Il tocco democristiano che manca a Renzi

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29 Ottobre 2014
Difficile non è tanto uscire dagli schemi, quanto evitare di esservi fatti rientrare a forza dal tuo interlocutore. Così, giudicando a distanza la Leopolda, sarà difficile non passare per gufo. Correrò il rischio.
Io non so se questa quinta Leopolda abbia deluso i renziani della prima ora, come riportano alcuni commentatori. Di certo non è riuscita nemmeno questa volta a conquistarmi. È lo stile a non convincermi, non ci posso far nulla. «Dovresti partecipare di persona almeno una volta, per giudicare», mi dicono. Abbiate pazienza. Se dopo anni di disillusione e di cinismo sono tornato ad iscrivermi ad un partito, se partecipo con una certa costanza alla vita del mio circolo – fatta di riunioni non sempre appassionanti e di insulti ricevuti dal cittadino indignato di turno –  mi spiegate in virtù di quale irresistibile richiamo dovrei voler partecipare anche alle attività delle associazioni Adesso!, prender ferie per recarmi alla Leopolda, seguire gli Ateniesi e tutto l’insieme pulviscolare di profili fb/twitter Noi con Renzi, Noi per Renzi, Noi dietro a Renzi, Noi pendenti dalle labbra di Renzi?
Certo, tutto questo poteva avere ai miei occhi un senso durante le campagne congressuali. Ma ora? Perché, dopo aver “scalato” con relativa facilità il partito, anche grazie al mio voto, e dopo essere giunto al governo del Paese, il mio segretario sente ancora la necessità di una Leopolda?
 
Osservando da lontano chi la Leopolda la fa, e cioè non tanto chi affolla i suoi tavoli – attorno ai quali troviamo un po’ di tutto, visto che la smisurata area del consenso renziano si estende ormai dai gestori di hedge funds agli ex sindacalisti CGIL – quanto chi la Leopolda l’ha pensata, voluta, organizzata, finanziata, la risposta appare evidente. Il renziano tipo, per l’idea che me ne sono fatto, corrisponde ad una sorta di homo faber impolitico, ad un uomo (o donna) del fare, che non solo difende legittimamente le ragioni del mondo dell’impresa, ma che vede nel discorso politico, nella migliore delle ipotesi, soltanto un mucchio di chiacchiere improduttive o, nella peggiore, un calderone infernale in cui ribollono tutti i mali italiani – l’ipertrofia burocratica, il corporativismo, l’ipersindacalizzazione, lo “stato ladro”, la resistenza alle innovazioni e quant’altro.
L’indubbio merito di Renzi consiste appunto nell’aver portato queste persone e la loro speranza nella rinascita del Paese nel campo del centrosinistra, il suo limite sta nel non essere riuscito a portarli davvero dentro il partito, possibilmente senza scatenare la reazione di quella parte del cosiddetto popolo di sinistra ormai sconfitto in più sensi. Per farlo sarebbero state necessarie una capacità di sintesi e in generale una cultura politica che il nostro Matteo evidentemente non possiede o non intende usare. E d’altronde non mi pare che Renzi  abbia mai manifestato grande entusiasmo per la gestione del PD, né abbia mai davvero voluto chiarire la propria idea di partito. Sono questioni poco interessanti per la maggior parte delle persone, me ne rendo conto, eppure attorno a queste questioni si gioca il buon funzionamento della nostra democrazia. Non è necessario interessarsene, sarebbe consigliabile non minimizzarle.
 
Il refrain di queste ultime settimane sul “partito della Nazione” mi convince sino ad un certo punto. Si nota, è vero, una certa tendenza del PD renziano a diventare una sorta di nuova DC, un grande partito interclassista e inevitabilmente consociativo – ecco spiegata la delusione dei renziani della primissima ora, persi nella folla variopinta di una Leopolda in cui si rischia facilmente di trovare qualche scarto di rottamazione. Il punto è che non siamo nel 1984, ma nel 2014, in un’Italia indebitata e in declino, divisa come non mai e presa da pulsioni che personalmente mi spaventano. I toni che il premier-segretario riserva ai suoi competitor interni – e alle piazze ad essi legati – non ricordano molto la vecchia DC. La ferocia democristiana non era mai ostentata. I democristiani si accoltellavano tra loro, sì, ma sempre nel chiuso delle loro segrete stanze.
Abbiamo capito che l’apparato spettacolare del renzismo e la sua stessa aggressività dovrebbero servire ad attirare capitali in quest’Italia malconcia e mai così poco credibile, ma nel frattempo occorrerebbe che questo paese venisse governato, e non so davvero come si possa pretendere di governare come la DC senza la (sciagurata) arma politica della spesa pubblica di cui disponeva la DC, con un partito che in molti, tra cui forse lo stesso segretario, vorrebbero anzi ridotto a comitato elettorale del leader vincente.
[Come sempre, naturalmente, mi auguro di sbagliare].

TAG: leopolda, Matteo Renzi, partito della nazione, partito democratico
CAT: Governo, Partiti e politici

Un commento

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  1. Jacopo 9 anni fa

    La manifestazione della Leopolda è senza dubbio mossa dalla figura di Renzi, dalla sua leadership e dalle sue grandi capacità comunicative, ma il Pd prima dell’ultimo congresso non era già lacerato da scontri e contraddizioni inevitabili in un partito dove albergano tutte le espressioni culturali e politiche che non hanno trovato posto altrove dopo il crollo della prima repubblica? I fondatori del partito democratico non potevano, e non possono continuare a credere in un partito dove la coesistenza pacifica di ideologie diverse possa sopravvivere per il semplice fatto che se ci si divide si perde. La leopolda ha il grande vanto di far avvicinare gli schifati del sistema politico alla politica, senza nemmeno accorgersene.

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