Muro del pianto: la rivolta delle femministe con la kippah

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7 Luglio 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

Come ben sai in questi giorni una commissione governativa dovrà decidere le sorti di uno dei luoghi più contesi al mondo, non solo tra arabi ed ebrei, ma anche tra ebrei ed ebrei. O meglio, tra ebrei ed ebree.

Tutto comincia quando, a partire dal 1967, ovvero con la conquista di Gerusalemme al termine della Guerra dei Sei Giorni, la lobby ultraortodossa ottiene la separazione al Muro del pianto delle aree di preghiera per uomini e donne, come per tradizione anche in sinagoga, tranne che in quelle riformate.

Tuttavia, negli anni, lo spazio al Muro del pianto riservato agli uomini si è allargato sempre di più a scapito di quello delle donne e, aldilà della discriminazione di genere, rimane il fatto che dal punto di vista storico e archeologico, come si può verificare in numerose foto e immagini d’epoca, il Muro era sempre stato aperto a tutti, senza alcuna discriminazione di genere. Ed è proprio questo che vogliono combattere, ricorrendo al diritto giuridico, le “donne del muro” o Women of the Wall, ONG fondata a Gerusalemme nel 1988.

Se non mi ricordo male tu hai intervistato la sua fondatrice. Quale è il suo punto di vista, e quale il tuo, sul rapporto tra religione e disuguaglianze di genere?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

tocchi un argomento con cui mi sono dovuta confrontare appena sono arrivata a Gerusalemme, ormai cinque anni fa. È stato a dir poco strano, dopo il mio trascorso in Libano e Siria, dove la tradizione religiosa sembra essere immutabile, vedere le ebree del Women of the Wall combattere la battaglia per la parità di genere attraverso la religione.

Personalmente l’ho trovato un ossimoro, una forzatura, dirò qualcosa di forte: un’oscenità.

E non lo dico certo per conservatorismo religioso. Lo dico perché da europea credo che la parità di genere si ottenga attraverso un cammino secolare. La religione, nella mia visione, appartiene ad una sfera privata, pur sapendo che la religione si può vivere in modo collettivo nei luoghi di culto e molte persone hanno piacere a frequentare “le case di Dio”, per ritrovarsi con la propria comunità. Sono scelte che rispetto, ma che a mio avviso poco hanno a che vedere con le istituzioni pubbliche. Quindi da donna emancipata, libera e in uno stato di diritto, se dovessi andare in chiesa, in moschea o in sinagoga non mi stupirei più di tanto nel constatare che  i testi sacri sono vagamente patriarcali. Per questo vedere le donne di Women of the Wall fare le loro preghiere in mezzo alla strada facendo finta di essere dei rabbini, mi ha fatto una pessima impressione.

Tuttavia ho intervistato Annat Hoffman, la leader, e al di là delle performance esibizioniste, ciò che ha detto sul lungo cammino che Israele deve ancora fare per quanto riguarda la parità  di genere è stato davvero interessante.

from: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

cominciamo dal primo malinteso: le donne del Woman of the Wall non “fanno finta” di fare le rabbine: lo sono a tutti gli effetti, e la cosa grave sta proprio nel fatto che il rabbinato di Israele non le riconosca in quanto tali e, di conseguenza, anche persone laiche e di larghe vedute come te.

Detto questo, per riflettere sulla tua osservazione, da atea quale sono, se fossi religiosa, a prescindere dalla mia religione di appartenenza, vorrei che uomini e donne avessero gli stessi diritti nel poter praticare la propria religione in privato, come di tu, ma anche pubblicamente, visto che non la spiritualità, bensì le religioni, sono un fatto pubblico (se non “cosa pubblica”) per definizione.

In particolare, essendo io figlia di madre ebrea, padre cristiano e avendo una nota passione per il buddismo, trovo più che osceno, addirittura aberrante (concedimi tu il termine questa volta) la quasi totale mancanza di preti, monache e rabbine non tanto nel periodo patriarcale, come dici tu, in cui sono stati scritti i testi cosiddetti sacri, bensì nel mondo contemporaneo di oggi in cui le donne, dall’impiego più basso, passando per Hollywood, fino ad arrivare alla politica, come abbiamo visto nelle recenti elezioni negli Stati Uniti, devono ancora faticare il doppio per raggiungere la stessa posizione lavorativa dei loro colleghi uomini.

Pertanto, ben vengano le rabbine donne al Muro del Pianto e anzi, in questo senso, trovo che la religione ebraica, nella sua versione reformed, sia una delle più emancipate e un esempio modello per tutte le religioni del mondo.

Ma dimmi tu, come stanno, sotto questo aspetto, le cose nell’Islam?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

sono al corrente che le rabbine esistono. Ma la cosa, devo dire, mi lascia piuttosto indifferente, così come la presenza, ormai decennale, di donne che dicono messa nelle chiese protestanti. In particolare mi riferisco a quella anglicana che conosco e frequento.

Perché la cosa mi lascia indifferente? Non credo che nessuna causa femminista possa seriamente passare attraverso le istituzioni religiose. Vinta la battaglia del tutto formale sull’accesso ad un determinato luogo sacro, o alle carriere religiose: quale donna, rabbina o sacerdotessa, intraprenderebbe una lettura paritaria dei testi sacri?

Quando si crede nella separazione tra religione e Stato, in cui io credo fermamente, ogni tentativo di far sembrare la religione più paritaria e egualitaria, per renderla più politicamente accettabile, è a mio avviso un tentativo “subdolo” di interferenza. Ma forse penso male.

Quanto all’Islam, la figura dell’imam, rigorosamente maschio, e la separazione delle sale di preghiera, tra uomini e donne, sono principi finora accettati universalmente. Esistono, come forse hai potuto vedere nei vari canali arabi trasmessi anche in Israele, molte donne che spiegano e interpretano i principi religiosi. Alcune di loro superano gli uomini in quanto a conservatorismo. Altre, invece, possono essere piuttosto spigliate nel parlare di tutti gli aspetti della vita quotidiana, incluso quello sessuale. Non saranno delle gran teologhe, ma se non altro alleviano le sofferenze di molte donne cercando di rispondere a grandi e piccoli dubbi raccogliendo le confidenze di quelle casalinghe timorate che trovano il coraggio di alzare la cornetta del telefono.

Forse non sarà rivoluzionario, ma lo trovo comunque un interessante passo avanti.

 

 

TAG: Diritti donne, femminismo, religione
CAT: Medio Oriente

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