sono i moralisti d’altro canto). Una società che mai ha subito la fascinazione per una teoria del complotto e che in realtà – siano l’indice puntato o l’orologio regalato – si regge su atteggiamenti che si equivalgono per bigottismo e codineria. Un galleggiamento fatto di espedienti in cui la peggior cosa è la scossa (quella reale, quella dichiarata va sempre bene: perché dichiarare è rassicurare), la virata e il cambio di passo.

Giuliano Ferrara pur scagliandosi con non troppa lucidità sullo scandalo e derubricando la corruzione a banale dato di realtà con cui bisogna fare i conti ha comunque scritto uno dei pezzi più lucidi e utili sul tema. Ferrara ha molti torti, ma non certo nel tentare di riportare il discorso sulle cose: quelle da fare e anche da fare con necessità e urgenza. Ferrara non ha mai appoggiato in realtà i movimenti politici di Craxi, Berlusconi e ancor più di Renzi, ha più che altro fatto il tifo per quei leader e probabilmente come lui stesso indica non ci sono alternative se non quella di “rompersi le palle” con la questione morale, e se la scelta è tra immorali e babbei allora meglio gli immorali. Ma la scelta è davvero riducibile a questi due gruppi più un terzo residuale di “fighetti”? In parte, in realtà è più probabile che nessuno voglia ammettere per davvero che è proprio da lì che è necessario ripartire (o partire)

Perché se come dice Woody Allen il vantaggio dell’essere intelligenti è che permette di mostrarsi stupidi e quindi babbei è vero anche come dice Groucho Marx che “non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”. Immorali o babbei comunque sia mai nessuno di noi ammetterà di esserlo o di esserlo stato.

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CAT: Governo, Media, Partiti e politici, trasporti (aerei, ferrovie, navi, bus)

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