Come giustamente rileva il commento in quarta di copertina a Convito delle stagioni, ultimo volume di Antonio Prete (Copertino 1939), i due caratteri fondamentali della raccolta sono senza ombra di dubbio la natura e il tempo. La natura contemplata e raccontata in ogni sua espressione, dal cosmo al paesaggio che ci circonda, dal mondo vegetale e animale all’ambiente antropico, sempre riflessi attraverso la lente magica della meditazione metafisica, capace di riassumere in sé sentimenti di stupore, gratitudine, consapevolezza del sublime. Il tempo come mistero che permea l’esistenza degli esseri umani, nello scandire delle ere geologiche, della cronologia storica e della vita privata di ciascuno. In questo senso, la lezione leopardiana concentrata nei quindici versi dell’Infinito, ha impresso tracce indelebili nella scrittura di Prete, egregio studioso e interprete della poetica del recanatese: il verde del colle e della siepe, il passato e il presente, la lontananza dell’orizzonte, il silenzio e lo spaesamento del pensiero, l’immensità di cielo e mare. Ognuno di questi elementi viene ripreso e amplificato nelle sei sezioni che compongono il libro, vero e proprio convito ricco di emozioni, suoni, colori, memorie.
In un capitoletto interno, Per un bestiario, sono celebrate presenze animali che hanno la funzione illuminante e fugace di una rivelazione improvvisa, più spirituale che materiale. Apparizioni angeliche, nel loro inaspettato mostrarsi e nei nascondimenti segreti: cani, gatte, istrici, insetti, cervi “vicini al respiro / della terra”, che hanno “in comune gli stellari / silenzi, l’indecifrata distanza”. Sparse invece in tutte le pagine del volume sono le presenze vegetali, più di trenta specie di alberi e fiori, ascoltati nel canto sommesso dello stormire delle foglie, osservati nei mutamenti stagionali, compianti nella crudele agonia imposta dalla siccità, dal disboscamento, dalle epidemie batteriche: “C’era nella musica degli alberi / un silenzio che era specchio / del cielo, dei suoi silenzi”. L’attenzione al paesaggio, essenzialmente quello salentino di nascita, si esplica in una poesia intessuta di immagini che abbracciano in un quadro luminoso (invaso dalla luce, celebrata non solo come elemento fisico, ma come capacità di illuminazione interiore) terre e cieli, minimi figuranti umani e presenze animali, come in questo Notturno: “il tempo dell’infanzia, con il folto / degli ulivi sulla terra rossa, gli spaccapietre / sul ciglio della strada, sotto il sole, / il monaco che sostava nella controra / all’ombra dell’eucalipto, la ragazza / nella casa di calce, vestita di bianco, / la voce del violino che la chiamava al ballo / di san Paolo, i cavalli nel meriggio / con i carri carichi d’uva, // e il mare, il grido / del mare nelle notti di luna, sotto l’alta / torre saracena”. Il Sud, “lontananza e insieme spina” è “lingua del ricordo”, “vento dei pensieri”, mitizzato nella sua fissità arcaica, non vissuto nelle contraddizioni sociali, ma reso eterno dalla memoria e dal desiderio di Stare: “stare in quella privazione di tempo / dove tutto quello che accade, amori, / erranze, perdite, ardimenti, / non conosce il gelo della sparizione, // stare nell’incantata spera / d’una sempre lucente primavera”.
Appunto al tempo (“che è lampo di presenza e stilla / d’accaduto”) viene demandato il compito di preservare il ricordo, pur nella coscienza della sua labilità: memoria riaffiorata negli anni che si accumulano, visi e voci amate che ritornano a vivere, squarci che si aprono nel buio, riportando alla mente le tante città visitate, i poeti incontrati, le parole pronunciate. Ma anche il tempo della storia collettiva, quella passata e quella violentata, tenebrosa, del presente, con le guerre in atto, tra eroismi e sopraffazioni, ingiustizie e morte. E infine il tempo dell’universo, delle galassie “sul cui confine il tempo non è più tempo”, dove il pensiero, leopardianamente, si annega.
Compito della parola rimane quello di preservare tutto il vissuto e ciò che rimane da vivere, per salvare un barlume di speranza che aiuti ad andare avanti: “Le parole camminano con noi”. In particolare è la parola poetica, curata e sensibile, che assume su di sé la responsabilità di un’espressione più intensa, matura, sofferta: “la poesia, conoscenza e insieme / angustia per le ferite del mondo”. Antonio Prete celebra nel suo convito verbale l’accadimento dei giorni, sforza lo scrigno della bellezza perché si apra al mondo.
ANTONIO PRETE, CONVITO DELLE STAGIONI – EINAUDI, TORINO 2024, p. 131
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