Promessi sposi in salsa hummus

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13 Ottobre 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

te lo ricordi Tzachi Halevi, il bello di “Fauda”, la serie televisiva israeliana che racconta di una truppa speciale dell’esercito israeliano che agisce in incognito a nei Territori Palestinesi?

Dopo 4 anni di clandestinità è finalmente convolato a nozze con l’altrettanto famosa giornalista Lucy Aharish, nota per essere bella, simpatica e intelligente ma soprattutto araba, contraddistinta, tuttavia, da uno stile di vita molto occidentale e poco tradizionale.

Tutto bene quel che finisce bene, tranne il fatto che, oltre ai paparazzi, questa volta ci si è messo anche un parlamentare israeliano del partito di Likud, Oren Hazan, tristemente noto in passato per i suoi poco consoni commenti sessisti e razzisti, a seconda, nei confronti delle sue colleghe parlamentari donne o dei suoi colleghi parlamentari arabi. Come auguri agli sposi Hazan ha ufficialmente condannato sui social media Tzachi Halevi per aver sposato una musulmana e quindi aver messo in pericolo la purezza del popolo ebraico, a meno che Lucy Aharish non sia disposta a convertirsi.

Ovviamente sui media israeliani in questi giorni non si fa che parlare di questo e molti personaggi dello spettacolo della scena pubblica si sono stretti accanto ai Renzo e Lucia israeliani e alla loro nobile causa.

Resta il fatto che Oren Hazan, in quanto parlamentare, non soltanto si è permesso di esprimere il suo razzismo in pubblico ma si è fatto vero e proprio portavoce di quel lato scuro di Israele che vede nell’assimilazione un pericolo anzichè un arricchimento culturale.

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Carissima Fiammetta,

mi stupisce molto che un matrimonio misto, tanto più tra laici, faccia ancora notizia. Siamo nel 2018, dovremmo dire a Mr. Hazan. E probabilmente lo sa benissimo. Gioca a fare il razzista bigotto perché è il ruolo che glielo chiede. I sentimenti sono riusciti nei secoli a superare gli ostacoli rappresentati dalla religione dal colore della pelle e dall’appartenenza sociale, lo sanno anche i bambini. La razza ebraica non esiste e quella araba men che meno. Ma se i politici iniziassero ad eliminare la retorica della diversità e della lotta al nemico ipotetico (se non sono gli arabi, sono gli immigrati) allora dovrebbero iniziare a parlare di problemi veri: tipo perché siamo arrivati alle soglie del 2020 senza aver adempiuto all’obiettivo di convertire le auto a benzina di auto elettriche o idrogeno. Perché se sappiamo che i pesticidi e gli ormoni nel cibo fanno male continuiamo a permettere di utilizzarli. Perché le compagnie telefoniche dichiarano di offrire delle tariffe e invece ne applicano altre. Perché in un paese come Israele gli stipendi non sono adeguati al costo della vita. Perché a distanza di 70 anni dalla creazione dello Stato non si è ancora trovata una soluzione dignitosa per il popolo palestinese che in quella terra ci abitava già prima.

Io se fossi un elettore chiederei queste cose a un parlamentare della Knesset mentre lascerei la gente sposarsi come, quando e con chi gli pare.

La verità è anche un’altra, cara Fiammetta, e lo dico con rammarico: ai giornalisti piace troppo “megafonizzare” i messaggi razzisti, è un’attrazione fatale con cui probabilmente stiamo uccidendo la democrazia, poco a poco. Trump dopo Trump, Salvini dopo Salvini e Hazan dopo Hazan.

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

purtroppo hai ragione e infatti in questi giorni in Israele non si parla d’altro che di questo matrimonio.

Tuttavia, per quanto i problemi veri siano altri e tu li hai già brevemente elencati, resta il fatto che il razzismo in Israele rappresenta un problema non soltanto tra ebrei ed arabi ma anche tra ebrei ed ebrei.

Mi spiego meglio, raccontandoti la storia di Shulamit Brano: 35 anni, avvocato di successo con un curriculum da superwoman, con tanto di carriera militare e politica alle spalle.

Salvo un dettaglio, come lei stessa racconta, quello di essere “nera”, essendo Shulamit un’ebrea di origine etiope, cosa, ancora oggi nel 2018, con un peso sociale non irrilevante.

“A volte vengo fermata per strada e mi vengono chiesti i documenti di identità solo per il colore della mia pelle” spiega Shulamit, che ogni volta deve raccontare al poliziotto di turno la sua storia di israeliana “per bene”, rispettabile e plurilaureata; mentre un avanzo di galera pluriprocessato senza nessun diploma alle spalle come Aryeh Deri, uno dei fondatori di Shas, il partito ultra-ortodosso misrachi, è attualmente Ministro dello Sviluppo Economico delle aree in via di sviluppo e si permette di sentenziare riguardo alle nozze della coppia novella in quanto possibile minaccia per l’unità del popolo ebraico.

Del resto anche il popolo palestinese ha accolto con con altrettanto astio questo matrimonio e da anni si dimostra ostile nei confronti di Lucy Aharish per via del suo stile di vita troppo “occidentale” e “corrotto”, additandola come una traditrice dell’Islam e del popolo palestinese.

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

La vera ragione per cui Lucy Aharish è stata criticamente seriamente dalla comunità palestinese, musulmana e non, è la sua partecipazione alla festa dell’Indipendenza d’Israele, nel 2015, cerimonia in cui ha acceso la torcia, onore riservato a pochi eletti per il servizio reso al paese. Questo sì che è stato visto come un tradimento per il suo popolo.

Ma a dirla tutta, di tradimento non si è trattato perché lei ha dichiarato in quella circostanza che “esiste un paese solo”, il cui cielo racchiude tutti. Sarebbe bello se così fosse, peccato solo che sotto quel cielo esistono due muri, uno di cemento armato che isola i Territori Palestinesi e uno di filo spinato che ha fatto di Gaza la più grande  e triste prigione a cielo aperto al mondo.

Sarebbe davvero bello se lei avesse ragione e se un giorno uno Stato solo, multiculturale, multi religioso e federale, permettesse ai suoi cittadini non solo di sposarsi ma anche di muoversi, liberamente.

TAG: Israele, matrimonio
CAT: Medio Oriente

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