‘Clamoroso, clicca qui!’: in difesa del clickbait
(L’uomo nella foto è Filippo Sensi, portavoce di Matteo Renzi e capo ufficio stampa di Palazzo Chigi. Il lancio fa pensare che si tratti di un boss mafioso o giù di lì, invece la polemica è tutta sul suo stipendio).
Se davvero avete cliccato questo post, la prima cosa da sapere è che non troverete una difesa del clickbaiting, cioè delle esche lanciata dai siti di news sui social network per invogliare l’utente a cliccare e massimizzare così le visualizzazioni. Più che altro, a mio parere, c’è bisogno di fare un po’ di chiarezza sui diversi tipi di clickbait, perché non per forza lanciare delle esche significa prendere in giro l’utente.
Da bravo giornalista freelance nel mondo online, mi capita di cimentarmi anche nel ruolo di “social media manager” (lo metto tra virgolette perché quello è un mestiere vero e proprio, e io lo faccio a un livello poco più che amatoriale). Stare sia dalla parte della produzione di contenuti che da quella del lancio di un pezzo ti permette di notare alcune cose. Prima di tutto, che ci sono articoli che fanno migliaia di like, centinaia di condivisioni, decine e decine di commenti, ma quando poi si va a valutare il vero impatto sulle visualizzazioni si scopre che in confronto al “rumore” fatto sulla pagina di Facebook si sono conquistate davvero poche pageviews (ok, le visualizzazioni non sono tutto, altri fattori vengono sempre più presi in considerazione, ma sono pur sempre un aspetto decisivo).
Quando è che la discrepanza tra “like” e visualizzazioni si fa più consistente? Di solito in due casi. Il primo è quello di un titolo assertivo, forte, come può essere “Renzi ha ucciso la sinistra” (per fare un esempio a caso). Un titolo di questo tipo richiamerà un grande numero di like e di condivisioni, senza che necessariamente chi ha messo il like sia poi andato a leggersi l’articolo. In un certo senso, non c’è bisogno di leggerlo: se si è d’accordo con il titolo, si immagina cosa l’articolo conterrà e si provvede alla sua diffusione a prescindere. Non è certo una bella modalità di far circolare l’informazione, ma tant’è.
Un secondo caso in cui c’è grande discrepanza tra like, condivisioni e visualizzazioni è quello in cui tutte le informazioni essenziali, spesso pratiche, sono già contenute all’interno del lancio su Facebook. Un esempio classico è quello degli scioperi: se nel lancio su Facebook già racconto il giorno dello sciopero, la città coinvolta e gli orari, ho già fornito tutte le informazioni pratiche e l’utente non sarà certo invogliato a cliccare sul post, avendo già letto quasi tutto quello che gli serve. Si limiterà a condividere il post per far circolare la notizia e/o a commentare per insultare o difendere (di rado) i lavoratori che incrociano le braccia.
Il clickbait in origine potrebbe essere nato proprio per aggirare questo problema, per poi degenerare nelle modalità che vedremo. Quando si lancia su Fb un articolo sullo sciopero c’è un solo modo per ottenere davvero le tantissime potenziali visualizzazioni: non dare l’informazione completa. Il lancio deve rendere noto solo che ci sarà uno sciopero, magari le città coinvolte, mentre il giorno e gli orari si potranno conoscere solo cliccando sull’articolo. Quando si fa un lancio di questo tipo, però, tra i commenti compare sempre chi si lamenta, di solito spiegando come “per principio” non clicca su articoli di questo tipo, segnalando come “clickbait = defollow”, o anche premurandosi di fornire lui nei commenti le informazioni complete che nel lancio mancavano. Lo stesso avviene quando attraverso il lancio si cerca di incuriosire, di lanciare sì un’esca, ma al termine della quale c’è tutto quello che veniva promesso.
Quello che mi chiedo è (e qui viene la “difesa” del clickbait): che male c’è? Non è che non fornendo tutte le informazioni sul lancio si prenda in giro l’utente, semplicemente lo si invoglia a cliccare sul link per accedere all’articolo che contiene tutte le informazioni necessarie. Non è richiesto un grande sforzo, solo un click e l’attesa minima che la pagina si carichi. D’altra parte, perché le aziende che vivono sulle news dovrebbero essere masochiste al punto da rinunciare a una marea di visualizzazioni? Se tutti si limitassero a leggere l’informazione su Facebook senza poi cliccare sul link, le visualizzazioni di quel post scenderebbero semplicemente a zero; e siccome le società non sono certo delle non-profit (e non credo sia una colpa), questo è un rischio che bisogna evitare.
Il male del clickbait è un altro. È, come sempre, il suo uso selvaggio e spregiudicato, da informazione trash, che ha reso un nemico chiunque cerchi di rendere accattivante l’informazione sulla pagina Facebook. Tra i siti che fanno l’uso più terribile del clickbaiting in Italia, alcuni hanno una proprietà molto vicina al politico che più di ogni altro si lamenta della pessima qualità dell’informazione in Italia (il che è tutto dire). Ricordo benissimo la prima volta che mi resi conto di quanto poteva essere cattivo il clickbait. Stavo scorrendo la pagina di un celeberrimo blog, quando sulla colonna destra vidi la foto di Francesco Totti in lacrime, sotto questa struggente immagine una scritta recitava: “Non crederete mai che cosa ha combinato”. Santo cielo! Ovviamente mi precipitai a cliccare quel link, curiosissimo di scoprire che cosa avesse mai combinato Totti. Il contenuto a cui approdai mostrava una foto scattata a un sorridente Totti, in posa insieme a Massimo D’Alema. Non c’era nemmeno la notizia, solo la foto corredata da un paio di righe inutili.
E però c’è una bella differenza nei due casi: in quest’ultimo si incuriosisce l’utente con lo stereotipato “clamoroso, non ci crederai mai” salvo poi non dargli nessuna informazione (una strategia a corto respiro, che danneggia la credibilità del giornalismo online e che produce assuefazione e fastidio), nell’altro caso si invoglia l’utente a cliccare offrendogli poi esattamente il contenuto che si è promesso. Insomma, se su Facebook lancio un post scrivendo “Grosse novità per le MOSCHEE a MILANO”, e poi cliccando al link si accede a un articolo in cui si racconta delle aree sulle quali sorgeranno i luoghi di preghiera per gli islamici, non penso di aver preso in giro l’utente di Facebook. Se invece gli mostro, chessò, Matteo Salvini che fa il terzo dito, allora sì, l’ho preso in giro eccome.
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