Il brutto paese dei fascistelli che minacciano Taddei invece di litigarci

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14 Novembre 2014

Solidarietà a Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, oggetto di minacce che fanno riferimento al jobs act e quindi sottoposto a protezione dalla pubblica sicurezza. Piena, integrale, senza riserve. L’ho conosciuto, di sfuggita, a un’intervista pubblica durante l’ultimo congresso del Pd, in cui Taddei rappresentava la mozione Civati, in una serata di chiacchiere e discussioni politico-economiche finita mangiando un kebab, nel cuore della notte, a Milano. Non lo vidi prima, né dopo, ma fa sempre impressione – un’impressione più forte – sapere che qualcuno cui hai stretto la mano, con cui hai parlato e scherzato, attraversa un momento come questo, complesso e di tensioni per sua moglie e per i suoi bambini.

Un’impressione forte, al di là di quell’intervista e di quel kebab, perché in questo paese certe cose sembrano non cambiare mai. Passa il tempo, cambiano le sigle politiche, si spostano i baricentri della discussione, si indeboliscono gli interessi rappresentati e  i corpi intermedi, ma gli stronzi restano stronzi. Quando si parla di mercato del lavoro, in particolare, gli stronzi sono solitamente violenti, son convinti di essere marxisti ma si comportano da fascistelli picchiatori, ed esercitano il dissenso politico – o il narcisismo psichiatrico? – con la minaccia. È un’abitudine radicata, fin dai decenni più bui del secondo novecento, e fa davvero sgomento vedere che ogni volta il riflesso condizionato scatta uguale a se stesso.

E dire che a Taddei e a Renzi, sul mercato del lavoro e sul jobs act che si avvcina all’approvazione, di cose da dire ce ne sarebbero, ce ne sono tante. E noi, da queste parti, lo abbiamo fatto e continueremo a farlo. Sarebbe giusto e doveroso chiedere perché questa riforma ha assunto questa improvvisa centralità, sulla base di quale analisi economica di congiuntura, con quale aspettativa e valutando quali proiezioni probabilistiche future, dopo aver analizzato in un dibattito pubblico degno di questo nome quali effetti avevano generato le precedenti riforme: a cominciare da quella di Elsa Fornero che già, nei fatti, aveva fortemente depotenziato gli effetti inibitori dell’articolo 18 così come era stato concepito in uno Statuto 45 enne. Sarebbe doveroso confrontarsi sul dubbio che questa discussione serva a Renzi e Camusso per misurarsi, definirsi rispetto all’avversario, in definitiva a conservare il proprio – diverso, contrapposto – blocco di potere. Sarebbe bello anche discutere di quale idea e di quali progetti, davvero, ha questo governo per un’intera classe e generazione di lavoratori che dallo statuto e da queste modifiche non sono minimamente toccate. E che dagli ultimi interventi del governo, in ogni caso, non hanno nulla da guadagnarci.

Sarebbe bello e importante confrontarsi con Taddei e con la classe politica che rappresenta su questi temi, cruciali. Lo facciamo e lo faremo, dando spazio anche alle critiche più profonde e dure. È un diritto che difendiamo per noi e per tutti, perché è salute, informazione, in definitiva democrazia. È la prima, più radicale pratica di contrasto alla violenza della minaccia recapitata a un economista che fa politica. Perché parte dalla convinzione che chi sbaglia può perfino accorgersene, cambiare idea, migliorare il proprio percorso. Questo naturalmente vale per Taddei, non per quelli che lo minacciano. Con certa gente non parliamo proprio: anzi, con queste poche righe, ne abbiamo già parlato fin troppo.

TAG: filippo taddei, Jobs Act, Matteo Renzi, minacce, Pd
CAT: Lavoro, Partiti e politici, Politica

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