From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Carissima Susan,
con l’avvicinarsi del Natale mi viene sempre in mente una delle mie canzoni preferite di Francesco De Gregori: “L’uccisione di Babbo Natale”.
Il testo recita così: “E la neve comincia a cadere, la neve che cadeva sul prato, e in pochi minuti si sparse la voce che Babbo Natale era stato ammazzato”.
Per me Babbo Natale é stato ammazzato quando io ero ancora all’asilo, in Italia, e mia madre, più atea che ebrea, di fronte a una vetrina di giocattoli decorati a festa, mi comunicò ufficialmente della non esistenza di Babbo Natale: un’infanzia distrutta alla fermata del tram.
Ma in questi giorni ho riscosso la mia rivincita. Quest’anno infatti, oltre a lavorare come curatrice al Museo Eretz Israel, ho inizato anche a insegnare italiano in un paio di classi all’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv.
Questa settimana, sia per raccontare la cultura italiana del Natale, sia per insegnare il modo condizionale, ho chiesto a ciascun allievo di scrivere una lettera personale a Babbo Natale, strutturata così: “caro Babbo Natale, quest’anno per Natale vorrei…”.
Ho lasciato spazio libero alla loro creatività, purché utilizzassero modi e tempi in maniera corretta e la maggior parte degli studenti ha scritto qualcosa di molto simile a: “quest’anno per Natale, vorrei la Pace in Medio Oriente”. Anche io.
Cara Susan, tu quest’anno cosa vorresti per Natale ?
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Se me lo chiedi così, su due piedi, vorrei che Babbo Natale mi regalasse otto ore di sonno consecutive. Ma credo che sia tanto difficile quanto stabilire la Pace in Medio Oriente, almeno finché Sami non si deciderà a mettere anche gli incisivi superiori.
A volte, per sopravvivere a queste notti infinite, immagino mio figlio alla sua cerimonia di laurea: io con qualche ruga in più ma felice, e lui, sorridente, con tutti i denti.
A parte gli scherzi, in realtà un desiderio Babbo Natale me lo ha già esaudito: la visita del vice presidente americano Pence prevista in questi giorni a Gerusalemme è stata cancellata. Un regalone a tutta la città che di questi tempi non ha bisogno di nuove ragioni di conflitto. Anche se questa è forse una delle città meno natalizie al mondo, qui la piccola e resiliente comunità cristiana palestinese si fa sentire, supportata dal resto dei connazionali musulmani, perché il Natale è una cosa importante, soprattutto a Betlemme, che dista solo 10 km da qui. Chi vorrebbe un Natale con i gas lacrimogeni e i figli in prigione?
Il Natale qui è una cosa seria: grazie al Natale arrivano turisti, pellegrini, flussi di denaro fondamentali per l’economia palestinese. Noi il Natale scorso abbiamo passato la vigilia a Betlemme, con parate degli scout e bande musicali, l’albero gigante e il presepe sulla piazza della Mangiatoia. È stato davvero emozionante, per me, essendo cresciuta in una famiglia “catto-musulmana”, vedere ragazze con il velo farsi selfie con l’albero di Natale a Betlemme, alla faccia di chi in Italia ha sempre messo in antitesi il Natale coi musulmani: fiumi di inutili dibattiti sui crocifissi negli edifici pubblici, le critiche feroci alle festicciole del “Natale non Natale ” per essere inclusivi. Ma chi ha detto che i musulmani si sentono offesi da un abete o da una rappresentazione in ceramica della natività?
I miei ricordi del Natale da piccola sono molto gioiosi, era l’occasione per riunire tutta la famiglia e giocare fino a notte fonda coi cugini. Potevamo dormire tutti a casa di mia nonna, essere viziati con una quantità davvero diseducativa di regali, mangiare il Nesquik e guardare i cartoni animati su “Italia 1”: erano i favolosi anni Ottanta.
Purtroppo anche per me Babbo Natale ha avuto una vita piuttosto breve: i traditori sono stati i miei cugini più grandi. Avrebbero potuto aspettare ancora un po’. Avevo solo cinque anni.
E voi cosa farete per Natale quest’anno?
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Quest’anno, come tutti gli anni, per Natale torniamo in Italia, sia per festeggiare con la mia famiglia catto-giudaica, sia per festeggiare con gli amici, molti dei quali non vivono più in Italia da anni, per cui il Natale diventa davvero un’occasione speciale e unica, una volta all’anno, per essere e sentirsi vicini.
Forse questa è la vera ragione delle festività, in qualunque religione: un’occasione per sentirsi uniti e stare accanto alle persone a cui vogliamo bene.
Pochi giorni fa in Israele si è conclusa la festività di Channukah, detta anche la Festa delle Luci, in cui, per otto giorni, ogni giorno, si accende una candela per ricordare la liberazione della Giudea dall’occupazione ellenica nel II secolo a. C., quando i Maccabei riconquistarono il Tempio di Gerusalemme.
Stando allla tradizione, quando vennero riaccese le candele del Tempio avvenne un miracolo che permise alle candele di rimanere accese per otto giorni consecutivi nonostante ci fosse olio a sufficenza per un giorno solo.
Per ricordare e commemorare questo miracolo, assieme alla liberazione di Gerusalemme, oltre ad accendere le candele per otto giorni, durante Channukah si usa mangiare anche suvganiot e levivot, rispettivamente bomboloni e frittelle, ovvero cibo fritto nel’olio, come l’olio che permise il miracolo.
Il concetto della trasmissione, di generazione in generazione, di questo importante momento per la storia di Israele, fa di Channukah la festa, per eccellenza, più amata dai bambini.
