L’Europa dei migranti vista dal Medio Oriente

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14 Luglio 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

in questi giorni i social italiani sono invasi da magliette rosse, oppositori di magliette rosse, analisi di esperti, pseudo-esperti e per nulla esperti in materia di migrazione, ognuno con il suo punto di vista, quasi sempre parziale, perché, per definizione, se si sta da una parte sola è ben difficile vedere l’altra, sull’argomento.

Anche tu, come me, sei una migrante, non scappata da un regime totalitario bensì andata via da un paese, tecnicamente, democratico, ma in forte crisi economica.

Molti ci potrebbero additare come “privilegiate”, quelle che migrano col Rolex, che io non soltanto non possiedo ma che ho sempre trovato overrated, anche come status symbol.

Altri ci definiscono, come nel mio caso, in cui ho seguito uno specifico percorso accademico, come una “fuga di cervelli”.

Tuttavia la domanda che sorge spontanea è questa: e se coloro che cercano fortuna attraversando il Mediterraneo fossero anche loro “cervelli in fuga”?

Che differenza fa fuggire da una dittatura o da un’economia in crisi? La maggior parte degli italiani scappati dall’Italia tra le due guerre, con una valigia avvolta nello spago, hanno cominciato la loro carriera all’estero come lavapiatti per poi aprire ristoranti dove oggi è impossibile entrare senza prenotazione e i cui nipoti, talvolta, sono stati nominati per il Nobel dell’economia.

Vedere tutto questo fenomeno di subbuglio da qua è doppiamente singolare perché lo Stato di Israele è stato fondato proprio da migranti: in fuga dall’antisemitismo prima, dai lager poi e infine alla ricerca di un sogno, quello della Terra Promessa, e molti di loro, guarda a caso, sono passati da Stoccolma a ritirare il tanto ambito Premio, nei settori più disparati che vanno dalla chimica alla letteratura.

E forse, in fondo, ogni migrante, non è sempre in cerca della sua “terra promessa”?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

io sono emigrata molto volentieri quando nel 2012 non c’era posto per me nelle redazioni italiane, e visto che gli esteri erano la mia passione, ho pensato bene di “esterizzarmi” facendo una migrazione al contrario: ovvero andando in luoghi dove l’Europa è un sogno inaccessibile.

Mi sono sempre sentita a disagio quando intervistavo persone in Libano, Siria o Iraq che guardavano il mio passaporto come se fosse il lasciapassare per un mondo migliore. Mi sono sempre sentita a disagio quando dicevo ai palestinesi incontrati in giro per il mondo che io potevo vivere in Israele mentre loro non ci potevano mettere piede.

Ma il tema più sottile da affrontare, secondo me, non è tanto il diritto di migrare (che è sacrosanto) quando la libertà di movimento.

Sembrano concetti uguali ma non lo sono. Se tutti fossimo davvero uguali, come affermato nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, avremmo tutti la stessa possibilità di viaggiare. Quanto al diritto di risiedere e lavorare in un determinato Paese, ovviamente è cosa diversa: bisogna rispettare le leggi esistenti di quel territorio.

Più che potenziali premi Nobel, o potenziali spacciatori, credo che la maggior parte dei migranti siano persone con lavori “normali”, tipo panettieri, elettricisti, autotrasportatori, infermieri, negozianti e, infatti, alla fine dei conti molti migranti in Italia il lavoro lo trovano eccome: ad offrirglielo sono piccoli e medi imprenditori che poi magari alle urne votano Salvini.

Sembra un atteggiamento bipolare ma non lo è affatto: quando il migrante serve viene assunto e sottopagato e quando lo si vede bivaccare nelle strade si vota qualcuno che “promette” di levarlo dalla visuale.

Ma tu che vivi a Tel Aviv da 10 anni, come viene vista tutta la questione dell’immigrazione in Europa da lì? E tu la maglietta rossa l’hai messa oppure no?

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

No, io la maglietta rossa non me la sono messa e non perché abbia personalmente niente contro l’iniziativa in sé, ma perché credo che tutte queste iniziative “da social network”, dopo il grande rumore iniziale, lascino il tempo che trovano e che solo le istituzioni possono, come hai giustamente osservato tu, regolamentare non solo l’accesso a un paese ma soprattutto il premesso di lavoro, cosa assai più complicata da ottenere. Non solo in Italia, ma in gran parte del mondo, ragion per cui, in Italia come nel resto del mondo, il vero problema da affrontare non è quello degli immigrati ma del mercato nero, che c’è sempre stato e probabilmente sempre ci sarà e che è molto più facile da delegare agli “ultimi arrivati”, con scarsa conoscenza del diritto del lavoro e soprattutto con poche altre alternative, finendo con l’alimentare quella spirale perversa per cui non si sa più se l’origine del problema è l’uovo o la gallina.

Per quanto riguarda come vedono la questione qua, c’è uno strano paradosso per cui quando si comincia a parlare della questione degli attentati in Europa l’israeliano medio non perde occasione di sottolineare come, per assurdo, oggi i confini di Israele siano molto più sicuri di quelli dell’Europa dove, tra i tanti immigrati musulmani in buona fede, scappati in cerca di migliori opportunità, si celino anche quelli che, invece, per via del loro integralismo, sfruttano l’opportunità di vivere in occidente per condannare e ferire chi alla loro fede non aderisce.

Invece a Gerusalemme che si dice in proposito? E tu la maglietta rossa te la sei messa o no?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

Io la maglietta rossa non l’ho messa ma sul tema della migrazione, come sai, ci ho scritto un libro: “La ragazza di Homs”. È un romanzo ispirato a personaggi reali che racconta la storia di due persone che migrano, e non di due migranti. Tanto per ricordare che sui barconi ci sono delle persone. Permettimi di scandirlo, che di questi tempi non sembra essere un concetto chiaro: P-E-R-S-O-N-E.

Comunque, per non essere tacciata di buonismo, adesso dico qualcosa di controverso: qui a Gerusalemme di migranti non ce ne sono abbastanza ed infatti è una città estremamente cara e poco funzionale.

Quando ti si rompe qualcosa in casa puoi attendere anche 3 settimane o tre mesi prima che ti venga riparata. Negozietto etnico dove fare due chiacchere e qualche acquisto last minute? Dimenticati anche questo!

Ma piuttosto che riflettere su quanto la carenza degli stranieri, in cerca di lavoro, abbia creato un sistema socio economico asfittico, qui il gerosolomitano medio preferisce enfatizzare le difficoltà in cui versa l’Europa con l’arrivo dei migranti africani, molti dei quali di religione islamica.

Il mio rivenditore di ricariche telefoniche è convinto che il vecchio continente stia per essere nuovamente dominato dai muslimim. Mentre la mia estetista mi ha chiesto, sinceramente preoccupata, se in Belgio ci sia ancora Daesh, riferendosi all’ISIS.

Prometto, cara Fiammetta, che appena mi trasferisco a Bruxelles ti faccio sapere a che punto sono con lo smantellamento delle cellule dell’ISIS Se la strada è sgombra da jihadisti ti faccio un fischio.

 

 

TAG: europa, immigrazione, Israele
CAT: Medio Oriente

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