Serenamente NO

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15 Novembre 2016

Buongiorno, mi qualifico, penso che se il 4 dicembre vincerà il Sì il mondo andrà avanti e penso che se vincerà il No il mondo andrà avanti. Quello che ci rimarrà, se la riforma fosse approvata, sarà il precedente che una maggioranza risicata (eletta con una legge elettorale dichiarata incostituzionale) può modificare la costituzione. Ci rimarranno anche una serie di articoli della Costituzione scritti male.

Penso che il paese sia davanti ad una crisi politica e non istituzionale, con una classe politica che, incapace di mediare e fare sintesi (caratteristiche fondamentali della Politica), scarica la colpa sulla costituzione. La quale invece in presenza di solida volontà politica funziona ancora benissimo (la riforma Fornero fu approvata in 18 giorni). Noto da parte delle forze promotrici della riforma una corsa verso la semplificazione anche di fronte a realtà complesse, e temo che, ad una diagnosi sbagliata, potrebbe corrispondere una cura non innocua che non eliminerà problemi e malcontento.

Negli ultimi due anni sono stati approvati Jobs-Act, Sblocca Italia e Buona Scuola e ora viene fuori che per fare ripartire l’Italia #bastaunSì e che quei provvedimenti non hanno funzionato per colpa delle briglie implicite nella costituzione.

Abbiamo di fronte una classe politica miope che davanti a contingenze vuole cambiare la costituzione che dovrebbe invece rimanere un patto di garanzia che va bene per tutte le stagioni.

Ma entriamo nel merito, che poi è quello che importa veramente.

Il Senato, innanzitutto, non scompare ma subisce parecchie trasformazioni. Secondo i nuovi articoli della riforma esso non darà la fiducia al governo ma mantiene una funzione legislativa (per leggi elettorali, modifiche costituzionali e altre materie di non poca importanza), esprime pareri sulle leggi approvate dalla camera (non vincolanti), continua ad eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte Costituzionale. La sua formazione è ancora pervasa da mistero, sappiamo (art. 57) che i consigli regionali sceglieranno “fra i propri componenti” i senatori con metodo proporzionale e in un altro comma “in conformità alle scelte degli elettori”. Se ci aggiungiamo che bisogna anche scegliere un sindaco per regione e che deve essere garantito l’equilibrio di genere, il tutto diventa parecchio confuso. Serve una legge, che non c’è per ora. Serve avere fiducia, ma in chi?

Questo senato delle autonomie viene nobilmente accostato al Bundesrat tedesco (la camera dei lander) ma se ne discosta in primis per l‘assenza di obbligo di voto congiunto. Nel nostro nuovo senato i lombardi non saranno tenuti a votare tutti uguali, quindi in base a cosa voteranno? In base ai partiti sembrerebbe la risposta più immediata. Quindi sparisce piuttosto velocemente la rappresentanza delle autonomie così sventolata dai promotori. Che poi scusate, ma in una riforma che centralizza (come vedremo a breve) che senso ha creare una camera che imita (senza grande successo) la seconda camera di un paese davvero federale come la Germania? Mistero.

E poi, oltre ai 95 tra consiglieri regionali e sindaci, ci saranno i 5 senatori scelti dal Presidente della Repubblica, per meriti verso la nazione. Ma loro che autonomie locali rappresenterebbero? Non è, quantomeno, chiaro.

I nuovi Senatori manterranno il doppio incarico, siano essi consiglieri regionali o sindaci: è lecito chiedersi come faranno a svolgere bene due lavori. Su materie molto diverse e in luoghi anche distanti e con un calendario dei lavori che dovrà coordinarsi con quello di venti (anzi ventuno che le province autonome contano per due) consigli regionali e venti consigli comunali. Permettetemi di essere perplessa.

Rinunciamo ad un bicameralismo perfetto, per adottare un quello che alcuni hanno efficacemente definito un bicameralismo pasticciato. La volontà dichiarata di semplificazione del processo legislativo dei riformatori, si è sonoramente schiantata contro l’articolo 70, lungo e non facilmente comprensibile (come invece dovrebbe essere una costituzione) che delinea i caratteri del nuovo processo legislativo. Le leggi, dovesse passare la riforma, avranno diversi iter di approvazione a seconda della materia che andranno a regolamentare. Ci sarà il bicamerale perfetto, il monocamerale partecipato (il Senato può intervenire) e due versioni di monocamerale rinforzato (il Senato deve intervenire). Sappiamo benissimo che le leggi spesso sono oggetti complessi e che coprono diversi ambiti e materie e potrebbe non essere ovvio con quale iter debbano essere approvate. Qualora non ci sia univocità di pensiero decideranno i presidenti di Camera e Senato, e qualora questi parlamentari (che immaginiamo mossi esclusivamente dall’interesse per il bene comune e non da interessi di parte) non trovino un accordo bisognerà ricorrere al parere della Corte Costituzionale.

