Patti per il Sud: vanno a rilento e mancano all’appello 11 miliardi

25 Luglio 2016

Ricordate i patti per il Sud previsti nel Masterplan lanciato dal premier Matteo Renzi a novembre dell’anno scorso? Usati dal premier, a suon di firme, nella recente campagna elettorale, i patti sono però scomparsi dai radar dell’agenda politica.
Finite, maluccio per il premier, le elezioni, è infatti calato il silenzio sui sedici piani per il Sud, annunciati più volte da Matteo Renzi come la svolta nelle politiche di sviluppo del Mezzogiorno.
Nel balletto di cifre a cui abbiamo assistito in questi mesi sull’entità dei fondi UE disponibili per i patti – Palazzo Chigi, nei documenti ufficiali, parla addirittura di 98 miliardi di euro fino al 2023 – è almeno arrivato, alcuni giorni fa, un punto fermo: le risorse effettive fino al 2020, come riferito dal sottosegretario Claudio De Vincenti in risposta ad una interrogazione di Arturo Scotto e altri parlamentari di Sinistra Italiana, sono pari a 26,8 miliardi. Ma, ad oggi, risultano stanziati solo 13,4 miliardi di euro. E all’appello, come in parte indicava l’interrogazione di Sinistra Italiana, mancano più di 11 miliardi. Risorse, queste, che – secondo quanto ha spiegato, minimizzando, il sottosegretario al Mise De Vincenti – «hanno una rilevanza maggiormente di tipo interregionale e su cui la cabina di regia sta lavorando, sempre in un confronto con le regioni meridionali […] Ma in una logica più trasversale alle varie regioni e alle varie realtà territoriali meridionali».
Un ulteriore elemento di riflessione è poi rappresentato dal fatto che i patti in pista, nonostante l’arrembante corsa alla firma messa in scena dal premier Renzi a ridosso dello scorso turno di amministrative, sono solo otto. Quattro di essi riguardano altrettante Regioni – Campania, Basilicata, Calabria, Abruzzo – e gli altri le città metropolitane di Reggio Calabria, Catania, Palermo, Bari. Dalle schede descrittive delle azioni pianificate fino al 2020 per gli otto patti, si ricava un aspetto singolare: a fronte di costi stimati per i piani, pari a circa 22,5 miliardi, poco più del 10 per cento della spesa verrà effettuata entro il prossimo anno. Il resto è spostato al 2019.
tabella riepilogativa
Non a caso Arturo Scotto e gli altri parlamentari di SI, nell’interrogazione al Governo, scrivevano come apparissero inspiegabili «i motivi per i quali le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.903 milioni di euro per il 2016, 3.013 milioni di euro per il 2017 e a 3.118 milioni di euro per il 2018, con un successivo slittamento di ben 29.075,6 milioni di euro a decorrere dal 2019». Ciò, peraltro, in netta contrapposizione con la narrazione renziana che ha accompagnato il piano governativo per il Sud. «Firmati i patti per il Sud: ora realizzarli senza ritardi», tuonava il premier a L’Aquila alcune settimane fa, in occasione di una tappa del suo tour di promozione dei patti nelle regioni coinvolte. Lasciando così intendere che la realizzazione degli investimenti avrebbe dovuto avere un ritmo molto serrato. Le cose paiono però andare in un altro verso. E alcuni esempi chiariscono bene come la tabella di marcia avrà un ritmo molto più lento di quello ‘venduta’ da Matteo Renzi ai media.
Renzi_Patto_Bari
Emblematico il caso della Calabria: la previsione di spesa, fino al 2020, è di quasi 5 miliardi, ma gli accordi con il governo prevedono l’utilizzo di soli 220 milioni dei fondi nei prossimi due anni. Non va meglio in Basilicata, dove, a fronte di una spesa stimata pari a 3,8 miliardi, lo stanziamento, fino alla fine del 2017, sarà di circa 400 milioni. E’ invece maggiore l’incidenza della previsione di spesa sull’importo dei progetti per la Campania: 1,8 su 9,55 miliardi.
La musica non cambia per le città metropolitane: l’importo dei progetti inseriti nei quattro patti ammonta a poco meno di 2,6 mliardi, ma la spesa fino al 2017 non arriva nemmeno a 270 milioni di euro.
Il motivo di ‘patti al rallentatore’ potrebbe essere, come sostengono diversi ‘gufi’, molto semplice: la destinazione, in presenza di un deterioramento del quadro di finanza pubblica, delle risorse europee per il Sud e per le altre aree deboli del Paese, a copertura delle prossime manovre economiche. Come è già avvenuto, peraltro, in passato, per mano di governi di ogni colore politico.
C’è infine un ulteriore elemento degno di essere segnalato e confermato da De Vincenti nella sua replica all’atto ispettivo di Sinistra Italiana: nessuno dei patti fino ad ora sottoscritti è stato sottoposto al necessario vaglio del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE). «Senza questo passaggio – ha dichiarato il capogruppo alla Camera di SI Arturo Scotto – i patti per il Sud non esistono e, come ben sappiamo, il CIPE potrebbe anche intervenire nel merito ed emendarne profondamente l’impianto».
@albcrepaldi

