Non basta una rima per fare una poesia, una risposta ad Elisa Gabbert

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28 Aprile 2022

Elisa Gabbert è autrice, poeta e saggista. Il 15 aprile scrive un editoriale sulla poesia, lo chiama “The Shape of the Void: Toward a Definition of Poetry” e lo schiaffa sul New York Times.

Invito i lettori a recuperare l’editoriale della Gabbert prima di leggere il mio articolo. Cercherò di essere sintetica o lo spazio di archiviazione de Gli Stati Generali potrebbe esaurirsi.

Gabbert, ad inizio articolo, scrive una cosa che a detta sua è ovvia, cioè: «se le parole hanno rima e metrica, allora sono poesia», e successivamente: «qualsiasi parola composta in versi è poesia¹». Poi si congratula con sé stessa citando uno scritto di Virginia Woolf su E.M. Forster nel quale viene elogiato per questa sua predisposizione a dichiarare l’ovvio, cosa che sfugge anche alle persone intelligenti². Non commento questa penosa pacca sulla spalla, ma l’“ovvio” di cui parla è un’ovvietà o una sua convinzione accademica?

Parte con una verità assoluta, ci dice che tutte le parole con rima e metrica sono poesie. Continua dicendo che anche le non-parole come “Jabberwocky”, citando Carrol, sono poesia. Per falsificare questa affermazione ci basta dire che alcune, ma anche la maggior parte delle parole che rimano e che hanno una qualche forma metrica non sono poesia. Un esempio sono quelle rime casuali durante le discussioni al bar sotto casa. Come se bastasse qualche rima per comporre poesia.

Nella seconda frase
spara un’altra verità assoluta,
dichiara:
ogni parola composta in versi
è poesia.

Poi dice qualcosa di vero e cioè che le omissioni nella poesia sono importanti, ricadendo subito dopo nella banalità del «le poesie più lunghe non sembrano poesie³». Ma questa è evidentemente una sua sensazione presa ed esposta come verità assoluta. Verrebbe anche da chiedersi se questa sensazione sia dovuta ai mille stimoli che ci circondano con conseguente diminuzione della soglia d’attenzione, ma questo è un altro discorso.

Io scrivo poesie corte, per la maggior parte, e racconti altrettanto brevi. Ma non perché ritengo che la lunghezza tolga o aggiunga qualcosa, è solo il mio stile. Lo stesso discorso vale per i racconti, brevi per un mio studio su sintesi ed estetica. Ma torniamo alla poesia secondo il New York Times.

Partendo da questa sua sensazione, la Gabbert ci dice: «È il motivo per cui i frammenti sono automaticamente poetici: La cancellazione trasforma la prosa in poesia. È il motivo per cui ogni testo seducente, criptico o elusivo — un cartello stradale, istruzioni di montaggio — viene descritto come poetico⁴.»

Le omissioni nella poesia sono centrali, su questo punto concordiamo. Ma le omissioni devono avere un senso. Devono essere (in)espressioni, talvolta volutamente ambigue, di qualcosa che il poeta vuole lasciare in sospeso per qualche ragione. Che sia non farsi capire, non ritenere essenziale rivelare ogni cosa, paura (capita), puro stile. Ma, ripeto, deve (non) essere lì per una ragione conscia o subconscia. Ora, ho capito cosa intende citando il cartello stradale, ma chi è che lo ritiene poetico? E le istruzioni di montaggio cos’è che lasciano in sospeso? Forse questa poeticità di cui parla?

Seguono paragrafi di idee che, per carità, sono le sue, ma credo sia pericoloso idealizzare la poesia fino a questo punto. La poesia serve in primis al poeta per liberare qualcosa che non si può esprimere o che sarebbe espresso meno in altro modo. È una ricerca, una esplorazione di idee, osservazioni passate, presenti e future e, perché no, sentimenti. Credo che il poeta ricerchi consapevolezza per sé stesso. Perché prima di farsi capire bisogna capirsi. E la poesia è un ottimo metodo di esplorazione.

Gabbert scrive: «Lo spazio vuoto sulla pagina, quell’assenza di linguaggio, non fornisce indizi. Tuttavia non va a comunicarci nulla — anzi, ci comunica il nulla. Parla del vuoto, telegrafa il mistero⁵.»

Le persone che capiscono una poesia X, sono persone che hanno pensato, hanno vissuto o hanno sentito le cose che magari non sono ovvie ma sottintese nella poesia. Tutti gli altri non riusciranno o faranno uno sforzo immane per capirla, ma non perché non siano abbastanza intelligenti o all’altezza. Semplicemente non condividono quel granello di vita con il poeta.

No, la poesia non “comunica il nulla”, non “parla del vuoto”, non “telegrafa il mistero”.

Ecco, su quest’ultimo punto fa una precisazione importante e ci dice: «Per “mistero” non intendo metafora o dissimulazione. La poesia non raggiunge, o non dovrebbe raggiungere il mistero solo nascondendo ciò che è noto, o traducendo il noto in un altro linguaggio meno familiare. Il mistero è il non sapere, l’ignoto⁶.»

