Gli studenti mappano i problemi delle loro città grazie al progetto “S.A.V.E.”


Con allo sfondo le dimissioni del ministro Fioramonti e l’avvicendamento dei due nuovi ministri che si spartiranno Scuola con Ricerca e Università, mi auguro che non venga rimessa in discussione – come già avvenuto nel passato recente – l’introduzione dell’educazione civica nei programmi di studio scolastici. Soprattutto per il fatto che sarà prevista anche una parte relativa all’educazione civica digitale.
Perché? Una lunga serie di eventi preoccupanti ha coinvolto la quotidianità digitale di milioni di persone sparse per il mondo, dalla violazione dei nostri dati personali, all’utilizzo illegittimo di questi per influenzare l’opinione pubblica, dall’imbruttimento dei comportamenti online di tantissimi utenti all’esplosione di bufale e disinformazione su tanti canali social. Per non dimenticare i rischi di esposizione a contenuti sensibili o non adeguati dei nostri minori o adolescenti.
È ormai un dato di fatto che la nostra vita, nel suo complesso, sia la somma di quelle reale, “analogica” fatta con relazioni dirette, e di quella digitale. Entrambe le porzioni non sono più facilmente distinguibili, separabili, anzi una si intreccia e confonde con l’altra in modo indissolubile. E questo non è per forza un male, un problema. È anche e soprattutto un’opportunità per potenziare, appunto, le proprie relazioni umane, il proprio contatto con il mondo, l’essenza insomma su cui si basa la nostra vita. Ma si deve essere preparati ed attrezzati.
Un gruppo di anziani all’Università della terza età per una lezione sulla Netiquette
Per affrontare la fetta di vita reale, ognuno di noi ha bisogno di un lungo percorso educativo ed esperienziale; lo stesso vale e deve valere per la parte digitale: finire online senza i rudimenti minimi per gestire strumenti ormai complessi e pervasivi è davvero diventato un rischio. Per sé stessi e – giusto per inquadrare la tematica nella sua oggettiva importanza – per i nostri meccanismi democratici. È fondamentale infatti che il cittadino possa discutere e confrontare liberamente le proprie idee con quelle degli altri e che possa essere informato nel modo più completo possibile su quello che accade nelle sedi pubbliche e su quello che pensano gli altri anche tramite più organi di informazione come radio, TV, giornali liberi e non sottoposti a censura o che diventino strumento di propaganda.
Ecco perché bisogna fortemente promuovere e diffondere iniziative volte ad attrezzarci tutti dell’educazione digitale. La prima è la Netiquette, ovvero il galateo informatico, che raccoglie tutta una serie di regole e buone norme per comportarsi e rapportarsi educatamente e civilmente quando si è online. In molti casi, si tratta di buon gusto: usare il maiuscolo ad esempio per scrivere corrisponde ad urlare e dovrebbe essere evitato. In tanti altri, si parla di violazioni di legge, di reati penali (esempio su tutti, offendere o diffamare qualcuno su un semplice commento ad un post).
La seconda iniziativa – e forse la più importante – è quella citata ad inizio articolo: lo studio dell’educazione digitale che, secondo le fonti del ministero, dovrebbe prevedere l’acquisizione da parte degli studenti delle seguenti competenze:
Mica robetta da poco, insomma. Forza e coraggio allora ai nuovi ministri, abbiamo bisogno tutti di tanta educazione civica digitale!
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