Preoccupato di non bucare la scadenza, a metà novembre il governo italiano ha reso noto di aver presentato alla Commissione europea una selezione di progetti per una richiesta di finanziamento alla Bei pari a oltre 40 miliardi di euro”, nell’ambito del piano di investimenti da 315 miliardi di euro per il rilancio dell’economia continentale. Peccato però che, alla faccia della sbandierata trasparenza, al momento è impossibile sapere ufficialmente quali siano i progetti “attivabili” nel prossimo triennio. Quelli, insomma, considerati prioritari e presentati come tali in sede europea per essere cofinanziati dal piano Juncker. Gli Stati Generali sono però in possesso della lista presentata per i progetti portuali (v. tabella in pagina). E quanto emerge è a dir poco sconcertante per l’assenza di coordinamento fra quanto si dice in Europa e quanto si sta cercando di fare in Italia, e fra quanto ha messo per iscritto il ministero dell’Economia e la linea su cui si muove quello delle Infrastrutture.
Innanzitutto, va detto che il solo fatto di aver effettuato una simile selezione contrasta clamorosamente con quanto viene previsto dallo Sblocca Italia appena divenuto legge. L’articolo 29 di questo provvedimento-bandiera del governo Renzi, infatti, ha delineato un percorso articolato di selezione di opere portuali prioritarie, le cosidette “più urgenti”. E questo allo scopo di ovviare almeno temporaneamente al problema della dispersione di risorse pubbliche in un rivolo di progetti di dubbia utilità e spesso concorrenti. Tale percorso, affidato al ministero delle Infrastrutture e Trasporti, dovrebbe concludersi non prima di febbraio e coinvolgere prima di tutto le Autorità portuali. E invece – stando alle carte che Gli Stati Generali hanno potuto consultare – si scopre che la lista delle opere prioritarie il ministero dell’Economia la lista ce l’aveva pronta a metà novembre, mentre tutte le Autorità portuali (enti facenti capo al ministero delle Instratture) inserite nell’elenco hanno dichiarato di essere all’oscuro della procedura avviata da Via XX Settembre, con l’eccezione di Venezia. Deve essere quindi anche per questo che l’elenco, evidentemente stilato in tutta fretta per aver qualcosa da sottoporre a Bruxelles, è un campionario di contraddizioni, superficialità ed errori marchiani, quanto meno per quel che riguarda i porti.
Venezia, Ravenna e Trieste vengono ad esempio affiancate in un’unica riga, cui spetta il primato dell’importo complessivo per generici “progetti portuali”: 2,5 miliardi di euro (di cui 1 miliardo nel triennio 15-18). L’importo corrisponde circa alla somma, rispettivamente, dei costi della piattaforma offshore di Venezia, del progettone Hub di Ravenna e della piattaforma logistica di Trieste (2,1+0,23+0,132 miliardi), ma non si fa il benché minimo riferimento ai tre singoli progetti, sorvolando sul fatto che si trovino in momenti diversissimi dei rispettivi iter. Se i lavori di quello triestino sono appena iniziati, quello ravennate è sì finanziato ma ancora alla fase degli espropri, mentre per quello di Venezia, assai discusso, lo Stato non si è mai impegnato finanziariamente (il che dovrebbe escluderlo da quelli cofinanziabili).
Anche per Genova si fa rifermento a generici “progetti portuali”, che dovrebbero costare 180 milioni di euro nel prossimo triennio e 360 milioni considerando il periodo fino al 2020. Peccato che anche in questo caso manchi ogni riferimento preciso e che il piano operativo triennale genovese appena approvato preveda solo per il prossimo biennio 303 milioni di euro di opere infrastrutturali. In questa sottocategoria è inserito poi il corridoio Scandinavia-Mediterraneo, per il quale si indica una spesa nel triennio di 600 milioni di euro (1,2 miliardi al 2020). Ma senza specificazione di quali Autorità portuali si parli, sebbene nella pianificazione europea al riguardo siano coinvolti i porti di La Spezia, Livorno, Ancona, Bari, Taranto, Napoli e Palermo.
La chicca vera, però, è che per questi tre macroprogetti si individua una difficoltà comune: «La frammentazione della contribuzione statale, non concentrata su investimenti ‘core’ per un preciso numero di porti strategici». Cioè, sembra di capire, nella speranza di un cofinanziamento europeo, il ministero dell’Economia ha inserito a caso una manciata di porti e di relativi progetti di sviluppo, ammettendo candidamente, però, di non sapere bene su quali basi. Per contro si avanza anche una duplice soluzione al problema: «L’estensione della durata delle concessioni dopo nuove gare agli attuali concessionari in cambio di nuovi investimenti» e «l’identificazione di porti strategici».
Proseguendo nell’analisi, c’è poi Livorno che fa caso a sé. Per lo scalo toscano si indicano chiaramente il progetto, cioè il nuovo terminal container soprannominato Darsena Europa, e i costi ufficiali (640 milioni di euro, 250 da spendersi nel prossimo triennio e il resto entro il 2020), ma a fronte del medesimo problema (“frammentazione etc.”) si individua – chissà perché – una soluzione ad hoc: «Garanzie regionali, prestiti a tasso ridotto, finanziamento della Port Authority, approvazione di schemi di PPP con parziale finanziamento privato, finanziamenti a lungo termine da parte di istituzioni finanziarie internazionali». Non è finita. Fra i porti si menzionano anche Gioia Tauro e Palermo, senza fornire però dettagli e rimandando ad una lista diversa.
