Disgelo

:
6 Novembre 2020

Non ho mai avuto un capo come lui.
E temo che non lo avrò più.
Ho lavorato con lui per una decina d’anni.
Ero una giovane laureata alle prime armi e lui all’inizio non era per niente contento del fatto che io gli fossi stata affiancata come assistente. Voleva una persona più esperta. Poi le cose, poco alla volta, sono cambiate.
Lui,all’inizio, sembrava quasi non accorgersi di me.
Mi rivolgeva la parola il meno possibile e sempre in modo brusco, impersonale. Sembrava non rendersi conto del fatto che, essendo arrivata in azienda da poco, io molte cose non le sapevo.
Quei pochi incarichi che mi affidava cercavo di svolgerli come meglio potevo, raccattando le informazioni presso i colleghi che potevano darmi una mano e alle volte trattenendomi in ufficio fino alle ore più tarde.
Niente.
Anche il lavoro che mi era costato il massimo della fatica e della concentrazione, per il quale io, fiera di aver superato tutta una serie di scogli e di problemi, mi aspettavo non dico una lode, ma almeno un accenno di incoraggiamento per lui era un fatto scontato, che accoglieva con la più glaciale indifferenza.
Cominciai a chiedere in giro di lui e tutte le persone che lo avevano avuto come capo me lo descrivevano in maniera completamente diversa da come lo percepivo io, controllato e scostante come nessuno.
Pensai: probabilmente sono io a non essere all’altezza, forse ha ragione lui quando dice che per questa posizione occorreva una persona più esperta.

Poi un giorno, mentre sono nella sua stanza, lui riceve una telefonata. Faccio per andarmene, ma lui mi trattiene con un gesto. Dall’altra parte c’è un collega che gli sollecita non ricordo più quale relazione. Lui ha un moto di fastidio evidente, poi sbotta dicendo che non è in condizione di rispettare i tempi previsti anche perché non ha abbastanza personale qualificato che gli dia una mano.
La telefonata si chiude e lui continua a darmi istruzione dettagliate sulle cose da fare con la massima naturalezza. Io continuo a prendere appunti, senza guardarlo in faccia, sostenutissima, finchè perfino lui, di solito così imperturbabile e indifferente, mi pianta gli occhi in faccia e mi chiede se c’è qualche problema.
A questo punto non me ne frega più niente e gli faccio una scenata, dicendogli tutto quello che penso di lui e della meschinità con la quale mi ha trattato fino a quel momento.
Mi guarda trasecolato e sta per rispondermi, quando arriva un’altra telefonata.
Ne approfitto per catapultarmi fuori dalla stanza.
Mi ritiro nel mio ufficio e faccio le peggiori congetture sulle sue possibili reazioni.
Pochi minuti dopo lui entra e, come se niente fosse stato, mi regala il primo dei suoi sorrisi, dopo sei mesi che lavoravo per lui, e mi dice: beh, visto che è ora di pranzo perché non andiamo a farci un panino?
Altro evento inatteso e spiazzante, perché a mezzogiorno di solito non mangiava se non in occasione di qualche colazione di lavoro e fino a quel momento non mi aveva proposto nemmeno di andare a bere un caffè insieme. Lo seguo come un automa, piena di cattivi presentimenti, ma in fondo in fondo anche intrigata e curiosissima di come andrà a finire.
Invece che al bar di sotto mi porta in un bel ristorante, parla per tutto il tempo del più e del meno, consentendomi anche di verificare che sa essere cordiale e anche molto spiritoso, poi , mentre aspettiamo che ci portino il conto, mi guarda un attimo in maniera seria e imbarazzata, poi se ne esce con uno dei suoi bellissimi sorrisi e dice queste testuali parole: “A quanto pare le debbo delle scuse”
Da allora è cambiato tutto.
Ha incominciato ad affidarmi dei lavori importanti, dandomi tutte le istruzioni che servivano e incoraggiandomi in maniera sempre più cordiale ad andare da lui tutte le volte che mi trovassi in difficoltà.
Da quel momento per me l’andare in ufficio si è trasformato in una festa. Le uniche giornate deprimenti per me erano il sabato e la domenica . Speravo sempre che capitasse qualche urgenza improvvisa il venerdì pomeriggio e che lui fosse costretto a venire in ufficio almeno il sabato mattina.

Un venerdì sera entra nella mia stanza e mi dice che un complesso e delicato rapporto sulle nostre controllate al quale ci siamo dedicati per tutta la settimana e che il lunedì successivo deve essere esaminato in consiglio di amministrazione è completamente da rifare.
Si rende conto che è una seccatura, ma è costretto a chiedermi di venire in ufficio anche il giorno dopo.
Lavoriamo tutta la giornata del sabato, poi, verso sera, quando la relazione è stata smontata e rimontata a dovere, pci accorgiamo che ci sono alcune tabelle che devono essere rifatte. Non c’è problema, le sistemiamo domani mattina, dico io d’istinto.
Lui mi guarda un po’ sorpreso , poi mi dice: “Non è meglio farle adesso così domani è libera? Sa, per me non cambia niente perché tanto ormai per questo weekend resto qui e non ho nulla da fare, ma immagino che lei giustamente avrà i suoi impegni.”
Io gli rispondo che il lavoro che stiamo facendo è troppo importante per affrontarne la parte più delicata alla fine di una giornata faticosissima.
Vedrà, domani mattina a mente fresca ci mettiamo non più di tre quarti d’ora , gli dico.
Lui si fa convincere, poi, mentre io raccolgo le mie cose per andar via, lui si mette a giocherellare con le chiavi della macchina, poi mi dice : “Beh, Nadia , se mi dici così, io stasera ne approfitto per andare al cinema”.
Io l’ho guardato e, senza quasi rendermi conto di quello che dicevo, gli ho risposto: “Perché non ci porti pure me?”
Era la prima volta, dopo tre anni che riuscivamo a darci del tu…

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CAT: Letteratura

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