“Presidente Draghi, piccolo è brutto, anzi molto brutto!”

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14 Aprile 2021

Ecco perché una parte importante del Next Generation EU dovrebbe essere utilizzata ad incentivare le realtà economiche italiane a crescere dimensionalmente

I fenomeni di piazza degli ultimi giorni hanno fatto emergere quanto da tempo si temeva, ovvero il rischio, molto reale, che al momento dell’affievolimento dei sussidi – o come sono solito definirli “del metadone di stato” – ci si ritrovi a fare i conti con manifestazioni anche violente di chi, a torto o a ragione, si sente defraudato dalle conseguenze del covid-19 e vittima delle decisioni che sono state prese negli ultimi 14 mesi. E questo a maggior ragione se, i ritardi nella campagna vaccinale, ci obbligheranno a proseguire con misure che ritarderanno  le, speriamo prossime, riaperture.

Personalmente sono a  favore dell’intervento dello Stato (o meglio della comunità) a supporto degli individui o delle famiglie che non riescono “ad arrivare a fine mese”. Sono invece  contrario agli aiuti (indiscriminati) alle imprese la cui crisi trova solo in parte origine nella pandemia. Molte delle criticità che stanno emergendo in questi mesi sono infatti legate a scelte strategiche e, a mio avviso, spesso egoistiche da parte di molti – non di tutti, ci sono per fortuna molte eccezioni –  imprenditori che non hanno voluto guardare a come si stava evolvendo l’economia.

Come è noto ormai da tempo, le economie dei paesi occidentali (o come qualcuno li chiama “sviluppati”) hanno subito, subiscono ed in futuro ancor di più, subiranno, un’importante trasformazione. Gli economisti hanno descritto questa evoluzione come il passaggio dall’economia “industriale” (produzione manufatturiera  tipica degli anni 60 – 80 del secolo scorso) a quella “postindustriale” (quella dei servizi, tipica della fine del XX secolo e dell’inizio del XXI secolo) per arrivare ora alla cosiddetta “economia della conoscenza” (software, digitale, AI, etc.) che è già presente e che ci accompagnerà negli anni a venire.
Questo non significa che non esistano più spazi nella economia industriale e post-industriale (ad esempio nel turismo) ma che la competitività del futuro sarà sempre più dipendente dall’economia della conoscenza. E quello che sta accadendo con la produzione dei vaccini, con un’Europa ostaggio delle grandi multinazionali non europee e che ci mostra come la dimensione delle aziende e la loro conseguente capacità di investimento in ricerca sia diventato un fattore dirimente.

Nel nostro Paese – che non dimentichiamo solo 15 anni fa si faceva lustro del motto “piccolo è bello” e dove le “partite IVA” non a caso rappresentano una fetta importante del tessuto economico ( e del bacino elettorale), la scelta della crescita dimensionale è stata sempre guardata con (interessato) sospetto, dalla classe imprenditoriale e, di conseguenza, da quella politica. La conseguenza? Rendere le nostre aziende molto più vulnerabili dei competitor internazionali. Poiché non voglio in alcun modo affrontare la questione da un punto di vista politico o ideologico, vorrei ricordare alcuni dati oggettivi (fonte OCSE SDBS Structural Business Statistics (ISISC Rev.4) Year 2018) dei quattro principali Paesi europei

Vediamo cosa emerge comparando questi dati con il Prodotto Interno Lordo (in Miliardi di USD, dati 2017 – fonte indexmundi.com) degli stessi paesi:

Se analizziamo le due tabelle e le mettiamo a confronto con i valori del PIL, vediamo che mentre nella distribuzione percentuale delle aziende per cluster dimensionale l’Italia non sembra essere molto diversa dai nostri vicini europei (salvo la Germania), le cose per noi (e per la Spagna) si complicano analizzando il fatturato medio delle aziende.
Se  il futuro è effettivamente quello dell’ economia della conoscenza, non è difficile capire che al di là dei numerosi altri handicap di cui soffrono le aziende nostrane (molti ascrivibili al sistema Italia come sentiamo dire ormai da tutti) si debba destinare una parte importante del Next generation EU per incentivare/spingere e magari anche “forzare” il sistema imprenditoriale figlio della logica del “capitalismo familiare” ad una crescita dimensionale e ad una “maturazione” che oggi difetta, e sono convinto che questo debba essere considerato una priorità assoluta per il Presidente Draghi.
Si tratta davvero di una opportunità unica, già che l’uso di almeno una parte dei fondi (che non dimentichiamoci sono pubblici) del Next Generation EU, per incentivare gli imprenditori italiani a risolvere il problema endemico della dimensione delle aziende nostrane, difficilmente si ripeterà.