Ma il poeta dice esattamente quello che pensa, vede e sente utilizzando il suo linguaggio poetico, che è personale e per questo richiede uno sforzo, sforzo che sarà maggiore per chi non condivide una certa esperienza con il poeta, che è la chiave per comprendere questa benedetta poesia X. Ma tutto crolla quando la Gabbert ci fa l’esempio con una poesia di Shane McCrae, “The Butterflies the Mountain and the Lake”. Non si è presa la briga di trascriverla tutta, quindi ci penso io:

It’s Saturday most often neighbor we
Are walking with our daughter lately even when / We walk together
everywhere we go we want to go home everywhere / But oh
hey did you see that story

about the butterflies the mountain and the lake
the / Butterflies monarch butterflies huge swarms they
Migrate and as they migrate south as they
Cross Lake Superior instead of flying

South straight across they fly
South over the water then fly east
still over the water then fly south again / And now
biologists believe they turn to avoid a mountain

That disappeared millennia ago / No
butterfly lives long enough to fly the whole migration
From the beginning to the end
they / Lay eggs along the way

Just as you and I most often neighbor
Migrate together in our daughter over a dark lake.
We make with joy the child we make
And mountains are reborn in her

Qui il “non sapere”, “l’ignoto” di cui parla la Gabbert è una trasposizione di significato, è una figura retorica. Questa montagna sono i ricordi, il patrimonio genetico ma anche la presenza fisica che ad un certo punto verrà meno, proprio come la montagna scomparsa. Non c’è assolutamente nulla di misterioso, Shane McCrae parla chiaro. E parla chiaro usando un disguise, una dissimulazione che rimane tale per quanto sottile. Non nasconde completamente il noto, lo vela di altri significati e compone una poesia. Niente di misterioso. Niente di ignoto.

In conclusione, la Gabbert ci rivela il suo libro preferito: una lista in ordine alfabetico di tutte le risposte date su “Family Feud”, un programma televisivo statunitense nel quale due famiglie devono indovinare le risposte date dagli americani durante alcuni sondaggi di opinione. Scritto da Nathan Austin, si chiama “Survey Says!”⁷ ed è commercializzato come raccolta poetica:

«A bra. Abraham Lincoln. A building. Scaffolding. Scalpel. A car. A card game. A cat. A cat. Ice cream. Ice cream. Ice cream. Ice cream. […] Get a manicure. Get a toupee. Get drunk. Retirement fund. Get out of bed. Get ready! Let’s go with manuals. Get sick in there. Let’s say a pet. Let’s say shoes. Bette Davis.»

Questa idea romantica che ha dell’assenza, del vuoto e dell’ignoto si trasforma nel credere che una lista di risposte sia poesia. Tanto da concludere l’editoriale con: «La poesia [di “Survey Says!”] sembra praticare ipnosi, rime, assonanze e anafore ritrovate in grado di creare un incanto, una stregoneria; sembra dare dei consigli inconsci. Preparati! Devi cambiare la tua vita⁸.»

Bisogna dire le cose come stanno: il re è nudo. E le liste, i cartelli stradali, i manuali di istruzioni, gli elenchi telefonici, le incisioni nelle celle, le calorie sulla barretta dietetica, i foglietti illustrativi e tutte cose che non sono poesia, non sono poesia.

Mi preparo. Devo cambiare giornale.

 


1. «But let’s answer it anyway, starting with the obvious: If the words have rhyme and meter, it’s poetry. Nonwords with rhyme and meter, as in “Jabberwocky,” also are poetry. And since words in aggregate have at least some rhyme and rhythm, which lines on the page accentuate, any words composed in lines are poetry.»

2. «He says the simple things that clever people don’t say; I find him the best of critics for that reason. Suddenly out comes the obvious thing one has overlooked.», The Diary of Virginia Woolf, Volume 1: 1915-1919.

3. «[…]the longer they get, the less they feel like poems.»

4. «It’s why fragments are automatically poetic: Erasure turns prose into poems. It’s why any text that’s alluringly cryptic or elusive — a road sign, assembly instructions — is described as poetic.»

5. «Empty space on the page, that absence of language, provides no clues. But it doesn’t communicate nothing — rather, it communicates nothing. It speaks void, it telegraphs mystery.»

6. «By “mystery” I don’t mean metaphor or disguise. Poetry doesn’t, or shouldn’t, achieve mystery only by hiding the known, or translating the known into other, less familiar language. The mystery is unknowing, the unknown.»

7. “Survey Says!”, Nathan Austin, New York, Black Maze Books, 2009.

8. «The poetry seems to perform hypnosis, the found rhymes and assonance and anaphora enacting an enchantment, a bewitchery; it seems to be giving subconscious advice. Get ready! You must change your life.»

TAG: Elisa Gabbert, New York Times, poesia, riflessione critica, Virginia Woolf
CAT: Letteratura

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