Untold#4: il lobbying visto da Pier Luigi Petrillo (Unitelma Sapienza e Luiss)

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25 Gennaio 2021

Pier Luigi Petrillo è professore ordinario di Diritto comparato all’Università Unitelma Sapienza di Roma e Professore incaricato di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli. Ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali tra cui capo di gabinetto, vice capo di gabinetto, capo vicario dell’ufficio legislativo, consigliere giuridico dei ministri dell’Ambiente, dei Beni Culturali, dell’Università e Ricerca, dell’Agricoltura, delle Politiche europee. È stato consulente OCSE sul lobbying, membro delle due commissioni governative per l’elaborazione di provvedimenti sul lobbying (governi Prodi nel 2007 e Letta nel 2013), membro della commissione di studio sul lobbying del Dipartimento politiche europee nel 2012, e del Ministero della Giustizia nel 2011-2012. Ha diretto l’ufficio lobbying del Ministero delle Politiche Agricole ed ha introdotto l’Agenda Trasparente presso il Ministero dell’Ambiente. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche sul tema, da ultimo il manuale “Teorie e tecniche del lobbying” (Il Mulino, 2019).

 

Cosa significa per lei lobbying e perché non deve essere considerata una pratica opaca come invece spesso avviene?
Il lobbying è quell’attività attraverso cui i gruppi di pressione (ovvero gruppi di persone accomunate da un medesimo interesse) partecipano al processo decisionale influenzando il decisore pubblico al fine di trarne un vantaggio diretto o indiretto, anche di natura non economica, come nel caso delle associazioni che rappresentano interessi ambientali o religiosi o volti a tutelare i diritti umani. In sostanza, attraverso l’attività di lobbying, il portatore di interesse è colui che fa in modo che il decisore pubblico acquisisca informazioni corrette (chiare e veritiere) su un determinato argomento al fine poi di effettuare scelte libere e consapevoli; ovviamente, però, trattandosi di un portatore di interessi particolari, egli evidenzierà gli aspetti che maggiormente lo riguardano, spettando al decisore pubblico il compito di sintetizzare i diversi interessi particolari per definire una scelta ad effetto generale e vincolante. Quindi, nei sistemi democratici, in cui il pluralismo è elemento indefettibile, l’attività di lobbying non solo è legittima ma è essa stessa indice di democraticità del sistema. Non a caso in quegli ordinamenti tradizionalmente classificati come non democratici, non vi è alcuno spazio per il lobbying, né alcuna possibilità di azione per i gruppi di pressione. La stessa Corte Costituzionale con tre note sentenze – la n. 1 e la n. 290 del 1974 e la n. 379 del 2004 – ha riconosciuto come legittima l’attività di influenza svolta da portatori di interessi nei confronti dei decisori pubblici. Tuttavia, questa visione democratica del lobbying, come già evidenziato, trova ragione di esistere solo in presenza di norme che assicurino la trasparenza del processo decisionale e la parità di accesso al decisore pubblico.

 

Qual è la condizione attuale del lobbying in Italia?
In Italia, la percezione dei gruppi di pressione come di un tabù giuridico e una concezione contraria al riconoscimento del ruolo di attori del sistema democratico in favore delle lobby hanno fatto sì che tali soggetti operassero nella totale assenza di regole organiche e di trasparenza. Il processo decisionale pubblico, infatti, lungi dall’essere depurato dalle “interferenze” delle lobby, è rimasto avvolto nella totale oscurità, nel senso che è impossibile ricostruire la filiera del processo medesimo, gli interessi che sono stati coinvolti, le motivazioni alla base delle decisioni assunte, le responsabilità, le colpe e i meriti individuali e collettivi. In Italia, è dato solo rinvenire talune norme sparse nell’ordinamento che disciplinano profili più o meno marginali del fenomeno lobbistico determinando una regolamentazione composita, disorganica e frammentata. La si può definire una “regolamentazione strisciante ad andamento schizofrenico” in quanto le norme che concernono, anche indirettamente, gli interessi organizzati ai processi decisionali pubblici sono disapplicate, violate, contraddette nei comportamenti e sono spesso confuse all’interno di provvedimenti il cui fine non è quello di regolare il fenomeno lobbistico.

 

Quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra lobbying e politica?
In un ordinamento democratico, il rapporto tra lobby e politica è effettivo esercizio di democrazia e strumento per assicurare il pieno soddisfacimento degli interessi collettivi quando, al pari di qualsiasi altra attività legittima, è regolamentato, così da consentire a tutti i portatori di interessi di intervenire nel processo decisionale, a tutti i cittadini di conoscere quali soggetti siano intervenuti, e a tutti i decisori pubblici di acquisire le informazioni necessarie per assumere la decisione e risponderne (accountability).

