La svastica sul web
Occorreva l’immaginazione degli scrittori di fantascienza, dei grandi creatori di distopie per prevedere che il nuovo fascismo sarebbe cresciuto assieme e grazie alla Rete. E nemmeno quell’immaginazione sarebbe bastata. Naturalmente antiautoritari, i figli della controcultura digitale non si soffermavano, al momento della nascita del web, sui pericoli di un suo uso (formalmente) libero e incontrollato. La vera minaccia cyberfascista per l’utopia della Rete era al contrario rappresentata dall’ideologia del controllo, dal monopolio delle informazioni, e quindi delle idee e delle coscienze, da parte dello Stato e soprattutto delle Big Corporations, delle multinazionali – le stesse produttrici di wafer di silicio e circuiti e fasci di cavi spessi come colonne di cattedrali gotiche senza i quali gli hacktivisti non avrebbero network da violare, né una causa per la quale attivarsi.
Il filone della controinformazione e della lotta alla sorveglianza elettronica è sempre molto florido, sebbene dai tempi di Indymedia ad oggi sia cambiato quasi tutto, in termini quantitativi e dunque, in questo caso, qualitativi. Da una parte abbiamo Wikileaks e la comparsa di schiere di utili idioti nel cosiddetto giornalismo investigativo, devoti di Sant’Assange e del Beato Snowden, addetti a una geniale forma di inconsapevole franchising spionistico nel quale si lavora alle psyop di Putin ma si viene pagati dagli inserzionisti della propria testata. Questo metodo ha per la prima volta fatto eleggere un Presidente degli Stati Uniti, ed è solo l’inizio.
Dall’altra parte – alla base della piramide della propaganda – troviamo i social. O, meglio, il social, Facebook, che per molti italiani è l’unica porta di accesso alla Rete e ha misteriosamente acquisito lo status di fonte primaria di ogni verità. Misteriosamente, perché moltitudini di persone abituate a diffidare dei loro stessi familiari prendono per buona qualunque fesseria strillata nella piazza virtuale da perfetti sconosciuti. Mentre qualcuno insiste ancora sul problema del trattamento dei dati personali (il gelato preferito, i gusti musicali…), della georeferenziazione, della proprietà intellettuale delle fotine delle vacanze, i social network diventano una sorta di sostituto delle coscienze. Il social non è più mezzo di comunicazione, ma protesi cognitiva – eccola qui, la distopia cyberpunk.
A capirlo meglio di tutti, più degli attivisti della sinistra antagonista, sono stati i fascisti, eredi sia della rivolta contro il mondo moderno che dell’entusiasmo futurista. Per la prima volta in settant’anni, la destra radicale detta l’agenda dei temi sensibili, orienta l’opinione pubblica usando in modo geniale la massa degli utonti social come leva sui media tradizionali, che si stanno riducendo a semplici ripetitori di fake news. Il giornale insegue i click e i click arrivano con la paranoia di massa, in una spirale orribile che si autoalimenta (il simbolo dell’uroboro ritorna sempre…). Attraverso questo semplice meccanismo, un’azienda informatica milanese è riuscita persino a fondare un movimento che i sondaggi danno come prima forza politica nel Paese. Ciò che fino a una decina di anni fa era prerogativa di un piccolo arcipelago di siti neonazisti e complottisti è filtrato nel discorso pubblico, divenendo socialmente accettabile.
Beninteso, ciò che sta avvenendo non ha nulla a che vedere con le cospirazioni. Non è necessario immaginare una spectre neofascista, e non ha molto senso identificare nelle comparse attuali (Grillo, Salvini, Meloni e la minutaglia fascista e cattoreazionaria dei vari CasaPound, Forza Nuova, Militia, Popolo della Famiglia) i protagonisti del fascismo che verrà. Non serve una volontà unitaria, non esistono piani. Ciò che serve è la compresenza di alcuni fattori: economie in declino, crisi migratorie, analfabetismo funzionale. A quel punto bastano pochi stimoli, poche esche, poche parole d’ordine per risvegliare nella Nazione i tratti fondamentali della propria autobiografia. Come in Telefon di Don Siegel, film in cui le spie dormienti del KGB vengono attivate da un verso di Robert Frost recitato al telefono, così il fascista collettivo riemerge dal letargo al suono di alcune parole o locuzioni (ben più prosaiche).
