Grandi Fratelli
Abbiamo ormai grandi difficoltà a distinguere i linguaggi che ci servono per comunicare, ogni tribù usa i propri codici, spesso fatti di neologismi che si adoperano nel proprio clan.
Ricordo che c’erano, un tempo, i paninari che usavano il loro gergo, e quand’ero giovane, a Palermo, alcune di queste bande di giovanotti di belle speranze (quanto mai orrende, in realtà) usavano il termine “sippino” per gettone telefonico, tra le tante cose. Se chiedeste a un giovane d’oggi di decifrare il termine “sippino” non saprebbe da dove cominciare. In primo luogo perché non saprebbe cos’è il gettone telefonico, in secondo luogo correlarlo alla SIP, società che gestiva la telefonia fissa e le cabine dei telefoni. Cosa sono? Perché uno si rinchiudeva in una cabina per telefonare? Che assurdità!
È già tanto se si chiede cosa significa SIP su alcuni tombini che esistono ancora per strada. Addirittura, in alcune città, come Bologna, su rari tombini c’è ancora la scritta TIMO, precedente alla SIP, e c’era anche la TETI, la TELVE, e altre ancora. Archeologia. Fa riflettere su come il tempo corra, oggigiorno, rispetto al passato, nel giro di pochi anni cambia tutto e si perdono anche le relazioni cogli oggetti. Un telefono colla rotella perforata per comporre i numeri diventa un oggetto da esporre come antiquariato sulla mensola nel salotto, eppure quant’erano più precise, quelle rotelle, di queste tastiere su cui è facilissimo sbagliare numero.
Basta così. Andiamo ai linguaggi.
Oggi i linguaggi sono profondamente influenzati dai media, ben più di un tempo, perché si diffondono in tempo reale e vengono assimilati dalla gente per imitazione. Personaggi di fiction, reality show, pubblicità, intrattenimento, determinano più che mai attitudini comportamentali e termini che diventano “linguaggio”.
La politica, un tempo considerata una cosa seria, da persone forse un po’ più responsabili e mature, sebbene sia sempre stata oggetto di parodia nella commedia all’italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, oggi è solo la parodia di sé stessa.
Basti guardare i comportamenti dei politici ai massimi livelli.
Piuttosto che di Fratelli d’Italia si potrebbe parlare di Grandi Fratelli, per le analogie che ci sono tra le mura dei palazzi del potere e le mura del set del noto reality show, dove tutto viene scrutato dal buco della serratura, quasi in un compiacimento da parte dello spettatore e degli autori di questa spazzatura mediatica.
Cos’altro è, se non il “confessionale”, il pianto in diretta dell’ex-ministro della cultura (con c minuscola) Sangiuliano? Nel confessionale gieffino, per definizione, ognuno confessava le proprie paturnie e idiosincrasie parodiando sé stesso senza rendersi conto del momento surreale.
Così come nessuno, né l’ex-ministro, né il cerchio pseudomagico meloniano, né nessun altro dei loro contorni, si è reso conto dell’autocaricatura che tutti stavano compiendo.
In più c’erano le sfumature del “giallo”: chissà cosa rivelerà la Boccia, che cos’ha in mano, tu lo sai? Io no. Ma chi lo può sapere? E dov’è stata, e chi conosce, ma questa a chi appartiene? Ma sei stato un cretino a fidarti di lei… eccetera. Insomma, tutti gli ingredienti per un Beautiful romano-pompeiano con tutti i fiocchetti necessari per un “prodotto” di grande successo. Una sceneggiatura perfetta per un prossimo film, magari una miniserie televisiva per il prossimo regime che ci toccherà. Prima o poi arriveranno i gadget. Di certo Boccia e Sangiuliano faranno parte dei presepi di San Gregorio Armeno, e non è escluso che qualcuno più inventivo faccia piangere la statuetta dell’ex ministro, facendola diventare oggetto di venerazione, la statua di San Giuliano piange! Miracolo! Miracolo!
Di Sangiuliano abbiamo parlato in abbondanza nei precedenti articoli. Poi ognuno si è scatenato perché il soggetto era abbastanza folcloristico e predisposto a una parodia, diciamo che la caricatura è il suo futuro, ormai. Anche in RAI, se dovesse riprendere la sua attività, il massimo che potrebbe fare è il personaggio di un programma satirico dalla Dandini. O avere un futuro da prefica, piangendo ai funerali, perché no? Una sua rubrica potrebbe essere Il pianto quotidiano. È un’idea.
Meloni, apparentemente più complessa, contiene in sé vari personaggi.
Il primo che viene in mente è Amelia, la fattucchiera che ammalia, per la sua espressione, gli occhi sempre così accigliati, la grinta, sempre arrabbiata, alla ricerca del decino di zio Paperone.
Il secondo è la direttrice del collegio dove stava Gian Burrasca, se ci si ricorda della serie televisiva degli anni 60 con Rita Pavone. La direttrice era un’esilarante Bice Valori, riposi in pace. La statura, innanzi tutto, non altissima, cosa che caratterizza la Meloni, soprattutto quando sta accanto a uomini assai alti come il premier d’Albania, e poi il fatto che Gian Burrasca riuscisse coi suoi stratagemmi a farla fessa sempre, scatenando le sue ire.
