Dalle partite Iva agli insegnanti: le categorie tentate dal no per colpire Renzi

7 Novembre 2016

La domanda è: quante e quali sono le categorie sociali che in questi ultimi tre anni si sono sentite danneggiate dal governo Renzi e quindi tenderanno a fargliela pagare votando No al referendum? Ormai, infatti, è chiaro che il voto del 4 dicembre prossimo sulla riforma costituzionale non sarà una consultazione solo sul merito del ddl Boschi. Ma sarà un voto pro o contro l’esecutivo. E sulla carta diverse sono le categorie che hanno qualcosa da recriminare verso il governo o si sono sentiti svantaggiati dalle politiche economiche e sociali messe in campo da Matteo Renzi. Veri e propri blocchi sociali, aizzati e organizzati dai sindacati di categoria, che potrebbero vendicarsi nell’urna.

Gli ultimi in ordine temporale sono i dirigenti della Pubblica amministrazione, circa 33 mila persone schierate contro il decreto Madia che, se verrà approvato così com’è, rivoluzionerà la vita professionale dei grand commis di Stato. La riforma, scritta in gran parte a Palazzo Chigi sotto il controllo di Antonella Manzione, prevede il ruolo unico dei dirigenti che, quando scadranno dall’incarico, finiranno in un unico calderone senza più differenze tra prima e seconda fascia. Da lì dovranno presentarsi a cinque chiamate (interpelli) l’anno per i ruoli che via via si rendono disponibili. Ma se al termine del secondo anno non saranno scelti o ricollocati, possono essere licenziati. A giudicare il loro operato e i loro curricula sarà una commissione costituita dal presidente dell’Anac, dal Ragioniere generale dello Stato, dal capo del personale del Viminale e dal segretario generale della Farnesina. Tutte personalità nominate dalla politica. Per questo i sindacati dei dirigenti sono sul piede di guerra: da un lato si contesta il ruolo unico che mette sullo stesso livello figure con competenze e storie professionali diverse; dall’altro, si avanza il sospetto che i dirigenti sgraditi al governo di turno saranno lasciati scadere per poi essere licenziati, in modo da essere sostituiti con quelli più graditi a Palazzo Chigi. Il decreto Madia, già parzialmente bocciato dal Consiglio di Stato, ora attende il parere non vincolante delle commissioni parlamentari. Mentre i dirigenti, dopo lo sciopero nazionale del 24 ottobre, sperano che l’approvazione finale slitti a dopo il 4 dicembre. Nel frattempo stanno facendo un’intensa campagna a favore del No, con l’obbiettivo che salti Renzi e, con lui, pure il decreto Madia.

Altra categoria che potrebbe vendicarsi contro Renzi sono gli insegnanti. Ancora non si placano, infatti, le proteste contro la Buona scuola, la riforma del sistema scolastico approvata in via definitiva nel luglio 2015. Il malcontento riguarda soprattutto i precari: almeno un terzo di loro non sono stati ancora assunti in via definitiva. Inoltre, molti docenti per avere una cattedra sono stati costretti ad abbandonare la loro città di origine per spostarsi a centinaia di km di distanza. Da quando la riforma è operativa, infatti, si è assistito a un esodo di miglia di persone da Sud al Centro-Nord come non accadeva da tempo, tanto che a inizio agosto sono andate in scena manifestazioni di protesta in diverse città del Mezzogiorno: dalla Puglia alla Campania, dalla Basilicata alla Sicilia. Su questo terreno lo scontento verso l’esecutivo è ancora molto forte e, grazie ai sindacati, potrebbe sfociare in un bel No al referendum da parte di una bella fetta del corpo docente.

