Una visione, please

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23 Maggio 2019

Quando la mattina del 24 giugno 2016 l’Europa si svegliò investita dal terremoto della Brexit, tutti o quasi pensammo che il futuro dell’Unione sarebbe stato argomento centrale nel dibattito delle successive Elezioni Europee, specialmente nel nostro Paese. Ci ricordiamo bene, infatti, i tweet entusiasti di Beppe Grillo e di Matteo Salvini che, celebrando il trionfo del Leave, auspicavano anche per l’Italia un destino separato da Bruxelles. Non dissimili furono le reazioni dei sovranisti degli altri paesi europei (e non solo: si pensi a Trump).

A distanza di tre anni, la Brexit si è rivelata – anzi, si sta rivelando, essendo il processo ancora ben lungi dalla conclusione – tutt’altro che il trionfo auspicato dai sovranisti nostrani e non, e anzi si è tramutata in un Calvario politico che sta mettendo a dura prova un sistema come quello britannico noto per la sua solidità. Alla luce di questa esperienza, i paladini dell’Italexit si sono riposizionati in buon ordine, col risultato che di uscite dall’Unione Europea o dall’euro non si parla più, o comunque non nella maniera preminente che ci si sarebbe attesi tre anni fa.

Venendo meno questo tema capitale (Europa sì / Europa no), il dibattito si è squagliato nelle classiche chiacchiere all’italiana che hanno reso questa campagna elettorale la consueta fiera del nulla, in cui si è parlato di tutto tranne che di contenuti, men che meno incentrati sull’Europa. Giusto per fare un (inevitabilmente parziale) riepilogo, nelle ultime settimane il menu ha offerto il caso Siri, gli striscioni anti-Salvini esposti sui balconi delle case italiane, lo stipendio di Fabio Fazio e i baci al rosario sempre da parte del Ministro degli Interni sul palco di Milano, con conseguenti critiche del Vaticano. Il quale Vaticano era stato protagonista della vicenda delle bollette del palazzo occupato a Roma, a sua volta attirandosi le ire del verboso leader della Lega. Il tutto, naturalmente, in aggiunta alle immancabili discussioni sui migranti, sui porti aperti o chiusi e sui relativi interventi della Magistratura. Come si nota, peraltro, tutto o quasi incentrato su Salvini e se si è udita la voce dell’opposizione, quasi sempre è stato solo per criticare Salvini stesso. Poco o nulla sull’Europa quindi, e se per sbaglio se ne è parlato, lo si è fatto solo nel contesto – di nuovo – delle rituali sparate del Ministro degli Interni che ha auspicato lo sfondamento dei parametri di Maastricht su deficit e debito (il tutto con immediati effetti sullo spread, ça va sans dire).

In tutto questo, Lega e M5S sono riusciti nella non facile operazione di apparire contemporaneamente maggioranza e opposizione, litigando giornalmente su tutto (peraltro ormai con toni che fanno dubitare che sia solo strategia elettorale), togliendo così spazio a quei partiti, PD e Forza Italia su tutti, che tecnicamente sarebbero la vera opposizione. Lo stesso Luigi Di Maio, che non più tardi del dicembre 2017 affermava che in caso di referendum sull’euro avrebbe votato per uscirne, si è ultimamente tramutato nel garante dell’osservanza dei dettami europei e non ha perso occasione per bacchettare il collega di governo per le sue uscite di cui sopra (è abbastanza chiaro il tentativo di ritagliarsi un ruolo nella maggioranza nel prossimo Europarlamento da parte del capo politico del M5S).

Di programmi, per l’appunto, si discute marginalmente, se non per nulla. I 10 punti del PD sono noti forse solo ai candidati, o magari nemmeno a loro, e peraltro se si prendesse la briga di confrontarli con il programma del M5S si troverebbero molti punti in comune, a partire dal salario minimo europeo. Quanto alla Lega, basta ricordare lo slogan “No alle 4 B: burocrati, buonisti, banchieri e barconi”, francamente di una miseria sbalorditiva e quasi comica, se non facesse piangere.

Ma il vero nodo di fondo è che la mancanza di reali programmi non appare solo una scelta strategica figlia della considerazione che ormai la competizione politica avviene più sul piano della comunicazione che della sostanza. Piuttosto, è figlia del fatto che i partiti non sono più in grado di costruire e quindi manifestare una visione. I partiti della Prima Repubblica – pur con tutti i difetti di quella stagione – erano primariamente delle comunità di valori che esprimevano una visione del mondo. E naturalmente potevano farlo perché a monte vi era una profonda consapevolezza, culturale prima ancora che politica, che stava alla base di una riflessione sulla società. Oggi tutto questo manca in maniera drammatica, trasversalmente tra i partiti. Lo stesso PD, che indubbiamente eredita una tradizione di forte spessore culturale, si barcamena da anni in lotte tra notabili e sembra incapace di produrre una visione che vada oltre i rituali attacchi al Governo. Il cosiddetto Piano per l’Italia lanciato da Zingaretti nei giorni scorsi vuole probabilmente muovere in questa direzione, ma non è che un abbozzo di quello che dovrebbe essere un ragionamento ben più profondo.

Per questo chiediamo ai partiti: passate le Elezioni Europee, cominciate a parlare di contenuti reali. Diteci che idea di Paese avete, diteci come vedete l’Italia e l’Europa nel 2050.

Noi in Yezers lavoriamo proprio con questo approccio. Organizziamo eventi e promuoviamo dibattiti per stimolare la formazione tra le giovani generazioni di quella consapevolezza politica e culturale che si traduce in una riflessione sulla società e quindi in una visione. Le nostre proposte – che illustreremo a partire dalle prossime settimane – rispondono proprio ad una più complessiva idea di Paese che abbiamo in mente per i prossimi decenni.

È su questo punto di fondo che Yezers vuole stimolare il dibattito: in estrema sintesi, vogliamo riportare al centro la parola “futuro”.

 

Samuel Carrara

Responsabile Editoriale di Yezers

 

TAG: elezioni europee 2019, europa, futuro, partiti, visione, Yezers
CAT: Istituzioni UE, Partiti e politici

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