La dattilografa

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30 Settembre 2017

Dubito che si ricordi di me. Non ci vediamo da moltissimi anni. Cammina a fatica.
Cerco di fare un po’ di conti. Dunque vediamo un po’… Una vita fa, quando l’ho conosciuta, lei aveva forse 50 anni, adesso quindi….
Mi sembra impossibile, già allora mi sembrava vecchia….
Avevo 23 anni, io ero un giovane laureato in forza al Servizio Legale, lei stava all’Ufficio Copia.

Si chiamava Ufficio Copia il reparto che provvedeva alla stesura materiale di tutta la corrispondenza. Io scrivevo su un block notes le minute delle lettere per i nostri avvocati o per altri interlocutori, poi le portavo all’Ufficio Copia e lì c’erano un paio di signore che provvedevano a trascriverle a macchina.

Io le ricevevo, le controllavo, siglavo la velina, poi, quando ero tranquillo che tutto fosse a posto, le mandavo alla firma.

Parlava quasi esclusivamente in veneziano. Con me era molto gentile. Ma non apprezzava il mio modo di vestire casual.

Una volta, superando un certo imbarazzo, mi disse : “Guardi che l’avvocato (il responsabile dell’ufficio legale) mi ha detto : diga a chel dottor novo che no staga a vestirse come un terrasier (dica a quel dottore nuovo di non vestirsi come un piastrellista)

Quando entravo nell’Ufficio Copia, la trovavo sempre intenta a smaltire una montagna di lettere (non solo le mie, ma anche quelle di altri reparti).
Batteva sulla tastiera a velocità supersonica. Senza guardarla e senza smettere di parlare con la collega.
Argomento preferito: i figli.

All’una, quando c’era l’intervallo, partiva come un razzo verso casa e preparava il pranzo per la famiglia.
Un tour de force se si pensa che l’intervallo era di un’ora e che la sua abitazione distava 20 minuti dall’ufficio. Quindi 20 minuti per andare, 20 per tornare, gliene restavano altri 20 per preparare il pranzo e mangiare.

Una donna che non si fermava mai. E anche priva di mezze misure.
Ricordo quanto ci piegammo dal ridere quel pomeriggio che ci raccontò che la figlia non solo non aveva messo su la pentola mentre aspettava che la madre arrivasse, ma aveva anche protestato per la qualità del pranzo, rifiutandosi di mangiarlo.

Lei non si era persa d’animo e, prima di avventarsi verso l’ufficio, aveva rovesciato un piatto di spaghetti sulla testa della figlia. E adesso è proprio con quella figlia, che dovrebbe avere pochi anni meno di me, che cammina lentamente in Campo dell’Angelo Raffaele dove mi trovo a passare.

E nel vedere la coppia, non posso fare a meno di pensare a quella scena lontanissima, con gli spaghetti che arrivano in testa alla figlia indisponente.
Una vita fa.

TAG: ricordi
CAT: Letteratura

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