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Governo

A Aquisgrana non è morta l’Europa ma il Risorgimento

di Flavio Pasotti
23 Gennaio 2019

Dico subito che sono orgoglioso che il mio Paese abbia avuto il Risorgimento, che quello è stato il periodo nel quale in modi diversi gruppi dirigenti (elites n.d.r.) hanno prodotto nella letteratura, nella musica, nell’arte, nella politica internazionale e nelle azioni militari dalla Crimea in poi una vision non unitaria nei fini, forse nemmeno maggioritaria nei numeri ma certamente lucida, aperta al futuro, consapevole dei mutamenti, realistica nella contingenza storica e determinata anche nel sacrificio personale, spesso estremo. Ho per quegli uomini di culture diverse una stima sconsiderata e una invidia anche per le bassezze e i doppi giochi, umane attitudini, che costruirono un paese che dopo due guerre mondiali contribuì a fondare quella Europa Unita che alcuni di loro 140 anni prima scrivevano dai loro esili o cantavano nei futuri inni nazionali (italiano compreso). Ho stima anche per quei cattolici papalini che preferirono brevemente essere protégé francesi e che però vedevano spesso preti e popolo sulle barricate destinate a sconfitte mai umilianti davanti agli imperialregi eserciti. Ho ammirazione culturale e politica per alcuni grandi meridionalisti del secolo scorso, davanti a tutti Giuseppe Galasso, Francesco Compagna fino a Pasquale Saraceno e altri. Sono testimone come tutti noi dell’incompiutezza dell’opera e quando qualcuno, anche su suggerimenti esteri che sempre attraversano il Paese di Franza o Spagna, si inventava le ampolle del Po’ o ancor prima viveva con profondo fastidio i cumuli di valige di cartone che scendevano da treni disperati, vedevo nelle unghie aggrappate alle Alpi la possibilità, l’unica, per non sprofondare nel Mediterraneo. E ancora ringrazio gli amici americani per aver tenuto in piedi un paese dissolto dopo il ’43 e di averne protetto libertà e crescita anche in momenti in cui ventate terzaforziste a antiatlantiche correvano veloci nei corridoi di Montecitorio e del Quirinale. E dopo aver recitato il mio Credo laico vi dico che se andiamo avanti di questo passo, ancora un Banfi (brava persona) all’Unesco e solo uno stupido non cambia idea.
Io non ho il problema di vedere l’elettorato della Lega contro l’elettorato dei 5S. sono francamente affari loro, gli elettorati. Il mio problema è che la divergenza di interessi all’interno del paese diviso non solo tradizionalmente è ormai evidente e non può non avere conseguenze che la politica odierna non ha né la statura né la dignità morale di affrontare. Volevate una Unione Europea diversa, dove invece dei burocrati di Bruxelles si tornasse ad accordi bilaterali? Avete blaterato di nuovo asse con la Germania? Avete preso i complimenti dell’ex segretario dei giovani comunisti Ungheresi che governa il paese senza essere comunista (lo era per convenienza) ma in modo illiberale (essendolo questo sì per convinzione)? Vi siete inventati la Francafrica come una congiura coloniale ai nostri danni quando russi e cinesi ci si sono accampati da anni e noi in Libia ci becchiamo il ricatto dei barconi, altro che porti chiusi, perché siamo riusciti a finire con i perdenti in “casa nostra” mentre spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi, russi, egiziani e qatarini si preparano a fare man bassa del nostro primo fornitore energetico? Avete detto che lo spread non era un problema? Avete sostenuto che dall’euro si poteva uscire? Siete andati sul balcone a urlare “è fatta!” per poi sussurrare nei corridoi “siamo fatti”?. E soprattutto, si chiamerà Aix-la-Chapelle, o Aachen, o come dicono in Vaticano Aquisgrana ma lì ieri Francia e Germania hanno capito che per sopravvivere bisogna stare insieme e insieme tra chi può farlo. Si deve avere l’ombrello nucleare a prescindere dagli americani, non solo da Trump, perché saranno sempre più impegnati sullo scacchiere cinese. Si deve avere una industria civile con le stesse regole ancor più rafforzate rispetto al mercato unico e una militare che sviluppi tecnologia e garantisca autonomia e libertà senza dipendere da Trump (credeva che la Germania portasse al 2% le spese militari per comprarsi qualche Abrahms costruito in Ohio e in Michigan?). Due leader azzoppati hanno avuto lo scatto politico più importante di questi anni e se non hanno ridisegnato l’Europa certamente hanno ripreso il filo interrotto tra Kohl e Mitterand immaginando che il futuro dei due paesi sia inscindibile sia per la storia pregressa sia per le sfide globali (la globalizzazione esiste e vive ancora in mezzo a noi, non so se ce ne siamo accorti). Qualcuno ulula all’Italia esclusa. Beh, inutile raccontarsela, i motivi stanno sui giornali. Ma il problema che si sta per porre è: quale Italia è disposta a farsi escludere e quale no? Le grandi e medie città del Nord stanno mandando segnali molto chiari: infrastrutture europee e mercato unico con la Francia, primo fornitore energetico e con la Germania primo cliente industriale. Soprattutto queste città assomigliano sempre di più a città stato (e storicamente noi ce ne intendiamo), nemmeno più a regioni, dove la qualità della vita, il livello dei servizi pubblici, le economie, i rapporti internazionali professionali, le università hanno standard qualitativi pari e strette connessioni con Francia e Germania e non hanno né intenzione né convenienza a cambiare strada. C’è una linea che divide medi e grandi centri italiani dal resto delle province che sta diventando un nuovo confine in termini di interessi e potenzialità. Le stesse politiche fiscali del governo vanno in direzione per loro punitive, i proclami da palazzo Chigi premiano chi da questi rapporti, cioè dal mondo del lavoro e dalla ricchezza prodotta preferisce stare fuori accettando la rendita come dimensione di vita. E allora, con il più profondo rammarico e la consapevolezza della sconfitta di un sogno, la colpa sulle spalle del tradimento nei confronti del sangue risorgimentale e dei molti, ottimi amici sparsi per l’Italia, grandi persone che soffrono quanto soffro io gli stracci che coprono i buchi, insieme a quei militari della Marina Militare italiana che vivono con enorme difficoltà i doveri del marinaio e i porti chiusi, nonostante questo comune sentire che ancora vogliamo cercare nell’anima si fa strada in molti di noi l’idea che no, così non può funzionare. Che l’Italia unita rimane un obbiettivo ma forse più che un passo indietro dall’euro serve un passo indietro nella storia. Che l’obbiettivo rimane ma i tempi non sono quelli e i protagonisti non sono adatti. Che il problema non è avere “più Europa ma non così” ma forse “più Italia ma non così”. Come non lo so, Cattaneo raccontò qualcosa da Lugano dove se ne era andato perché, eletto contro la sua volontà senatore del Regno dai milanesi, mai volle giurare nelle mani di un Savoia. Ma non so più se basta Cattaneo. Giovanni Spadolini mi spiegò che la politica prevale sul sociale. Ma la politica, appunto, mica ‘sta roba. E io a Aquisgrana, cioè con la politica, ci voglio stare.

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