A me poi non sembra fantascienza immaginare che cittadini che non siano d’accordo con una legge facciano loro ricorso alla suprema Corte per un vizio nell’iter di approvazione. Tutto questo ovviamente non contribuirebbe alla certezza del diritto, che quella sì che è un problema tutto italico. Troppe leggi che cambiano continuamente ed è difficile starci dietro.

Come si è detto poco sopra è probabile che i senatori risponderanno ai partiti che li hanno eletti/nominati in Senato e qualora le due camere avessero maggioranze diverse non faccio fatica ad immaginare un ostruzionismo del Senato nei confronti della Camera con interventi su tutte le leggi. E così potrebbe svanire anche l’accelerazione nel processo legislativo, di cui sembra esserci bisogno.

Il Presidente della Repubblica mantiene per fortuna tutte le sue prerogative, ma cambiano le maggioranze che servono per la sua elezione. Per i primi tre scrutini serviranno i due terzi dell’assemblea, per i secondi tre scrutini serviranno i tre quinti dell’assemblea ma dal settimo basteranno i tre quinti dei votanti. Ma perché? Ma che bisogno c’era di accelerare anche la scelta dell’unica vera figura di garanzia, che trova la sua legittimità proprio nell’ampiezza del consenso necessario per essere eletto. Pertini, come ci è stato ricordato, fu eletto al sedicesimo scrutinio.

La riforma ambisce anche a mettere ordine nel rapporto tra stato e regioni, eliminando la legislazione concorrente (introdotta nel 2001) che tanto contenzioso ha generato davanti alla Corte Costituzionale. Alcuni esperti ritenevano ormai in via di assestamento il numero dei conflitti di attribuzione anche grazie alla giurisprudenza prodotta negli anni dalle sentenze della Corte, quindi forse un tale stravolgimento del Titolo V non era necessario. Anche perché è vero che la riforma sbatte fuori dalla porta molte competenze delle regioni, ma poi le fa rientrare dalla finestra con la dicotomia linee generali/organizzazione e si preannunciano nuovi conflitti. Basti pensare al patrimonio culturale la cui valorizzazione è in capo allo stato ma la cui promozione è in capo alle regioni. La ripartizione a me pare tutto fuorché netta.

Ci si muove nella direzione di un rinvigorito centralismo per tutte le regioni, eccetto quelle a statuto speciale. A loro infatti la riforma non si applicherà fino alla revisione degli statuti per la quale servirà l’intesa con le Regioni, come scritto in una delle norme transitorie (che valgono come la costituzione). Si è scelto di fatto quindi di equiparare gli statuti delle regioni a statuto speciale alla costituzione che è l’unica “legge” che ha in costituzione le norme per la sua revisione (art 138) inserendo la novità di questo elemento di natura “pattizia” per procedere al rinnovo degli statuti. Servirà quindi l’accordo e il consenso della Sicilia (o una delle altre regioni speciali) per togliere competenze e autonomie alla Sicilia, strada che non vedo priva di intralci. Quindi nell’attesa, aumenta in maniera sostanziale il divario tra regioni normali e speciali.

Ci sarebbe altro da dire, ma credo che basti. Penso che questa riforma sia scritta male e che potenzialmente creerà più problemi di quanti vorrebbe risolvere. Rifiuto l’accusa di conservatorismo e di immobilismo, perché davanti alla costituzione non credo sia permesso essere pressapochisti e questa riforma lascia troppi punti interrogativi oltre a certezze con cui è più che legittimo non essere d’accordo (come la non elettività del Senato). Non ho apprezzato il metodo con cui è stata approvata, ma queste forse sono sottigliezze su cui ormai è inutile discutere. Non apprezzo il clima da scontro finale e armageddon che da ogni parte si è contribuito a creare. Non apprezzo molti di quelli che voteranno come me, ma con i referendum spesso succede. Voterò convintamente e serenamente NO, nel merito. È quello che penso si debba fare con la costituzione.

Poi se volete abolire il CNEL firmo quando volete.

 

TAG: referendum, referendum 4 dicembre, Riforma costituzionale
CAT: Legislazione

5 Commenti

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  1. jacbas 7 anni fa

    Sul Senato: è il Diritto – nella sua solida tradizione occidentale – che determina il fatto che legge elettorali siano norme ordinarie e non costituzionali. Non è quindi una questione di fiducia la legge che attuerà l’elezione dei futuri senatori, ma il rispetto della stessa Costituzione – ovvero delle prerogative del Parlamento sovrano – che tanto si pretende di difendere.
    Inoltre è stato lo stesso Parlamento sovrano a decidere di configurare la propria composizione ed il proprio funzionamento rispondendo più ad un’amplia e pluralista rappresentanza politico-partitica invece di rappresentare unicamente il livello del governo regionale. Per i fautori dell’allargamento delle maglie democratiche, questo dovrebbe essere un valore e non una diminutio.
    Sul doppio incarico, è veramente un mero argomento propagandistico, perché in tutti i sistemi in cui si sceglie di avere una seconda camera delle autonomie locali essa naturalmente è composta di esponenti rappresentativi di quelle autonomie.

