Il tramonto del non-luogo e l’esigenza di nuovi hub affettivi

23 Novembre 2022

Questa è l’immagine dell’entrata di uno shopping mall di New York, quasi a mezzanotte, nel Giorno del Ringraziamento. Anche se il fenomeno pare (molto) lentamente in decrescita[1], il posto in cui la stragrande maggioranza degli occidentali trascorre il proprio tempo libero è un centro commerciale – ovvero un non-luogo: uno spazio anonimo nel quale la solitudine viene attenuata dall’evidenza di essere una moltitudine. Non-luoghi sono le stazioni, gli aeroporti, i supermercati, le grandi catene alberghiere con le loro camere intercambiabili, ma anche i campi profughi dove sono parcheggiati a tempo indeterminato i rifugiati. E al suo anonimato, paradossalmente, si accede solo fornendo una prova della propria identità: passaporto, carta di credito[2].

È l’estrema conseguenza della mutazione del sistema capitalistico dopo la grande crisi del 1973, quando è divenuto evidente che la crescita continua fosse impossibile, e che l’industria non fosse più capace di generare plusvalore e stabilità[3]. Fino a quel momento l’economia aveva avuto bisogno di cittadini consapevoli, con un forte grado di adesione ai valori capitalistici e democratici, e che hanno ottenuto una crescita del benessere e degli spazi di libertà in cambio del loro impegno nelle catene di montaggio[4].

Dal 1973 alla grande crisi globale del 2008, i cittadini di tutto il mondo si sono lasciati trasformare in consumatori: il benessere è stato ottenuto in cambio dell’acquiescenza ad un capitalismo finanziario fuori controllo (e creatore di nicchie di potere occulto) e della crisi irreversibile della coscienza di classe[5]. Questa trasformazione è accompagnata da gravi fenomeni di disoccupazione[6], ed il sostegno del benessere è stato spostato dall’imprenditoria al sistema fiscale – cosa che ha portato al tracollo i paesi dell’Est europeo, che facevano della piena occupazione una condizione irrinunciabile di qualsiasi strategia politica ed economica[7].

Nel 2008, il finanziamento della redistribuzione delle ricchezze grazie alla continua crescita delle bolle finanziarie, è esploso, ed ha lasciato dietro sé un mondo in cui si è tornati alle basi originarie del capitalismo: guerre come necessità per il sostegno della crescita industriale[8], sciovinismo, nazionalismo e fondamentalismo religioso[9] come metodo di organizzazione del consenso. Con una novità: quella della nascita di vie di fuga dalla realtà – dapprima attraverso le droghe, ed ora attraverso l’estensione delle realtà virtuali ed elettroniche, che hanno creato un settore merceologico che, velocemente, per fatturato, rischia di raggiungere presto un quarto di quello alimentare[10].

Il risultato è la disgregazione della società, l’avanzata di un preoccupante analfabetismo culturale, l’emergere di un sostrato di violenza – espressa sempre più liberamente. La pandemia ha dato il colpo finale: meglio stare a casa, meglio evitare il confronto, specie in età avanzata, oppure organizzare la socializzazione via computer. Questa evoluzione è a sua volta causa ed effetto della crisi dei gangli di identificazione culturali tradizionali: la musica, la letteratura, il cinema. Viene prodotto tantissimo, spesso di qualità veramente dozzinale, ma ciò scompare nell’oceano del tutto magmatico, che porta con sé il fatto che un artista non possa durare decenni (come era una volta), ma che è fortunato se, per una serie di coincidenze, riesce ad avere un unico solo grande colpo ed a piazzare una singola opera.

Chitarre e falò sulla spiaggia – un ricordo del passato

 

Andrea Montanari spiega questo sviluppo parlando del Salone del Libro di Torino: “qual è l’utilità pubblica dell’iniziativa, il valore aggiunto collettivo che ne giustifichi il cospicuo sostegno, o contributo, di cui gode? (…) La Fiera, lo ricordo, nasceva con l’intento specifico di creare nuovi lettori e non attingere al bacino degli stessi già esistente (…). L’idea è di adattare l’esercizio – birrerie, negozi di abbigliamento, ristoranti etc. – a eventi storici unici, accaduti proprio nel luogo in cui sorge l’attività. Renderlo unico, trasformato in funzione della sua specifica, unica e irripetibile storia. Dove è stato giocato il primo campionato di calcio italiano? Dove è nata la prima auto italiana? Dove si fabbricavano i vagoni dell’Orient Express o, addirittura, il primo prototipo di Porsche 911? Memorie scomparse, o dimenticate, di cui rimangono poche tracce. Ed ecco chi, per esempio, vendendo birra si trasforma in promotore e animatore storico (…), si potrebbero avere locali ed esercizi commerciali con una precisa identità”[11].

