Conosco l’amore meglio di voi – Intervista ad Andrea D’Agostino

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26 Aprile 2016

Conosco l’amore meglio di voi tratta del difficile tema dell’abuso dei minori da parte dei preti. Leggendolo si ha l’impressione di essere dolcemente accompagnati agli inferi per mezzo di una scrittura suadente e precisa. Sin dalle prime pagine sappiamo che accadrà l’orrore, non vogliamo che accada, ma non possiamo smettere di leggere.
La tematica è talmente urgente che chiederti perché hai scritto questo romanzo suonerebbe ridicolo. Il romanzo è necessario. La domanda allora è perché hai sentito di poter essere tu a scrivere questo libro?

Quando l’idea di Conosco l’amore meglio di voi ha preso forma, non credo di essermi chiesto se potessi essere io a scrivere un romanzo del genere. Ho pensato che dovevo, che quella era la storia che avrei voluto raccontare. La rabbia è un carburante redditizio e immaginare un ragazzino violentato da un prete era un pensiero che ne innescava, e ancora ne innesca, parecchia. Probabilmente sono stato incosciente: non immaginavo la distesa di dolore che avrei dovuto attraversare per arrivare a comporre la storia di Vincenzo, quella della sua famiglia sgangherata e del paese che l’attanaglia. Oggi benedico la mia incoscienza: scrivere Conosco l’amore meglio di voi mi ha messo alla prova, mi ha fatto soffrire ed esultare, ha fatto di me uno scrittore, e forse anche un uomo, migliore.

 

Nel romanzo racconti una Sicilia di fine millennio, povera, ingrata, cialtrona ma piena di colori e di vita. Nel leggerlo si prova nostalgia, ma non si ha chiara la natura di questo sentimento: nostalgia di quella terra, di quella gente o di quegli anni?
Ho vissuto a Enna dal 1983 al 1993. La nostalgia che percorre il romanzo credo sia la stessa che provo per l’infanzia che ho trascorso in quella Sicilia cialtrona e vitale.

 

Vincenzo, il protagonista, mette in campo una sessualità incosciente, urgente. Sarà al contrario vittima di un desiderio consapevole e premeditato. Eppure a pagar pegno è il primo e a farla franca è il secondo.
Il secondo è il desiderio distorto di un uomo che ha potere. I potenti, di solito, la fanno franca. Vincenzo è un povero cristo. I poveracci pagano sempre, anche per colpe che non sono le loro.

L’incubo avviene alla luce del sole. Tutti vedono e nessuno parla. Pensi che questo romanzo possa in qualche modo aiutare a rompere il muro dell’omertà sugli abusi?

L’omertà è troppo spessa e diffusa. Il mio romanzo potrebbe, al limite, rompere le scatole a qualcuno. Ciò che invece ho scoperto il mio romanzo è capace di fare è fare sentire protetto: è ciò che ha detto una persona che mi ha ascoltato leggerne alcune pagine, durante una presentazione. Avere fatto sentire una persona protetta ha dato un senso nuovo al mio lavoro.

 

Nel romanzo ci sono tante figure negative. Gli uomini scappano e se non scappano fanno del male. Le donne invece restano sempre e in questo loro restare (restare mute quando dovrebbero parlare, restare severe quando sarebbe il momento della compassione, restare fedeli sempre e comunque) fanno male quanto o più degli uomini. Ci sono due personaggi che però sembrano dare speranza e sono la nonna e il nonno di Vincenzo. Cosa rende diversa quella generazione?
Non credo sia soltanto una questione di generazioni. Quei nonni sono buoni a prescindere dall’età che hanno. Sono buoni a dispetto della mentalità gretta del paese. Sono buoni perché quella è la loro natura. Nel romanzo compare anche l’altra coppia di nonni e la figura che fanno, specie la nonna, non è buona. Comunque ci sono altri personaggi che per Vincenzo sono positivi: lo zio alsaziano, il prozio che gli regala l’Ape, il cugino torinese. In qualche modo, anche Chantal, la zia francese che esalta i suoi sensi bambini.

 

Il romanzo ha avuto una gestazione breve o sofferta? Come ti sei documentato per scriverlo?
Ho avuto l’idea nel 2006, ho finito di scrivere nel dicembre del 2013. Per un caso fortunato, ho potuto dedicarmi alla scrittura per un paio d’anni senza dovermi preoccupare del come pagare l’affitto e come fare la spesa. In quel periodo potevo preoccuparmi soltanto di scrivere. È stato un periodo magico. Spero, prima o poi, che si possa ripetere. Documentarmi, specie all’inizio, non è stato semplicissimo: non c’era materiale a disposizione. Col tempo, le cose sono andate migliorando: ho letto tutto quello che sono riuscito a trovare sull’argomento (dal Diario di un pedofilo di William Andraghetti a Nessuno dovrà saperlo di Bruno Zanin, passando attraverso saggi come Chiesa e pedofilia di Federico Tulli, La preda di Angela Camuso, Viaggio nel silenzio di Vania Lucia Gaito, Atti impuri, libro a cura di Mary Gail Frawley-O’Dea e Virginia Goldner). Ho guardato film e documentari come Mea Maxima Culpa di Alex Gibney, Sex in a cold climate di Steve Humphries, Sex Crimes and the Vatican di Colm O’Gorman più tutti gli altri che ho dimenticato ma che mi sono serviti per individuare le logiche di un mondo come quello di Vincenzo.

 

Sembra esserci uno studio attento della lingua; ricorrono spesso strutture sintattiche derivate dal dialetto o, a tratti, veri e propri periodi in dialetto. Che tipo di lavoro hai fatto sulla lingua?
Penna, quaderni, disciplina, pazienza. Scrivere, riscrivere, ricominciare da capo. Togliere è più difficile che aggiungere e, spesso, è più necessario. Andare avanti fino a che la pagina non suona esatta e necessaria. Smettere quando la fatica limita la lucidità, correre per fare fluire il sangue e sciogliere i pensieri. Andare a dormire presto per essere fresco al mattino. Immaginare di essere in Sicilia ed essere Vincenzo, immaginare di parlare come lui avrebbe fatto. Essere lui.

 

Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Romain Gary è lo scrittore che più mi ha fatto godere e impressionato, negli ultimi anni. Sono un lettore discontinuo e disordinato. Ho amato Tomasi di Lampedusa, Capote, Hemingway, De André, Alvaro Mutis, Flaubert e Stendhal. Molti ho dimenticato di citarli, moltissimi ne mancano ancora perché aveva ragione Massimo Troisi: voi a scrivere siete in tanti mentre io a leggere sono solo.

 

Elio Vittorini diceva che esistono scrittori che ti fanno dire: è proprio così; e altri che ti fanno dire: non avrei mai pensato che potesse essere così. In quale dei due blocchi ti collocheresti?
Mi piacerebbe esplorare entrambi i blocchi, prima di decidere dove fermarmi. Ho ancora troppe parole da scrivere per potermi fermare.

 

Stai scrivendo qualcosa in questo momento? Cosa si scrive dopo un romanzo dirompente come questo?
L’incantesimo dello scrivere senza dovere lavorare è finito, purtroppo. Ora salto tra due lavori diversi e nel tempo che mi resta cerco di promuovere Conosco l’amore meglio di voi. Nel frattempo, annuso l’aria alla ricerca di una nuova storia che pretenda di essere raccontata. Non vedo l’ora di rimettermi a scrivere, anche se mi spaventa il momento in cui potrò ricominciare.

TAG: Alessio Cuffaro, andrea d'agostino
CAT: Letteratura

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