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  2. jacbas 7 anni fa

    Sull’art. 70: credo che la descrizione-spiegazione qui esposta sia molto esauriente. Basta infatti approfondire un attimo la lettura del testo per tradurre l’analitica formulazione dei procedimenti legislativi che saranno in essere con il nuovo bicameralismo differenziato. Un’enorme innovazione che non può essere negata per una normale clausola generale di chiusura presente in tutte le Costituzioni. Inoltre l’accelerazione temporale dell’approvazione delle leggi non può essere negata con l’argomento delle due maggioranze contrapposte tra Camera e Senato perché se non per un numero ristretto di leggi – e per fortuna, aggiungerei, visto che stiamo parlando delle revisioni costituzionali e gli ordinamenti delle autonomie locali per lo più – comunque il Senato al massimo avrà 40 giorni per esprimere il proprio parere riguardo la restante stragrande maggioranza delle leggi approvate dalla Camera, che possederà inoltre la libertà finale di approvare o cassare le modifiche approvate dal Senato.

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  3. jacbas 7 anni fa

    Sul PdR: l’unico dato di fatto è che viene allargato il quorum per poterlo eleggere. Quindi mai nessuna maggioranza parlamentare – neanche quella “autoritaria” immaginata con l’Italicum – potrà scegliersi da sola, senza il contributo delle opposizioni, il proprio PdR.

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  4. beatrice 7 anni fa

    Decima super-bugia. Si aumenterà “la maggioranza necessaria per eleggere il Presidente della Repubblica” scrive Renzi. Anche qui! Ma questo nostro presidente del Consiglio crede che gli italiani siano tutti beoti? Basta legge l’art. 83 riformato e saper fare un po’ di conti per sbugiardare questa sua ennesima dis-affermazione. Vi rimando all’acutissima analisi di Tomaso Montanari (http://temi.repubblica.it/micromega-online/riforma-costituzionale-il-diavolo-si-nasconde-nei-dettagli/) che vale la pena leggere per il godimento della mente, pubblicata su Micromega da huffingtonpost.it lo scorso 19 ottobre. Il testo vigente della Costituzione recita che per i primi tre scrutini occorre la maggioranza di due terzi del Parlamento (Camera e Senato) e che dopo il terzo scrutinio (ovvero dal quarto in poi) è sufficiente la maggioranza assoluta (50% più 1). Fino alla elezione definitiva. Nel testo riformato, si legge invece che, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea e dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Letto bene? Contando sulla nota ignoranza degli italiani in matematica, chi ha scritto la riforma ha giocato su una superficiale interpretazione delle parole. Sarà più alto il numero dei parlamentari con la maggioranza assoluta o con i tre quinti dell’assemblea o dei votanti? Montanari dimostra che, dato un corpo elettorale di 732 elettori tutti presenti (630 della Camera e 100 elettori più i 2 presidenti emeriti Napolitano e Mattarella del Senato) : nei primi tre scrutini (come ora) per eleggere il Capo dello Stato ci vorranno i due terzi dell’assemblea, ovvero 488 parlamentari. Dal quarto scrutinio fino alla elezione l’articolo vigente richiede la maggioranza assoluta: 732 diviso 2 + 1, ovvero 367. Nell’articolo riformato, dal quarto al sesto scrutinio il quorum per l’elezione presidenziale scende ai tre quinti dei componenti ovvero a 440. Se tutti i parlamentari fossero presenti. Ma siccome il numero legale (art. 64 Cost. non riformato) è la maggioranza assoluta si potrebbe verificare il caso che siano presenti solo 367 parlamentari tra Camera e Senato. I tre quinti dei parlamentari, in questo caso, sarebbero pari a 221. Dunque la nuova Costituzione prevede che dalla settima votazione il Capo dello Stato si elegga con una maggioranza minima di 221 voti, cioè con una maggioranza che è tutta nella disponibilità del singolo partito che avrà vinto le elezioni (340 deputati), anche se al Senato non dovesse avere nemmeno un seggio! Se poi, addirittura, si arrivasse al settimo scrutinio sarebbe sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Ovvero dei presenti!!! “In pura teoria, per eleggere il presidente della Repubblica basterebbero 3 voti su 5 votanti, purché ci siano 367 presenti a garantire il numero legale. Non accadrà mai? – si domanda Montanari – È molto probabile. Ma diventa davvero colossale l’arbitrio dei signori del voto parlamentare, che potranno agitare la minaccia di colpi di mano, fare uscire ed entrare dall’aula interi gruppi, pescare nel torbido: con i famosi 101 franchi tiratori che impallinarono la presidenza Prodi abbiamo imparato quanto l’elezione dell’inquilino del Quirinale possa essere velenosa e opaca”.

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  5. mario-bosso 7 anni fa

    Signora o signorina Michela Cella se avessi il suo indirizzo le manderei un mazzo di rose rosse. :-)

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