Il terzo è la copia mal riuscita della mamma, Anna Magnani, di Bellissima, il film di Visconti. Le sue espressioni ironiche, stupefatte, arrabbiate, l’inflessione romanesca, sono tutte studiate sulla Magnani, facendo naturalmente le dovute distinzioni tra una gigante e una lillipuziana.
Il quarto è una cooperativa di tamarri dentro di lei. Lei si sforza di essere elegante. Non potrà mai esserlo. L’eleganza si nota già dall’eloquio e dalle espressioni. Nemmeno con un professor Higgins la romanina potrà mai diventare una My Fair Lady. Impossibile. Ve la immaginate una Julie Andrews o una Audrey Hepburn che invasano la Meloni? Incompatibili, ne uscirebbero sconfitte.
L’ineleganza è ciò con cui abbiamo a che fare oggi, a tutti i livelli, e con cui avremo a che fare in futuro, perché la classe sembra essere estinta, o si è rifugiata in profondi rifugi antiatomici per sopravvivere alla barbarie, in attesa che si plachi.
Il quinto personaggio è composito. Nella Meloni convivono, infatti, sua sorella Arianna, la mamma, la figlia, e i fantasmi di qualcun altro o altra. È indissolubilmente legato a tutte queste identità, forma una specie di entità familiare come mai si era visto in passato. Nemmeno Berlusconi ha dato ministeri a cognati o ex-cognati, il familismo c’era, sì, ma era tenuto un po’ a distanza, nella politica bastava lui e gli amiciucci, quelli sì.
Il familismo meloniano ha un sapore antico, ricorda certo nepotismo napoleonico, quando si dava questo regno o quell’altro ai fratelli, al cognato, al figliastro, alla moglie. Fuori moda, almeno dalle nostre parti. Persiste in certe dinastie tipo quelle della Corea del Nord o paesi simili che, appunto, sono tra i paesi canaglia del mondo.
Ci sarebbero vari altri personaggi a comporre il mosaico Meloni, qualcosa di pirandelliano, pieno di identità che emergono di tanto in tanto, quando proprio non possono farne a meno. Forse per questo colei ripete di continuo allo specchio “Io sono Giorgia, io sono Giorgia, io sono Giorgia” e lo scrive sul taccuino d’appunti. Addirittura una biografia! Per ricordarsene.
Tutto in perfetta armonia coi reality show: Cosa succederà adesso? Chi uscirà dalla Casa? Nomination!
Chi è uscito, in lacrime, lo sappiamo. Il nuovo nominato è Alessandro Giuli. Chi sarà il prossimo? Sento odore di ex cognati.
Ma ve li immaginate tutti insieme nell’isola dei famosi che si contendono una radice o un pesce fiocinato con un ramo di mangrovia? Poi uno di loro magari impara a fare il pesce alla griglia e altro e finisce nei quattro ristoranti, sovranisti, naturalmente: da Lollo l’ossobuco col midollo. Giorgia un ristorante dedicato ce lo ha già, in Albania, ne abbiamo parlato.
Sebbene non legato alla famiglia Meloni, ma legato da un vicepremierato di quelli pesanti, due giorni fa è andato in scena un altro “confessionale”, stavolta bricolato da sé stesso o da un’altra Bestia che sta al suo servizio attualmente: quello di Matteo Salvini che, in un video di sapore espressionista, con luci radenti su fondo scuro, trucco di un certo tipo, espressione insolente, sembrava un beffardo Meckie Messer qualunque. In questo video, postato sui social, mai sia la RAI, l’eroe dei tre mondi vorrebbe convincere il quarto mondo che lui voleva solo difendere i confini nazionali dalle invasioni barbariche e che per questo gesto patriottico è stato condannato, povero caro. Il vittimismo è la cifra tipica del governo, figurarsi. Niente di nuovo.
Il segreto per fermare le orde di barbari, lo insegna la Storia, è presentarsi vestito da papa, a cavallo, bianco, naturalmente, in pompa magna con schiere di cori cantanti (e lì di cori tra alpini e ubriachi da bar sport, il Capitano ne trova da vendere). Così Leone Magno fermò Attila come illustra il dipinto di Raffaello qui sotto:
Perfino la Polizia di Stato, LA POLIZIA, non è oggetto della fiducia di Meloni, almeno quella che dovrebbe proteggerla. Giustamente, siccome crede di essere nel GF, teme di essere spiata per poi essere estromessa, come succede finché non ne rimane solo uno. O forse vuole solo i suoi pretoriani, non inquinati da possibili complotti. Ma chi ti fila!
Tutti si credono attori così navigati da sentirsi i protagonisti di questo Montecitorio Big Brother, dove gli occhiali indiscreti di una biondona intrigante che tra poco sarà dimenticata da tutti come Stefania Ariosto (c’è qualcuno che se la ricorda ancora?) o Nicole Minetti, scrutano e registrano, insieme alla Polizia di Stato, i segreti (di Pulcinella) della classe dirigente.
L’insieme, visto da fuori, è abbastanza grottesco, perché verrebbe voglia di cambiare canale, ma è impossibile.
La scelta è obbligata, come si dice a Palermo: “Chista è ’a zita (e cu a vole s ’a marita)”. In traduzione simultanea: questa è la fidanzata e chi la vuole se la sposi.
No, grazie.
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