Migranti, Euro, PD, ecco le tre paroline magiche. Ciò che non hanno capito neppure molti benintenzionati critici dei vari Borghi, Bagnai, Rinaldi, decisi a confrontarsi con costoro sul terreno delle teorie valutarie, dell’economia e della finanza, è che la storia dell’euro è soltanto un pretesto. Un feticcio retorico che tutti possono vedere. Tutti, persino i mendicanti. Il primo tentativo, più scoperto, perché i legami col neofascismo erano manifesti, fu fatto col signoraggismo. Anche Beppe Grillo, seguace di Giacinto Auriti, cavalcò brevemente quel tema. Ma si trattava da una parte di una questione troppo settoriale, troppo tecnica per il cittadino medio, dall’altra di una bufala che qualunque studente di ragioneria poteva demolire. Occorreva qualcosa di più semplice, che fosse sempre legato al feticcio tascabile, il denaro: la moneta unica.
L’Euro ha avuto oppositori sin dalla sua introduzione, ma per un attacco su larga scala occorreva aspettare il momento giusto. Quale migliore occasione della crisi del debito sovrano in area UE, dunque, per mettere in piedi una violentissima polemica sulla moneta unica, sul processo di integrazione europea, sulle democrazie d’Europa e sullo stesso ordine di pace e prosperità che l’Europa Unita ha garantito finora? L’eurofobia è anche il terreno in cui viene operato quel rovesciamento di senso orwelliano che permette a qualunque nazista fatto e finito – ma non dichiarato – di definire «nazista» l’Unione Europea, di definire le ONG «Organizzazioni Negriere Globaliste» e naturalmente di agitare lo spauracchio del rimpiazzo del maschio bianco, di volta in volta declinato in termini economici, razziali, sessuali.
A minacciare i popoli europei sarebbero la «finanza apolide» e la «classe cosmopolita». Si tratta ovviamente di ellissi utili ad evitare di nominare gli Ebrei, perché questa nuova destra è antisemita quanto la vecchia, pur muovendosi con accortezza, tra simpatie pelose per Israele e islamofobia. Come per i nazisti dell’illinois dei Blues Brothers, anche in questo caso l’accusa è quella dell’«ebreo che usa il negro», ossia di George Soros che minerebbe le economie del continente pilotando i flussi di migranti attraverso le ONG. Lo stesso Gabriele del Grande sarebbe parte del «piano» in quanto finanziato dall’Open Society Foundation di Soros (e quindi anche il sottoscritto, che nel 2007 ha lavorato a un progetto sull’antiziganismo proprio assieme al benemerito OSI di Budapest).
Last but not least, l’idea della fantomatica «ideologia gender» che minerebbe l’ordine naturale, diffondendo l’omosessualità e portando l’uomo bianco all’estinzione. Sullo stesso Macron, sposato con una donna molto più grande di lui, la canea dei maniaci sessuali clericofascisti si è ovviamente scatenata. Diverse tessere di un solo mosaico paranoide, echi non troppo lontani del «white genocide» dei suprematisti bianchi americani, o del più spendibile «grand remplacement» inventato dallo scrittore francese Renaud Camus – un Carrère che non ce l’ha fatta, citato nei mesi scorsi da tutti i vari Salvini, Meloni e Alemanno – o ancora, per gli amanti della tendenza rossobruna, le parafrasi di Marx sull’«esercito di riserva del Capitale», una trovata di Alain de Benoist, vecchia volpe della Nouvelle Droite, che il miracolato Diego Fusaro ha riciclato di recente.
Questo è il mare del liquame nazista che ribolle dalla Rete, e possiamo fare davvero poco contro di esso. Ciò che molti commentatori propongono, dai loro spazi protetti, e cioè un sostanziale controllo dei contenuti del web 2.0, oltre che contraddire i principi della liberaldemocrazia e metterci nelle condizioni della Turchia o dell’Iran, sarebbe del tutto inutile o controproducente. Una vigilanza attiva, un’opera costante di debunking delle bufale da parte degli operatori dei media, degli specialisti e dei singoli cittadini è certamente meritoria, ma è anche possibile che la massa critica sia già stata raggiunta, e non ci resti che prepararci al peggio. Le buone notizie dalla Francia, in ogni caso, non dovrebbero bastare a farci dormire sonni tranquilli.
6 Commenti
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Lei e un somaro!
Spunti molto interessanti in questo pezzo, anche se la suggestione di una “macchina” – per quanto celibe e senza autista – “en marche” verso la barbarie è forse a sua volta un po’ eccessiva, forse per mimesi dal proprio oggetto. Solo una considerazione sull’ Euro: rilevare giustamente la strumentalità “simbolica” della campagna antiEuro non esime dal considerare – laicamente – che l’ Euro senza le necessarie politiche fiscali, sociali ed economiche comuni immaginate alla sua istituzione è oggettivamente diventato un elemento di rigidità squilibrante e sperequante. Non se ne può né se ne deve uscire, ovviamente, ma se si reagisce alla demonizzazione con la santificazione non si incide sulle basi materiali dell’esteso disagio sociale.