Mi spiego: Montanari descrive la crisi del libro (giustamente) non come la crisi della letteratura, ma come crisi del mercato che è collegato a questa – e lo stesso discorso vale per la musica ed il teatro. Credo che un disastro della società attuale sia la morte degli “hub affettivi”: la fattoria dei nonni, il fornaio e l’edicolante di quartiere, il bar con i tavolini in strada, la sezione locale di partito, il parco giochi dei piccini, la libreria, la piazzetta coi chitarristi dilettanti (senza cuffiette, senza devices, senza snowboards), l’oratorio, il consultorio, il campetto dietro la scuola, l’osteria in cui si gioca a carte. È rimasto solo lo stadio, ed è funzionalizzato allo sfogo della rabbia e della frustrazione.

Tutto ciò è finito, sostituito dall’esperienza massificante di trascorrere il weekend nei centri commerciali, per poi rinchiudersi in casa. Il libro è “lento”, perché l’assenza di competenza nella socializzazione ci spinge a passatempi di realtà aumentata – fatti di velocità esasperata, di impressioni fuggevoli, di tutto ciò che possa anestetizzare contro la riflessione, considerata uno spaventevole retaggio di un passato per il quale non si è più preparati. Montanari ha ragione: l’unica soluzione è ricostruire hub affettivi, e farlo con le stesse “armi” che sono servite per distruggerne l’esistenza – perché la massificazione, oltre a portare mandrie di umani nei non-luoghi, ha contemporaneamente creato un bisogno di unicità, di distinzione tra sé e tutti, ed il modo più funzionale per farlo è ricollegarsi ad una memoria che anche l’essere umano del presente possa collegare ad una sensazione nota o riconoscibile.

Qualunque altra manifestazione dell’arte è, altrimenti, perduta: la produzione è sterminata, la pressione pubblicitaria sostiene solo prodotti estremamente scadenti o ridicoli (come l’autobiografia di adolescenti eroi di un reality show) che servono solo come suppellettili, perché creano identificazione anche tra le persone meno consapevoli ed acculturate. Ma i tempi per un cambiamento sono maturi: bisogna creare situazioni di aggregazione legate agli unici affetti che ancora si percepiscono (il cibo, l’entertainment, l’autocelebrazione) e portare in quella sede il libro, la musica, la pièce teatrale come un batterio distruttore della massificazione, spiegato per ciò che è: il mezzo supremo per mostrare a chi apparteniamo ed a chi non vogliamo appartenere.

Non vuol dire leggere un libro o suonare il violino mentre si mangia, perché ciò uccide l’espletamento del motivo per cui si è in un determinato luogo – ma creare spazi alternativi all’aperitivo in cui si fruisce cultura, in cui si incontrano persone sconosciute o anche vecchi amici, in cui si va per distinguersi dalla massa e sottolineare la propria appartenenza ad una élite facilmente riconoscibile e non collegata all’uso umiliante del potere.

Sembrano frasi difficili, ma sono ovvie. L’affetto, per essere vissuto, non ha bisogno di un mobile phone, ma di uno sguardo e, se si è timidi, di un ambiente che aiuti. Chiamarlo hub affettivo è lezioso, certo, ma è parte del suo fascino.

[1] https://forbes.it/2018/02/20/la-notizia-della-morte-del-centro-commerciale-e-fortemente-esagerata/
[2] Marc Augé, “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”, Elèuthera, Milano 2018
[3] https://www.bls.gov/spotlight/2012/recession/pdf/recession_bls_spotlight.pdf
[4] https://giornatedimarzo.it/2020/10/31/storia-del-sindacato-in-italia-dalla-nascita-della-cgl-alla-svolta-delleur/ ; https://www.ipe-berlin.org/fileadmin/institut-ipe/Dokumente/Working_Papers/IPE_WP_114.pdf ; https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2018/05/17/the-legacy-of-world-war-ii-on-social-spending-in-the-western-world/ ; https://www.eh.net/eha/wp-content/uploads/2013/11/Bossie.pdf ; https://storiamestre.it/pdf/PB_EPT.pdf
[5] http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=731 ; https://journals.openedition.org/qds/1473
[6] https://stats.bls.gov/opub/mlr/1983/02/art1full.pdf ; https://www.bls.gov/cps/
[7] https://www.hdg.de/lemo/kapitel/geteiltes-deutschland-krisenmanagement/niedergang-der-ddr.html ; https://deutsche-einheit-1990.de/ministerien/ministerium-fuer-wirtschaft/die-ddr-wirtschaft-im-umbruch/
[8] https://www.researchgate.net/publication/265721064_Is_War_Necessary_for_Economic_Growth ; https://www.foreignaffairs.com/reviews/capsule-review/2006-11-01/war-necessary-economic-growth-military-procurement-and-technology ; https://pesd.princeton.edu/node/386
[9] https://www.psychologytoday.com/intl/blog/in-gods-we-trust/201810/does-society-need-religion ; https://www.quora.com/Does-our-society-need-religion ; https://www.theperspective.com/debates/living/perspective-religion-good-bad-society/
[10] https://www.grandviewresearch.com/industry-analysis/global-telecom-services-market ; https://www.statista.com/forecasts/1243605/revenue-food-market-worldwide
[11] https://vocetempo.it/salone-del-libro-un-vero-successo-o-unoccasione-mancata/

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CAT: Letteratura, Teatro

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