 

Come si incentiva la pratica del lobbying trasparente?
Un ordinamento, per assicurare una regolamentazione trasparente del fenomeno lobbistico, deve rendere conoscibile ogni fase del processo decisionale, consentendo a chiunque di comprendere i motivi dell’azione posta in essere dal decisore pubblico e i vari interlocutori di quest’ultimo. A tal fine, è necessario che portatori di interesse e decisori pubblici rispettino talune regole di trasparenza e adempiano a determinati obblighi. Ad esempio, in alcuni Paesi i lobbisti devono iscriversi in un registro pubblico, indicando i profili principali della loro attività di influenza (i propri recapiti e quelli della propria società, l’attività prevalentemente svolta, i riferimenti del cliente, l’interesse che si intende tutelare, i riferimenti di quanti sostengono tale attività con determinati versamenti, il settore in cui prevede di svolgere la propria attività di lobbying, ecc.); i decisori pubblici, invece, sono tenuti ad indicare, puntualmente e periodicamente, non soltanto i redditi da loro percepiti a qualsiasi titolo, ma ogni interesse, anche culturale o sociale, di cui sono comunque portatori (se hanno incarichi remunerati in società pubbliche o private, se svolgono altre professioni, se hanno ricevuto regali o vantaggi economici di una certa rilevanza, se sono titolari di pacchetti azionari, obbligazioni o altri investimenti, se posseggono terreni o immobili, se partecipano ad associazioni culturali, benefiche, no profit o altro). In alcuni ordinamenti è stato anche introdotto l’obbligo per i decisori pubblici di tenere un’agenda degli incontri avuti con gli stakeholder in modo da consentire a chiunque di conoscere la relazione lobbistica.

 

Come incide un’attività di lobbying trasparente sull’economia di un Paese?

Il lobbying può essere considerato uno strumento democratico di crescita economica. Compito primario dell’Autorità politica, di ogni ordine e grado, in un sistema democratico, è quello di assicurare il soddisfacimento degli interessi collettivi assumendo decisioni nell’interesse generale. Quest’ultimo, tuttavia, non è il frutto di una elaborazione solitaria del decisore pubblico o l’esito di una riflessione teorica e solipsistica, bensì deriva da una contrapposizione tra interessi particolari dinanzi ai quali il decisore pubblico è chiamato a svolgere una funzione di mediazione e di sintesi. L’interesse generale non è qualcosa che cala dall’alto e di cui il decisore è portatore universale; esso è l’esito di un processo (il processo decisionale, appunto) in cui una serie di parti (portatrici di interessi particolari) devono avere il diritto di presentare la propria posizione, ad armi pari e secondo rigorose norme di trasparenza, consentendo così al decisore pubblico di elaborare la scelta finale nell’interesse della collettività, assumendosi ogni responsabilità per la propria azione. Quindi, tanto più l’interazione fra portatori di interessi e decisori pubblici si svolge in modo virtuoso (assicurando parità di accesso, trasparenza e accountability), tanto più il processo decisionale è in grado di addivenire a politiche pubbliche performanti, idonee ad incidere positivamente sull’economia di un Paese.

 

Quali sono gli effetti dell’iscrizione dei gruppi di rappresentanza al Registro europeo?

La reale effettività del Registro per la trasparenza europeo manca e va ascritta essenzialmente a due fattori: il fatto che il sistema vigente sia su base volontaria (quindi è lecito esercitare attività di lobbying presso le istituzioni dell’UE senza previa iscrizione nel registro) e il fatto che esso coinvolga solo il Parlamento e la Commissione Europea e non anche il Consiglio dell’Unione Europea (secondo quanto stabilito nell’accordo interistituzionale firmato dal Parlamento e dalla Commissione nel giugno 2011 e poi modificato nel gennaio 2015). Tuttavia, va precisato che vi sono stati sviluppi in merito; infatti, il 28 settembre 2016 la Commissione ha presentato la sua proposta di un nuovo accordo interistituzionale su un registro per la trasparenza obbligatorio per i rappresentanti di interessi che riguarda tutte e tre le istituzioni. La proposta mira a rafforzare il quadro delle interazioni trasparenti ed etiche tra i rappresentanti di interessi e le tre istituzioni, subordinando gli incontri con i lobbisti alla loro registrazione. Il 13 febbraio 2019, quindi verso la fine della precedente legislatura, si è svolto l’ultimo incontro formale tra i negoziatori delle tre istituzioni sulla proposta. Attendiamo adesso gli sviluppi del negoziato in questa nuova legislatura.

 

Come pensa che un’associazione giovanile potrebbe esercitare azioni di lobbying a favore delle giovani generazioni?

Secondo quelle che sono le tecniche e gli strumenti propri di ogni lobby.

 

Alice Dominese

Membro della Redazione e del Team Public Affairs di Yezers

 

TAG: lobbying, rappresentanza degli interessi, Regolamentazione, Yezers
CAT: Legislazione, Partiti e politici

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