Perché si parla così poco del processo a Julian Assange?
A settembre sono ricominciate a Londra le udienze relative al processo sull’estradizione di Julian Assange in USA dove è accusato di spionaggio e uso improprio di computer per la pubblicazione di documenti militari secretati.
Ho già parlato del caso di Assange in un articolo dell’anno scorso sempre qui su Gli Stati Generali: in cui potete trovare alcune informazioni su quello che è, di fatto, uno dei casi più importanti di fuga di notizie e giornalismo degli ultimi anni. Se riconosciuto colpevole, Assange rischia fino a 175 anni di carcere, nei guai assieme a lui finirebbe anche l’ex analista americana Chelsea Manning per aver diffuso centinaia di migliaia di dispacci e cablogrammi segreti che riguardavano le guerre in Iraq e in Afghanistan. Fu in questa occasione che Wikileaks ebbe una notevole esposizione mediatica.
I cosiddetti War Diaries raccolgono informazioni che vanno dal 2004 al 2009, tra essi troviamo anche un caso ormai molto conosciuto, noto come Collateral Murder, un documento video in cui è protagonista un elicottero Apache mentre spara e uccide 15 persone innocenti tra cui un videoreporter dell’agenzia di stampa Reuters. Grazie ai documenti recuperati da Manning e rilasciati da Assange è stato possibile ricostruire molti interventi militari dell’esercito statunitense, uccisioni di civili, occultamento di cadaveri, intrecci tra compagnie petrolifere e governi occidentali. Il punto rilevante additato dall’accusa è quella di aver utilizzato (Manning) computer governativo al fine di, ottenere informazioni considerate in grado di “minacciare la sicurezza degli Stati uniti e recare vantaggio a qualsiasi nazione straniera” per poi renderle pubbliche (Assange).
Una cosa molto importante da segnalare è che i file riguardanti la guerra in Afghanistan furono pubblicati anche sulla stampa occidentale tramite alcuni importanti quotidiani di riferimento come il Guardian, il New York Times e il Der Spiegel che hanno rilasciato le notizie ricevute contemporaneamente, il 25 luglio 2010.
Il New York Times scrisse che la fuga di notizie rappresentava “un archivio di sei anni di documenti militari classificati che offre un’immagine semplice e cupa della guerra di Afghanistan”.
Il Guardian disse che il materiale era “una delle più grandi fughe di notizie nella storia militare degli Stati Uniti, un ritratto devastante della guerra fallita in Afghanistan, che rivelava come le forze della coalizione hanno ucciso centinaia di civili in incidenti non segnalati”.
Der Spiegel scrisse che i redattori capo dei tre quotidiani citati avevano ritenuto che ci fosse un giustificato “interesse pubblico” nella pubblicazione del materiale.
I funzionari dell’esercito americano hanno ovviamente condannato la divulgazione dei segreti militari decretando l’inizio della vicenda legale intentata contro il fondatore di Wikileaks, “moralmente colpevole di aver messo a rischio vite umane”. 10 giorni dopo la pubblicazione gli USA chiesero a Wikileaks di restituire i documenti già pubblicati e anche quelli che erano in procinto di rilasciare in Rete. Il portavoce del Pentagono Geoff Morrell a tal proposito evidenziò quanto il governo ci tenesse a non far trapelare altre notizie, asserendo che gli USA avrebbero trovato altre alternative per costringere Assange e il suo team “a fare le cose giuste”.
Le minacce a Wikileaks sembrarono non funzionare su Assange, tanto che il 22 ottobre 2010 fu pubblicato in Rete un secondo archivio di documenti contenente 391.831 files che raccoglievano i rapporti sul campo dell’esercito degli Stati Uniti, chiamati anche Iraq War Logs, relativi agli anni 2004-2009, diventato il più grande scandalo della storia militare statunitense superando i precedenti Afghanistan Logs. Uno dei dati più allarmanti fu la stima di almeno 15mila morti civili che non erano stati conteggiati dal governo a stelle e strisce, diverse morti civili vennero registrate come vittime nemiche – tra cui anche l’episodio Collateral Murder -, almeno 700 civili furono uccisi per essersi avvicinati troppo a dei posti di blocco, comprese donne incinte o malati psichiatrici, anche una mezza dozzina di incidenti hanno poi coinvolto uomini iracheni che stavano trasportando familiari incinte negli ospedali. Negli Iraq War Logs si trovano anche conferme sul fatto che l’esercito americano avrebbe consegnato diversi prigionieri alla Iraq Wolf Brigade, accusata di aver picchiato i prigionieri, torturandoli con trapani elettrici e giustiziandoli sommariamente.
Anche in questo caso Wikileaks ha collaborato con alcuni media partner internazionali per il rilascio delle notizie, il Guardian fu molto critico nei confronti di come vennero diffusi i documenti accusando soprattutto il il New York Times, il Washington Post ed altri quotidiani di aver sottostimato la portata delle rivelazioni.
Torniamo ad oggi, Julian Assange e Wikileaks sono accusati di aver violato il segreto di Stato. È un punto di svolta. Negli anni precedenti diverse testate giornalistiche, forti di un legame con Assange, avevano fiancheggiato il rispetto del diritto all’informazione, alla libertà di espressione e di stampa, nell’ultimo anno, da quando è iniziato il processo di estradizione in USA hanno lasciato però correre l’evolversi della situazione in secondo piano.
Dall’inizio dell’udienza, lo scorso 7 settembre sembra che lo stesso legame tra Wikileaks e “media” ormai tradizionali sia ben diverso da quello di 10 anni fa. Anche a causa delle normative anti Covid, il personale ammesso in aula è molto poco, gli osservatori di Amnesty International sono stati messi alla porta e riusciamo ad avere notizie solo attraverso alcune testimonianze via Twitter. Nessun editoriale, nessun commento, nessuno dei giornali che condivisero la scelta di diffondere il materiale sulla guerra in Iraq e Afghanistan si è ricordato di Assange quando è ricominciato il processo di estradizione. Perché?
Accostarsi a Wikileaks oggi è molto pericoloso. Mike Pompeo, ex direttore della Cia e attuale segretario di Stato di Donald Trump ha definito il sito di Assange come una sorta di “servizio di intelligence” ostile. L’eventuale estradizione di Assange, potrebbe portare ad un precedente ancora inedito e molto pericoloso per l’informazione: limitare la pubblicazione di informazioni riservate. Quello che è certo è che Assange resta una seppur controversa – mettendo da parte la sua vita personale – figura simbolo del diritto ad informare e di essere informati e rischia di venire accusato e giudicato colpevole con una legge del 1917. Stefania Maurizi che segue il caso Assange come testimone e lo ha incontrato nel 2010 ha detto che “non dobbiamo, non possiamo, dimenticare che qui si sta valutando l’estradizione negli Stati Uniti di un giornalista che ha rivelato crimini di guerra e torture commesse dagli Stati Uniti durante le guerre in Afghanistan, in Iraq e la guerra al terrorismo. Se non è giornalismo questo: in una società democratica deve essere assolutamente permesso a un giornalista di rivelare crimini di guerra e torture senza andare in prigione. È proprio questo che distingue le democrazie dai regimi”.
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