Herberto Helder, poeta oscuro
Itinerario geografico e spirituale nel grande autore portoghese da poco edito in Italia
Herberto Helder è un poeta portoghese. Herberto Helder non rilascia interviste. Herberto Helder è nato a Madeira, isola a forma di cane. La prima volta che lo incontro è il marzo del 2018, mi trovo in una libreria di Porto. Ho appena chiesto al proprietario di indicarmi tra gli scaffali un romanzo di Agualusa o un’antica edizione delle Os Lusíadas di Camões. Lui mi ha risposto che ha qualcosa di meglio. Si tratta di un libro di uno scrittore appena scomparso, un libro magico, «póesia em prosa».
Torno in hotel e rigiro tra le mani il nuovo acquisto, sulla cui copertina intravedo un muro scrostato. Prima di iniziare a leggere, mi immergo nella biografia dell’autore. Herberto Helder nasce nel 1930 in mezzo all’oceano Atlantico, verso i quindici anni si trasferisce a Lisbona, poi studia legge a Coimbra senza mai conseguire la laurea. Negli anni successivi fa avanti e indietro tra l’isola natia e il continente lavorando in banca, prestando servizio come meteorologo e come informatore medico. Tra il 1958 e il 1960, intraprende un viaggio che lo porta in Francia, Belgio e Olanda. Qui conduce un’esistenza marginale. Lavora come operaio in una fonderia, come imballatore di scarti industriali e come facchino nel porto di Amsterdam. A Parigi non ha fissa dimora e impara a saggiare i portoni degli edifici per trovare un posto dove passare la notte.
Cominciai a scrivere con più convinzione verso i trent’anni, quando vagabondavo per il quartiere dell’Abbessess, a Parigi, per infilarmi in qualsiasi edificio avesse la porta aperta e dormire nelle toilettes comuni. […] Per dormire c’era ogni tanto la stanza di un amico, l’ingresso della metropolitana e quando faceva bel tempo, i ponti sul fiume. Ma io avevo bisogno di solitudine e comodità (era il poema che, segretamente, reclamava spazio) — e feci mia un’idea che girava in città. Era possibile dormire nelle toilettes, nelle toilettes private, nelle toilettes delle case di altre persone! L’idea mi sconvolse a tal punto che rimasi confuso e commosso per vari giorni.
I PASSI ATTORNO
Le esperienze maturate in questo periodo sbocciano nei ventitré racconti che compongono I passi attorno (1963), il libro magico del libraio di Porto.
Tra il 1960 e il 1970, Helder vive a Lisbona, dove si afferma come figura di spicco nella poesia d’avanguardia. Nel 1963 pubblica La macchina per intrappolare paesaggi, l’anno successivo è la volta di Elettrònicolírica. Queste due opere si inseriscono nel filone della poesia automatica surrealista e dimostrano l’urgenza dell’autore di moltiplicare le possibilità del linguaggio. La raccolta Bevitore Notturno (1968), contiene poesie dell’Antico Egitto, della Grecia, poesie zen, poesie arabo-andaluse, poesie messicane del ciclo nāhuatl, poesie eschimesi e indocinesi. In queste antiche culture non europee, Helder Helder riconosce lo stesso impulso all’espressione simbolica e rituale che caratterizza la sua poesia. Soprattutto, riscopre l’immagine del poeta come mago, posseduto dalla forza animistica del linguaggio.
Alla fine degli anni ’60, Helder subisce la censura imposta dal regime autoritario dell’Estado Novo e nel 1971 si trasferisce in Angola, dove è redattore di una rivista. Durante un reportage in una zona di guerra, è vittima di una grave incidente automobilistico. Le schegge del veicolo si conficcano nei suoi taccuini, una gli è quasi fatale.
Ingegneri di teste sono stati in Africa a guardare dentro la mia, ma faceva tanto caldo e, col caldo, cosa ci si può aspettare in un ospedale pieno di teste, se non una fugace attenzione? Un mio amico suicida diceva sempre: questa testa non è mia. Non indosserò per caso la testa di un altro?
PHOTOMATON & VOX
L’incidente lo costringe a letto per tre mesi, durante i quali concepisce Photomaton & Vox (1979), uscito in Italia nel 2018 per Miraggi Edizioni.
Photomaton & Vox è un diario apocalittico, in cui le ramificazioni autobiografiche danno vita a riflessioni sotto forma di poesia, saggio, frammento narrativo e aforisma. L’autore ripercorre tappe della propria vita, dall’infanzia a Madeira ai più recenti trascorsi in Africa, e intreccia un dialogo con gli scrittori che ne hanno accompagnato la formazione: Rimbaud, Novalis, Octavio Paz. Ai frammenti di carattere saggistico fanno da contrappunto confessioni che sembrano provenire da un diario pensato per rimanere chiuso.
Sono stato in mezzo al buio, non riuscivo a dormire. O tremavo alla sola gioia di avere un corpo, una voce, di vivere tra la luce e la pioggia e le grandi nuvole sui campi.
PHOTOMATON & VOX
Helder fa ritorno a Lisbona alla fine degli anni ’70, dove continua a scrivere, pur vivendo una vita da recluso. La sua fama cresce e, nel 1994, gli viene assegnato il prestigioso Prémio Pessoa. I membri della giuria conoscono la strada in cui vive, a Cascais, ma non il numero civico. Lo trovano in una casa dagli interni poveri, tipici di chi tiene di più ai propri versi che a se stesso. Helder rifiuta il premio e i 7000 scudi, ma lo fa con modestia. Chiede ai giurati di non rivelare il suo rifiuto e di assegnare il premio a qualcun altro.
Helder trascorre i vent’anni successivi in quello stesso appartamento, in compagnia della moglie Olga, continuando a inseguire con tenacia la sua suprema ambizione di «essere il più oscuro degli enigmi viventi, e applicare le mie mani alla materia primordiale della terra». Scompare nel marzo del 2015, all’età di 84 anni anni.
Mi hanno raccontato di un tale che aveva tanta allegria in corpo da non riuscire a tenere un bicchiere in mano: lo rompeva con la forza delle dita, con l’enorme forza della propria allegria. Era una creatura eccezionale. Poi se n’è andato, e già la gente faceva insinuazioni, e forse non c’era posto per lui sulla Terra. E adesso dov’è? La sua era un’allegria barbara, una vocazione terribile. È partito. E ora piove, e torniamo a casa, e prendiamo un tè caldo, e mangiamo quei dolci che a te piacciono tanto. E poi, e poi? Era bello e tremendo, con quella sua allegria, e non temeva nulla, e la sola vibrazione interiore della sua allegria faceva sì che i bicchieri si rompessero. Se n’è andato.
I PASSI ATTORNO
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