La crisi di governo e lo psicodramma del PD

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24 Luglio 2022

1. La caduta

La caduta del governo Draghi rappresenta la triste fine di una democrazia che chiama l’uomo più forte per farsi dirigere. Mario Draghi si presentava come una sorta di Leviatano capace di reprimere gli istinti di ogni partito. Ma la legge del più forte (o del più rispettabile a livello internazionale) non può archiviare la politica e la democrazia.

Quando le elezioni si sono avvicinate, tutti i partiti hanno avuto la necessità di differenziarsi dalla melassa indistinta del governo emergenziale. Il loro elettorato di riferimento chiedeva risposte che Draghi non poteva dare. Ritengo che i partiti beneficeranno del voto anticipato. Chi si è sfilato riproverà a intercettare il proprio elettorato. Chi è fautore accanito dell’agenda Draghi potrà additare colpe. Tutti beneficeranno eccetto il PD.

Per il PD la caduta di Draghi si è trasformata nell’ennesimo psicodramma. Le soluzioni che per la destra sono ordinaria amministrazione, per la sinistra diventano crisi esistenziali capaci di spazzare via quanto di buono fatto negli ultimi anni.

2. Il percorso del PD

Al termine della segreteria di Matteo Renzi, il PD ha provato a riformulare un’agenda sociale per rappresentare le fasce più deboli di popolazione. Qualcosina, lentamente, è stato fatto. L’alleanza giallo-rossa, la parziale fuoriuscita dei renziani e poi la pandemia hanno impresso un’accelerazione ai temi sociali. Il PD ha quindi avallato politiche stataliste, tra cui bonus erogati a pioggia, fondi per i più deboli, immissione di personale nella pubblica amministrazione e piani di investimenti pubblici come il PNRR. Lo stato è tornato protagonista.

L’arrivo di Mario Draghi e la segreteria di Enrico Letta non hanno inizialmente cambiato lo scenario. Letta, tornato da Parigi, è apparso come un liberista pentito e ha investito tutto sull’alleanza con il M5S di Giuseppe Conte. Questa alleanza non era semplice forma, ma pura sostanza politica. Malgrado tutti i problemi, i mantengono una connessione sentimentale in tante aree depresse, specialmente del sud. L’alleanza con il M5S rappresentava il migliore tentativo del PD di ascoltare la voce degli ultimi.

Prima, la guerra in Ucraina ha fatto emergere l’atlantismo acritico del PD. Il PD non si è limitato a sostenere l’Ucraina, ma si è fatto portavoce di una fiducia cieca per gli interessi di Washington, anche quando contrastavano con quelli dell’Unione Europea. Poi, la fuoriuscita dell’ala più governista dal M5S ha fatto il resto.

3. I travagli del M5S

Giuseppe Conte è entrato nella condizione di non poter più reggere la pressione del governo Draghi, che incorporava tutto quello contro cui si sono battuti i cinquestelle delle origini. Per l’avvocato del popolo, la separazione dal governatore della BCE significava la sopravvivenza stessa del partito.

Conte ha così provato a distanziarsi. Privo di esperienza politica si è però mosso in modo goffo e cialtrone. Oggi è additato come esecutore principale della caduta del governo, malgrado non avesse i numeri per farlo. L’avvocato del popolo si è illuso di poter defilarsi lasciando in piedi il governo e preparandosi alle elezioni, da tenersi regolarmente all’inizio del 2023. Ma ha incontrato l’irrigidimento del premier e del principale alleato.

Il segretario del PD ha infatti escluso la possibilità di un’alleanza con chi si poneva al di fuori del governo. Letta ha dimostrato la stessa rigidità di Pier Luigi Bersani. Il vecchio segretario vincolò Antonio Di Pietro al governo Monti con l’espressione “non si può andare per funghi durante il governo tecnico”. L’Italia dei Valori scomparse, mentre il M5S volò dallo 0 al 25%. La destra, invece, non si è fatta scrupoli ad avere i piedi in due staffe, beneficiandone enormemente.

4. L’impossibile agenda Sociale

Al tempo stesso, il segretario del PD trova ora difficoltà a parlare con l’area più entusiasta dell’agenda Draghi. La lunga affinità con il M5S non può essere liquidata in pochi minuti da chi ne prova repulsione, come Carlo Calenda.

Enrico Letta parla su Repubblica di agenda sociale dopo aver rotto completamente i ponti con il M5S. Le intenzioni sono buone, ma qual è la credibilità delle sue parole? Quale governo dovrebbe implementare il salario minimo e la riduzione del precariato? Un governo Letta alleato a Renzi e Calenda, LEU e i verdi? O un nuovo governo Draghi, magari senza la Lega? Taccio, per carità di patria, dei numerosi dirigenti PD che di agenda sociale non vogliono neanche sentir parlare.

In verità, la rottura con il M5S è priva di senso politico e trae origine solo nella volontà autodistruttiva che da sempre imperversa nel centrosinistra.

5. Un esito non scontato

Detto questo, la larghissima vittoria del centrodestra non è così scontata. Visto che divergono sulle questioni essenziali, Meloni e Salvini imposteranno una campagna elettorale fatta di santi, madonne, teorie gender, decreti sicurezza, green pass e flat tax. Insomma, un indigesto mix di fuffa, razzismo, fake news e conservatorismo becero.

Nelle aree davvero dimenticate e disagiate, come le periferie delle grandi città e i punti più critici del mezzogiorno, la destra farà molta fatica. Questi elettori vorranno sentire parole ben più simili all’agenda sociale del PD, che però non appare credibile ai loro occhi. Probabilmente, queste aree si rifugeranno nel M5S e, soprattutto, nell’astensione.

I centri più importanti e i pensionati voteranno per lo più PD e i partiti di centro. Il linguaggio del centrodestra attecchirà invece nelle campagne fuori da Emilia e Toscana. Si tratta di luoghi dimenticati dal governo centrale dove però regge un ceto medio che guarda al basso. Questi elettori appaiono impoveriti e incattiviti, malgrado abbiano ancora qualche sprazzo di benessere, che dà loro la forza di inveire verso misure che non li riguardano minimamente, come il matrimonio paritario e l’aborto.

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CAT: Governo, Partiti e politici

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