Altra riga è dedicata alla sola Trieste e al raddoppio del Molo VII (terminal container), ma in questo caso si fa confusione sul costo complessivo: si parla di 132 milioni di euro, che curiosamente sono i costi della piattaforma logistica triestina citata prima, in luogo dei 188 milioni ufficiali. A questo investimento, peraltro, viene ricollegata una presunta “incertezza sul rilascio di una lunga concessione” e a “un accordo con l’attuale concessionario ancora da definirsi”. In realtà, sia l’una sia l’altra questione sarebbero già risolte. Almeno secondo le dichiarazioni della locale autorità portuali. Insomma, la confusione regna sovrana.
Last but not least, Taranto. In tal caso il Mef del ministro Pier Carlo Padoan parla esplicitamente del progetto di “piattaforma logistica” (si cita anche l’appaltatore), salvo che poi le colonne relative al costo (219 milioni di euro) e alle problematiche (ritiro della compagnia marittima Evergreen) fanno chiaramente riferimento ad un progetto diverso, vale a dire il potenziamento/ampliamento del terminal contenitori dello scalo ionico. Insomma, al di là delle dichiarazioni di facciata, il ministero dell’Economia e quello delle Infrastrutture sembrano appartenere a due universi paralleli e non comunicanti e forti sono i dubbi che una simile pasticciata lista abbia la benché minima speranza di esser presa in considerazione dalla task force europea.
Lo Sblocca Italia e la pianificazione affidata ai privati
Nel frattempo al ministero delle Infrastrutture di Maurizio Lupi si sta lavorando sull’applicazione dello Sblocca Italia. L’articolo 29 del decreto è stato elaborato nelle more di una piena riforma della Legge portuale (Legge 84 del 1994). Una legge che vent’anni fa ebbe il merito di chiudere senza traumi eccessivi il medioevo della banchina pubblica monopolizzata dalle compagnie dei camalli, delineando un assetto moderatamente più liberale capace di rilanciare i porti italiani. Ma oggi, in un mondo globalizzato e con equilibri produttivi spostati ad est, servirebbe un cambio di passo. Solo che negli ultimi dieci anni tutti i progetti di riforma hanno dovuto fare i conti con il conservatorismo, il campanilismo e l’assistenzialismo di lobbies, categorie produttive e moloch burocratici, uscendone sempre sconfitti.
Solo di gettito Iva, per l’erario i porti valgono per l’erario circa 16 miliardi di euro l’anno. Riformarli davvero è un compito necessario ma arduo. Tanto che, si dice, Palazzo Chigi vorrebbe occuparsene direttamente virando su una centralizzazione della materia. Alla fine Renzi avrebbe optato per un rinvio, almeno fino a quando la Costituzione considererà la portualità materia a legislazione concorrente Stato-Regioni.
Da qui l’attuale paradossale situazione: 9 Autorità Portuali su 24 sono commissariate, alcune da anni, e costrette alla sola ordinaria amministrazione anche laddove si potrebbe procedere alla nomina del presidente. Le altre sono alle prese con una legge ormai desueta e parzialmente fumosa, una scarsa autonomia finanziaria ed amministrativa e un sistema privo di una regia centrale. Infine, un articolo di una legge omnibus come lo Sblocca Italia prevede, al fine di migliorare la competitività del sistema, l’adozione di “un piano strategico nazionale della portualità e della logistica”, tentativo peraltro già esperito e fallito dall’ultimo governo Berlusconi.
Sulla procedura di adozione di tale piano fioccano i punti interrogativi. Innanzitutto è stato nominato un comitato tecnico scientifico chiamato a elaborare e valutare “il piano strategico nazionale della portualità e della logistica” previsto dal decreto. Non è dato sapere se dal ministro Maurizio Lupi o dalla presidenza del Consiglio, mancando un’indicazione normativa in tal senso e non essendo ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il relativo provvedimento, confermato però dai diretti interessati e da fonti ministeriali.
La composizione è svariata e già oggetto di facili strali e polemiche. Fra i 15 membri vi sono rappresentanti datoriali (Confitarma, Fedarlinea, Assiterminal, Confetra, Assoporti) ma non dei lavoratori, associazioni solo parzialmente rappresentative (le Autorità portuali di Genova e Ravenna sono uscite recentemente da Assoporti), assenze inspiegabili (ferrovie, autostrade, autotrasporto, etc.). E presenze altrettanto inspiegabili: la Banca d’Italia, un’urbanista dell’Università di Reggio Calabria e Antonio Cancian, neo presidente della Rete autostrade mediterranee, un dipendente fisso e dieci fra consiglieri e sindaci.
Da ultimo è emerso per esplicita ammissione di Lupi che Ernst&Young, società di consulenza individuata con procedura ad invito, affiancherà il comitato scientifico: «Considerati i tempi stretti serviva un supporto operativo che aiutasse il Ministero a redigere il piano. La scelta è ricaduta su un soggetto d’esperienza, capace di garantire una consulenza oggettiva, certificata, autorevole», ha spiegato il ministro in audizione alla commissione Trasporti della Camera, precisando che «il piano della portualità e della logistica includerà anche la riorganizzazione delle Autorità portuali e la definizione della loro natura».
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