Mi sembra di capire, anche se il suo stile narrativo è un po’ confuso, che il signor Gnech sia un fervente europeista di sinistra. Quindi per egli sono tutti nazisti e fascisti tranne i c.d. burocrati della UE che ci hanno garantito la pace per 60 anni. Così almeno ci fanno credere, ma non è vero. Non è vero perché furono proprio le politiche liberiste del secolo scorso che diedero impulso alla nascita del regimi autoritari di nazismo e fascismo. Cioè le stesse politiche liberiste che sta portando avanti la UE. Vorrei far notare al signor Gnech che come la destra patriottica e sociale di oggi è erede del fascismo, allo stesso modo la sinistra radical chic al caviale è erede della sinistra popolare. Solo che nel primo caso c’è stato un affrancamento dalle vetuste ideologie totalitarie della vecchia estrema destra, cioè un’evoluzione in positivo, nel secondo caso invece è stata rinnegata l’ideologia sociale e popolare della vecchia sinistra, cioè un’evoluzione in negativo. Di recente il signor Cremaschi, suo “compatriota”, ha scritto un articolo in cui si dichiarava triste perché avesse vinto Macron e contento perché avesse perso Marine Le Pen. Mi sembra un’affermazione di una stupidità clamorosa, perché la Le Pen è euroscettica tanto quanto Cremaschi e tanto quanto Melenchon, che lui avrebbe desiderato che vincesse. Quindi in pratica, i francesi che avevano votato Melenchon al primo turno, si sono dati da soli le martellate sui coglioni se al secondo turno hanno preferito votare un burattino come Macron piuttosto che la “fascista” Le Pen, ma più vicina idealmente. Che senso ha ancora dopo 80 anni contrapporre fascismo e antifascismo? Che senso ha che esista ancora l’ANPI quando probabilmente i partigiani, sedicenti salvatori della patria, sono ormai tutti morti o quasi? E allo stesso modo, che senso ha che esistano ancora attivisti che si fanno chiamare fascisti? Per fortuna che Casapound non arriva manco all’1%. Dovete smetterla di foraggiare l’odio fascismo-antifascismo, perché è quantomeno anacronistico, per non dire spauracchio per i cretini. Ed è per questo che in Francia ha vinto Macron: grazie ad Avaaz che ha fatto un’imponente campagna mediatica antifascista. Grazie dell’attenzione!
Avaaz: “Un altro bel colpo all’estrema destra”
http://telegra.ph/Un-altro-bel-colpo-allestrema-destra-05-09
è innegabile che i valori dei conservatori di destra siano incivili e procurino problemi, da sempre e ad ogni latitudine; del resto “conservare” già cre aproblemi, vuoi perché ciò che conservi era quanto meno difettoso, vuoi perché il mondo cambia sempre ed il “conservare” di certo lascia senza soluzioni molte questioni aperte che prima non c’erano.
A titolo di esempio, cito la mancanza di una legge sull’eutanasia, e l’impossibilità di 2 cittadini di sposarsi se dello stesso sesso: ciò è incivile nei confronti di questi cittadini che, pur pagando le tasse, si trovano discriminati, cioè non possono far valere loro legittimi diritti
pur avendo votato 5stelle (sentendo il bisogno di un “cane da guardia” contro l’imperante corruzione), condivido parte delle preoccupazioni espresse nell’articolo. E’ evidente lo sfruttamento del popolo dei boccaloni, tra i quali i cattolici sono i primi, ovviamente; la speranza è che parte della base dei 5stelle facciano da anticorpi
Temo che a imporre l’agenda e le parole d’ordine della destra sia, insieme a web e forse anche di più, la “vecchia” televisione… sono tantissimi i talk show che trattano in modo quasi ossessivo i temi dell’immigrazione (raccontandone sempre e solo gli aspetti problematici), della sicurezza (affiancando inevitabilmente la propaganda a favore della “legittima difesa”) e dell’uscita dall’euro (argomento, a dire il vero, un po’ caduto in disgrazia, forse perché usurato). Anche qui c’è una spirale che si autoalimenta: questi temi fanno audience, quindi vengono continuamente rilanciati; così generano ansia e paranoie, suscitano reazioni emotive forti che accrescono l’audience… come interromperla? Magari cominciando a parlare d’altro, anziché inseguire la destra sul suo terreno come purtroppo tendono a fare un po’ tutti (al M5S al Pd ad alcuni esponenti della sinistra)