Al di là della scarsa significatività delle medie che pure rappresentano un indicatore “direzionale”, non credo sia intuitivo che la capacità di fare Ricerca e Sviluppo di un’azienda che fattura (mediamente) 825.000€ l’anno è di molto inferiore a quella di un’azienda che ne fattura (mediamente) 2.639.000€.  Lo stesso vale ovviamente per la capacità di attrarre risorse umane qualificate (manager),  e capitali (equity o debito), di mettere in pratica una adeguata governance o, per tornare a quanto dicevo , di essere meglio attrezzata ad affrontare crisi improvvise come quella che stiamo vivendo ora con il covid-19.
Vorrei a questo proposito sottolineare due casi a mio avviso significativi perché, pur non essendo legati all’economia della conoscenza, rispecchiano invece la cultura (miope) dei nostri imprenditori e del nostro sistema politico.  Guardiamo ai numeri di un settore – quello della moda e del lusso – in cui, in teoria, l’Italia eccelle e compariamo il fatturato consolidato dei tre maggiori players francesi (LVMH, Kering ed Hermes) e quello dei tre maggiori players italiani (Prada, Armani e Moncler): i numeri (arrotondati) del fatturato 2019: LVMH € 53,7 miliardi, Kering €15,9 miliardi, Hermes €6.8 miliardi. Gli Italiani: Prada €3,2 miliardi, Armani €2,2 miliardi, Moncler €1.6 miliardi. Guardiamo poi al caso di un settore falcidiato quale quello del trasporto aereo: in UK, Francia e Germania le tre compagnie locali (due su tre quotate) sono state certamente aiutate con importanti sostegni pubblici ma, la loro dimensione, la loro storia, il loro management, la loro governance hanno anche consentito loro di andare sul mercato e raccogliere denaro (privato) a 5 anni a tassi compresi tra il 2.875% (Lufthansa) e tra 2.75% e 3.75% (IAG per due emissioni a 4 ed 8 anni). Vogliamo provare a credere che Alitalia, o ITA che dir si voglia, avrebbe avuto lo stesso successo sui mercati?

Torno quindi al punto  e rivolgo un appello al Presidente Draghi, che conosce perfettamente le dinamiche macroeconomiche verso cui si sta muovendo l’economia globalizzata del futuro, affinché cerchi davvero di ritagliare una parte rilevante dei fondi Europei che (speriamo) arriveranno, per aiutare le nostre aziende a crescere. A beneficio del dibattito voglio consegnare qualche idea – ovviamente molto preliminare – basata sulla logica antica ma sempre valida del “bastone e carota”: agevolazioni fiscali per le operazioni di M&A che permettano la crescita dimensionale delle aziende a fronte di penalizzazioni per chi invece continua a “figliare” piccole aziende o si rifiuta di crescere (quelli che non crescono restano esclusi da certi incentivi); agevolazioni fiscali vs. penalizzazione a chi rafforza il capitale (equity) delle imprese sia con contribuzione (strettamente in denaro e per capitale di rischio, non in natura) degli attuali azionisti ovvero con operazioni di apertura del capitale a terzi stabilendo soglie minime di capitalizzazione (rapporto mezzi propri/mezzi di terzi); agevolazioni fiscali per operazioni di acquisizioni estere da parte di aziende italiane (sviluppo internazionale); agevolazioni fiscali vs. penalizzazioni per le aziende che sviluppano / non si adeguano ad un sistema di governance moderno (ad esempio estendendo il sistema degli independent NEDs o Non Executive Directors indipendenti);  Questo tipo di interventi – molto più che l’esercizio di uno strumento difensivo come la “Golden Share” – potrà preparare il nostro sistema economico a competere e anche ad affrontare una nuova crisi quando, speriamo solo fra molti anni, essa si manifesterà nuovamente.

TAG: Draghi, pmi, ricerca e sviluppo
CAT: Governo, PMI

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