Forse, anche per questo, è, tra tutte le fesitività ebraiche, quella che amo di piú, perchè mi riporta alla mia infanzia, quando, candidamente, credevo ancora a Babbo Natale e ai miracoli, come quello della Pace in Medio Oriente.
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Per me da straniera, Channukah, è la festa dei donuts, o meglio, delle ciambelle fritte. Quelle che ingrassi due chili solo a guardarle ma mettono tanta allegria, soprattutto in una città come Gerusalemme dove l’allegria di solito non è molto evidente, o almeno non si vede per le strade. Invece in questi giorni anche mia figlia torna tutti i giorni dall’asilo con un lavoretto diverso a forma di candela. Nella sua scuola, dove abbondano anche gli addobbi natalizi, si festeggia tutto. Mi piace molto il multiculturalismo con cui sta crescendo e spero proprio che se lo porti con se, ovunque andremo a vivere. Alla faccia delle guerre di civiltà.
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Anche io una delle cose che amo di piú dell’asilo di Enrico è il fattore internazionale.
Persino l’asilo è uno specchio della societa israeliana, costituita da comunità arrivate da ogni angolo del mondo : dall’Austalia al Canada, dall’India ad Sud Africa, dal Marocco alla Siria.
A dire il vero, oggi, proprio mentre leggevo il tuo libro in areo andando a Milano, mi colpiva la tua descizione della Siria come un paesaggio dell’Umbria. Di solito questo è quello che dicono gli Israeliani del Golan. Anzi, si spingono a chiamarlo persino la Toscana d’Israele per via dell’intensa produzione vinicola a cui il Golan si è dedicato con successo negli ultimi decenni.
Per tanto, non mi stupisce la tua descrizione, considerando che una volta il Golan era parte della Siria. Altro territorio conteso. Altri due paesi così vicini, eppure, così lontani.
In via del tutto teorica, fare un weekend a Damasco giungendo da Tel Aviv sarebbe molto piú veloce che andare a fare un weekend a Roma arrivando da Milano, tanto che durante il Mandato Britannico avevano iniziato a costruire la tratta ferroviaria che da Baghdad sarebbe dovuta arrivavare fino ad Haifa. Il nonno di un mio caro amico israeliano fu uno degli ingenrieri responsabili dei lavori, quando, poco meno di un secolo fa, viaggiare per il Medio Oriente non era cosi diverso che un viaggio tra un paese e l’altro nell’attuale Unione Europea.
E invece oggi, uno dopo l’altro, come un effetto domino, gli stati del Medio Oriente stanno implodendo e stiamo assistendo alla distruzione di città, popolazioni e splendori architettonici di una delle civiltà piú antiche e piú affascinanti del mondo.
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Santo Cielo, Fiammetta, tocchi un argomento che mi sta molto a cuore. Vorrei poter prendere l’auto da Gerusalemme e andare a trovare la mia migliore amica a Beirut: passare da Damasco per farmi una dose del miglior kibbeh sulla faccia della Terra e poi scappare subito via sulla costa.
Ho fatto tante volte questo nostalgico gioco con i miei amici siriani esiliati in giro per l’Europa, facendo finta che in Siria non ci fosse la guerra e mangiando pollo fritto al coriandolo a Homs, fermandoci lungo la strada che porta da Damasco ad Aleppo per fumare il narghile nelle tende beduine. Non so quanto della nostra Siria sia rimasto. Di sicuro a Damasco, tra un nuovo bombardamento e una nuova tregua, stanno aprendo locali trendy di sushi e cocktails che il 99 per cento della popolazione non può permettersi, mentre il suq medievale di Aleppo resta irrimediabilmente devastato. Diciamo pure che il regime di Assad è più abile a distruggere che a ricostruire. Dopo la guerra di Yom Kippur, nel 1973, Hafez Assad tentò una fallimentare impresa militare per riprendersi le alture del Golan. Da quell’anno, sul lato siriano, invece di far rinvigorire la vegetazione, le verdi colline sono diventate un arido mausoleo dell’odio: per decenni si sono portate scolaresche in gita in Golan per mostrare la cattiveria del nemico, e rinvigorire l’antagonismo. Anche perché, in un paese diviso come la Siria tra etnie e religioni, faceva sempre comodo avere un nemico comune. Allora ecco che che nella arida Quneitra, nel Golan siriano, gli alberi non potevano più crescere a causa di Israele, i campi dove pascolavano delle pecore smunte erano minati a causa di Israele. La città di Quneitra non fu mai ricostruita per mostrare a tutti cosa aveva fatto Israele. Eppure la terra era la stessa del Golan occupato: stessi minerali e stesse falde. Forse si sarebbe potuto produrre del buon vino anche nel Golan siriano? Dopotutto il regime riesce a far arrivare il sushi fresco a Damasco ogni giorno, dopo 5 anni di guerra e più di mezzo milione di morti. Piantare delle vigne in un territorio fertile non sarebbe stato poi così difficile. Mi auguro che lo facciano le nuove generazioni, le uniche in grado di guardare avanti. E se c’è una cosa che non manca in Medio Oriente sono proprio i giovani.
Con questa immagine verde di speranza, ti saluto dalle belle e bagnate colline del Sussex. Qui il Natale ha il sapore dello zenzero delle tortine speziate, del legno lucidato delle chiese gotiche, di tacchino arrosto e addobbi raffinati. Tazze di tè e Gin and Tonic, caldi Pub con la condensa sui vetri: una vera full immersion “nell’esotico” nord europeo prima di ritornare al nostro caldo inverno gerosolimitano.
Ti auguro di tutto cuore un Buon Natale.
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Buon Natale Susan. Buon Natale a tutti, ovunque voi siate.
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