TAG: fondi europei, Fsc, investimenti pubblici, Masterplan, Matteo Renzi, mezzogiorno, Patti per il Sud
CAT: Governo, Politiche comunitarie

Un commento

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  1. vincesko 8 anni fa

    SUD, ALCUNI DATI E PROPOSTE Il Mezzogiorno è sia un ottimo mercato di sbocco per i prodotti del Nord, sia un serbatoio di risorse umane, anche di buon livello. Per le infrastrutture, invece, è un disastro. Nel suo libro del ’99 “Lo spreco”, Gian Antonio Stella stimava che: “dall’inizio dell’operatività, nel 1951, sino al 1992 (ultimi dati conosciuti) e sotto il nome sia di Cassa per il Mezzogiorno che AgenSud, ha elargito alle regioni meridionali un totale di 279.763 miliardi di lire”. Vale a dire, in 40 anni, 144,5mld €. Per dare un termine di paragone, secondo la Banca d’Italia, i trasferimenti al Sud sono stati un’aliquota ridotta di quelli di cui ha beneficiato la Germania dell’Est dopo la riunificazione tedesca. “In 40 anni, la politica straordinaria ha speso nel Sud non più dello 0,7 per cento del Pil. Secondo stime non ufficiali i trasferimenti lordi alla Germania orientale sarebbero ammontati per il periodo 1991-2003, vale a dire in 13 anni, a 1.250-1500 miliardi di euro, equivalenti a una media di 96-115 miliardi annui”) (pag. 486). http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-seminari-convegni/2009-0002/2_volume_mezzogiorno.pdf. Quando la situazione economica non l’ha più permesso e la spesa pubblica dal 2001 al 2014 è diminuita al sud del 40%, dal declino si è passati al baratro. Negli stessi 13 anni il Pil reale del sud ha perso 9,4 punti contro gli 1,7 della Grecia. Questo è avvenuto, oltre che per la crisi, quando al governo (del milanese Berlusconi) c’era la Lega Nord e ministro dell’Economia (“controllato” dalla Lega Nord) era Giulio Tremonti (di Sondrio), il quale, su input della Lega Nord, quando doveva ripartire i soldi per le infrastrutture tramite il CIPE ne destinava il 10% al ricco Sud e il 90% al povero Nord, per risolvere la nota, annosa questione… settentrionale. Secondo la Banca d’Italia (ibidem), al momento dell’unità d’Italia il Pil pro capite dei meridionali era pari al 90% di quello del Centro-Nord, ora, dopo 155 anni, è pari a poco più del 50%. “Fino alla conclusione del XIX secolo, il PIL pro capite delle regioni meridionali non scese mai al di sotto del 90 per cento di quello centro-settentrionale” (p. 427). Sia ben chiaro, non sto dicendo che tutta la colpa è del Nord, ma come sempre succede in questi casi affermare che essa va distribuita grosso modo al 50% non significa dire un’eresia. Proposte. Ecco alcune misure incisive volte a ridurre i divari Nord-Sud: a) analogamente a quanto è stato fatto per la Germania Est, destinare al Mezzogiorno un ammontare di risorse straordinarie pari ad almeno 50 mld per 20 anni, affidandone l’amministrazione (per parare qualunque critica sulla cattiva qualità della classe dirigente meridionale, sulla quale concordo) ad un Comitato formato dai presidenti delle Regioni del Nord; b) applicare rigorosamente la norma che regola la distribuzione dei fondi per gli investimenti tra Nord, Centro e Sud e ripristinare l’obbligo della riserva (congrua ed effettiva) degli investimenti per il Mezzogiorno; e c) restituire al Sud l’ammontare complessivo degli investimenti di spettanza del Sud stornati (vedi in particolare durante i l’ultimo governo Berlusconi-Bossi-Tremonti, 2008-2011) al Nord.

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