Ma altre categorie hanno il dente avvelenato nei confronti di Palazzo Chigi. Una di esse sono gli artigiani. Da tempo, infatti, la Confartigianato è critica nei confronti dell’esecutivo, cui imputa una serie di promesse non mantenute in materia di riduzione delle imposte. “La politica non si fa a colpi di tweet. Dal 2008 abbiamo perso un milione di posti di lavoro. Paghiamo 29 miliardi di tasse in più della media europea”, diceva nel 2015 il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti. Nel 2016 le cose non sono cambiate granché, nemmeno in quest’ultima legge di stabilità. “Il premier deve mantenere le promesse, finora rimaste sulla carta. A giugno ci siamo espressi favorevolmente sulla riforma, che però non ci convince e non vogliamo essere arruolati sul carro del Sì”, ha sottolineato Merletti qualche settimana fa. Su questo fronte c’è da dire che il vertice di Confartigianato è molto più diplomatico della base: gli artigiani ce l’hanno a morte col governo e stanno col fucile puntato.

Altra categoria non proprio amica dell’esecutivo è il mondo dell’edilizia e dei costruttori. “Rispetto all’era pre-Monti la tassazione sugli immobili è aumentata del 150%. E’ troppo chiedere una riduzione dell’1%?”, si chiede Confedilizia sull’ultimo numero della rivista uscito a novembre. In generale, sulla manovra, il giudizio non è lusinghiero: “si tratta di una manovra – scrive il Presidente – che non affronta con la necessaria determinazione i nodi dell’eccesso di spesa pubblica e della sovrabbondante tassazione, che sono le vere palle al piede del nostro Paese. Con riferimento al settore immobiliare, mancano interventi tesi ad attenuare il peso fiscale ordinario sugli immobili, che sono invece indispensabili per proseguire l’opera di correzione degli errori compiuti in passato in materia di fiscalità sul comparto”.

Sul decreto fiscale, poi, l’esecutivo ha ricevuto aspre critiche anche da parte dei commercialisti. Un malcontento generato dalle promesse di semplificazione legislativa mai arrivata. Tanto che nei giorni scorsi il presidente di categoria, Gerardo Longobardi, ha scritto una lettera al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e alla direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi per lamentarsi dell’assenza nel decreto fiscale del pacchetto di semplificazioni più volte annunciato dall’esecutivo.

Infine, ci sono i liberi professionisti, ovvero il popolo delle partire Iva, che, se da una parte hanno visto scongiurato l’aumento automatico dell’Iva dovuto al rispetto dei parametri europei, dall’altro sono una categoria che non si sente affatto tutelata dal governo rispetto ai lavoratori dipendenti. E anche loro, nel segreto dell’urna, potrebbero essere tentati dal No.

E gli statali? Un bel dilemma. Perché se è vero che i dipendenti pubblici sono stati graziati dal superamento dell’articolo 18, è anche vero che tra loro agiscono molti sono i sindacati minori che da tempo hanno messo questo governo nel mirino. Resta solo da vedere quanti voti siano in grado di spostare.

TAG: Artigiani, commercialisti, dirigenti pubblici, governo, insegnanti, liberi professionisti, Matteo Renzi, partite iva, Statali
CAT: Governo, Partiti e politici

Un commento

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  1. evoque 7 anni fa

    Dopo avere letto l’articolo, sono ancora più convinto di come una democrazia referendaria possa diventare una iattura per un Paese. La democrazia referendaria è idealizzata dai populisti, i quali fanno leva sugli animi semplici, irrazionali, rancorosi, frustrati per ottenere i loro personali scopi In questi casi, non si entra nel merito del quesito referendario, mentre si fanno agire altre dinamiche: la Brexit, il recente referendum svizzero sui frontalieri hanno mostrato come la parte più ottusa, retriva della popolazione abbia votato senza conoscere a fondo ciò che era oggetto di consultazione: le zone dell’Inghilterra che più beneficiano dei fondi UE e del commercio con la UE hanno infatti votato contro la permanenza nell’Unione; in Svizzera (Cantone Ticino) chi ha votato contro i frontalieri non ha capito che senza questi lavoratori l’economia ticinese subirebbe un contraccolpo devastante…Va da sè, quindi, che bisognerebbe limitare fortemente il ricorso al referendum per evitare che, come nel caso della Brexit, poco più della metà del Paese costringa l’altra quasi metà a subire le conseguenze di una scelta dissennata.

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