L’incredibile pasticcio di Delrio che brucia 67 milioni per i porti

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19 Febbraio 2016

Nove mesi per fare una proporzione algebrica: è così che si buttano dalla finestra 67 milioni di euro.

Nell’auto-agiografia Renzi-style che il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio puntualmente ammannisce all’elettorato l’attenzione alla portualità gioca un ruolo primario.

Fiori all’occhiello di questa narrazione il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica varato in estate e la riforma della legge che disciplina la materia (n.84 del 1994). Il primo è un documento programmatico di 200 pagine di ovvietà, la cui adozione è stata peraltro inficiata recentemente dalla Consulta per la mancata sottoposizione alle Regioni (competenti costituzionalmente in materia). Nessuno, nemmeno al Mit, se ne è preoccupato più di tanto, il che suggerisce una misura del peso dell’opera.

La seconda è in gestazione, incarnata da un decreto legislativo legato al DDL Madia che deve ancora ottenere il placet del Consiglio di Stato, il via libera della Conferenza delle Regioni (il passaggio più delicato causa l’opposizione diffusa ai previsti accorpamenti di Autorità Portuali) e il parere delle commissioni parlamentari competenti. Oltre ad un taglio da 24 a 15 delle Autorità Portuali e ad una revisione di stampo centralista della governance di tali enti (qui per un approfondimento), non tocca le materie più delicate della Legge (sistema concessorio e lavoro in banchina), anche se, va detto, interviene su problematiche di rilievo quali i dragaggi e le operazioni doganali.

Nell’agiografia, invece, non entrerà l’incredibile pasticcio messo a segno nelle ultime settimane dagli uffici di Porta Pia.

Piccola premessa. Per anni le Autorità Portuali, le cui entrate sono limitate a tasse di ancoraggio, tasse di imbarco e sbarco e canoni di concessione, si sono lamentate chiedendo di poter trattenere, per sostenere i propri oneri infrastrutturali, parte della ciccia vera che passa per i porti: l’IVA sulle importazioni (16,5 miliardi nel 2013, quasi 13 l’anno dopo). Anni di pressioni hanno portato (a partire dal 2013) alla concessione di un fondo di 70 milioni di euro (67 per il 2014), da ripartirsi fra porti per l’80% in proporzione all’Iva prodotta e per il 20% su valutazione perequativa del Mit.

Al netto delle lamentele dei porti e dei rilievi dell’Antitrust sul metodo (qui per un approfondimento), il fondo per il 2013 è stato ripartito. Per l’Iva del 2014, invece, un documento riservato della Ragioneria Generale dello Stato che Gli Stati Generali ha potuto visionare poche ore fa rivela che i porti non incasseranno un euro e che le risorse verranno re-incamerate dall’erario.

Si tratta di una comunicazione inviata il 22 gennaio scorso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con oggetto la Conferenza Stato-Regioni che il 20 gennaio aveva approvato il decreto di riparto del “Fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti”. Un decreto  elaborato pochi giorni prima dal Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti a valle di una mediazione con le Regioni rivelatasi faticosissima sia per la discrezionalità imputata dalle Regioni al Mit, sia per i pesanti rilievi mossi al meccanismo utilizzato da parte dell’Antitrust.

La norma che disciplina la materia non fissa un termine per l’emanazione del decreto, ma il Mit riceve dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il calcolo annuo dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto dovuta sull’importazione delle merci (la base su cui fare il riparto, teorica perché al fondo è stato fissato un tetto di 70 milioni, 67 per il 2014) entro il 30 aprile. Dopodiché dovrebbe elaborare il riparto e sottoporlo all’approvazione della Conferenza delle Regioni.

Operazione che ha richiesto oltre 9 mesi. Troppi per la Ragioneria dello Stato che ritiene quindi che al provvedimento di riparto dei 67 milioni non sia possibile dare corso: “Tali risorse sono state conservate come residui di stanziamento nell’esercizio 2015 e, non impegnate nel corso del 2015, sono andate in economia al 1 gennaio 2016”. Tradotto, i porti non vedranno un euro.

Forte l’imbarazzo per il Ministero di Delrio, che scarica sulle Regioni la responsabilità del pasticcio: “Il decreto di riparto è stato trasmesso dal Mit alla Conferenza Stato Regioni il primo dicembre, quindi per tempo. La Conferenza ha iscritto il decreto alla seduta del 12 dicembre, ma in quella data ha chiesto di rinviare il punto per potere fare ulteriori approfondimenti tecnici. Purtroppo è arrivata alla  approvazione solo il 16 gennaio” spiega una nota di Porta Pia.

Un primo tentativo di mettere una pezza era stato fatto individuando una copertura nel Milleproroghe, ma il provvedimento poi non è passato: “Consapevoli dell’importanza del decreto, stiamo lavorando con il Mef per risolvere e recuperare al più presto. Saltata la possibilità di utilizzare il Milleproroghe, stiamo cercando con il Mef un altro strumento utile a breve per inserire il riparto” chiude la nota del Ministero.

TAG: graziano delrio, ministero delle infrastrutture e dei trasporti, porti
CAT: Governo, trasporti (aerei, ferrovie, navi, bus)

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