Un uomo gentile

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6 Maggio 2017

Mi sono messa con lui dopo un assedio durato mesi. Tutto è iniziato durante una gita aziendale. Lui era nel nostro gruppo. Ma non partecipava granché ai discorsi comuni. Era timido, riservato, apparentemente distratto, sempre pronto però, alla prima occasione, ad uscirsene con una battuta spiazzante.

Ad un certo punto non ce l’ho fatta a trattenermi: «Non tiri se non cogli», gli ho detto. Si è voltato verso di me come se mi vedesse per la prima volta. Eppure eravamo stati presentati tre mesi prima da una collega.

«Vieni qui, teppista», mi aveva detto Anna che sedeva con lui a mensa, vedendomi in mezzo alla sala con il vassoio in mano.  «Siediti con noi. Gianni, conosci questa pazza?». «No – aveva risposto lui, sorridendo – forse proveniamo da manicomi diversi».

Durante quella gita aziendale abbiamo chiacchierato un po’ del più e del meno. Abbastanza per permettermi di scoprire che era single.

Nei giorni successivi, al rientro in ufficio, ho iniziato a telefonargli tutti i giorni verso l’ora di pranzo. Sentendomi piccola piccola ogni volta per la vergogna. Ma senza riuscire a smettere.

«Dove vai a pranzo oggi?». Domanda stupida. Infatti lui mi rispondeva con lieve ironia: «Ci sono solo due possibilità qui per pranzare: la mensa o la mensa». Con la sede lontana chilometri dal primo centro abitato, ovviamente aveva ragione lui.

Il fatto  è, amiche mie, che quella domanda stupida ne nascondeva in realtà un’altra, meno stupida, ma anche infinitamente patetica: «Come mai non provi il desiderio di pranzare con me?».  

Oppure un’altra ancora, ancora più patetica: «Non ti accorgi che ci sono e che mi piaci?». Qualche anno dopo, quando il nostro matrimonio è fallito, gli ho chiesto, alla fine di una furiosa litigata: «Perché mi hai sposata se non mi amavi?».  Sapete cosa mi ha risposto: «Sembrava che per te non fosse un particolare significativo…».

Mi ha fatto venire in mente mia nonna. Negli ultimi mesi della sua vita era diventata disappetente. Noi la incoraggiavamo a mangiare, ma lei ci diceva sempre, riferendosi al cibo che le offrivamo: «Non mi cala». 

Ecco, amiche mie, anche lui, che pure veniva a mensa con me e poi mi ha sposato, forse avrebbe dovuto dire la stessa cosa.
Forse avrei capito. E non ditemi, come mi dice sempre mia madre: «Che razza di ameba hai sposato?».

Esistono anche gli uomini che non credono nell’amore e che, quando li assedi per bene, si fanno espugnare per gentilezza.

TAG: matrimonio, stato d'assedio
CAT: Letteratura

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