The crown diaries / 10
Era passata una settimana ormai dalla leggendaria fuga di Mia, la intrepida labrador, scappata dal suo infido padrone e ora stabilmente nascosta nella casa sul mare di Jonas, anch’egli fuggito dalla città infetta da Corona. Due anime gemelle. In fuga per la vittoria, sorrise tra sé Jonas ripensando al grande film di John Huston con Pelè, ma stiamo calmi, aspettiamo di capire se di vittoria si possa realmente parlare.
Non si sentiva molto bene, negli ultimi giorni, qualche linea di febbre, una tosse che lo stava perseguitando di nuovo, ricordo di quella bronchite acuta di qualche anno addietro, quando aveva troncato di botto il suo quotidiano pacchetto di sigarette, e che per mesi gli aveva reso la vita ancor più difficile di quando fumava regolarmente. E il suo medico a ricordargli che sì, certo, per un periodo imprecisato, avrebbe dovuto scontare la lenta pulizia dei suoi polmoni anneriti, incatramati, lo tenga a mente, caro signor Jonas, e non ritorni sui suoi passi, perché potrebbe pentirsene amaramente, se arrivasse in futuro un forte virus pare-influenzale, c’è caso che possa farle molto male.
Ecco. Ora c’era, maledetto uccello del malaugurio, ma almeno si consolò al pensiero che quella tosse, quelle linee di febbre sarebbero state forse impossibili da tenere sotto controllo se avesse continuato a fumare negli ultimi cinque anni, il tempo dell’abbandono. Intanto però doveva starsene a letto, pieno di farmaci per abbassare la febbre, accanto a Mia, che probabilmente stava cominciando a dubitare che la sua situazione fosse cambiata in meglio, cambiando uomo al comando: con il vecchio doveva stare in casa, in casa stava anche con il nuovo. Niente più corse a perdifiato dietro alla palla, niente vagabondaggi in cerca di animali sconosciuti, niente libertà nemmeno ora, con questo padrone.
Jonas la capiva, se ne dispiaceva, cercava di farsi perdonare lanciando al cane qualche pallina da tennis rimastagli dai suoi antichi trascorsi da mediocre tennista, ma certo non era la stessa cosa, barattare i venti metri quadri della sua stanza da letto con l’ampio giardino esterno non poteva dare gli stessi risultati, per la smania di correre di Mia. Ma intanto, c’era quella grana, c’era quella possibilità che il virus lo avesse contagiato, per ora in forma lieve, certo, ma cosa faccio se la situazione si aggrava, se la febbre si alza, se peggioro, chiamare la guardia medica, cercare un tampone, l’araba fenice per migliaia di italiani, andare al pronto soccorso.
La fase due, accolta con moti di giubilo da tanti, ripartiamo, ripartiamo finalmente!, per lui stava diventando una storia, un piccolo incubo, da cui voleva risvegliarsi. Presto. Jonas, letto al contrario, diventava Sano J, e pareva un ironico segno del destino, in questo momento difficile, in cui si stava ammalando. Malato J.
Che faccio, dunque? Resto qui, in attesa di Godot, o faccio un salto in qualche struttura medica? Un nuovo dilemma, finalmente, ritrovo la mia vera natura. Evviva!
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