Tredicenne muore di mutilazione genitale, l’Egitto assolve medico e padre

:
9 Dicembre 2014

“Il caso Sohair al-Bata’a è in cima ai nostri successi,” diceva un mese fa Germaine Haddad, portavoce della campagna nazionale contro la Mutilazione Genitale Femminile (MGF), promossa dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e UNICEF. A farle eco, la consulente di Equality Now, Suad Abu Dayyeh, che, dopo aver ha fatto della MGF il suo fiore all’occhiello, diceva: “Diventerà il caso principe nella storia della MGF in Egitto e aiuterà a implementare la legge del 2008, varata ma mai usata.” E invece…

Il 20 novembre è stato un giorno di lutto in Egitto. Sia il responsabile – il dottor Fadl – che il mandante – il padre – della morte della tredicenne Sohair, avvenuta nel giugno 2013 in seguito a complicazioni dovute all’operazione, sono stati assolti. Dopo aver allungato un risarcimento di 561 euro alla madre, tra l’incredulità e l’astio dell’auditorio, l’influente dottore, noto nel remoto villaggio del nord dell’Egitto di nome Agga, per “purificare” bambine nel loro passaggio da pubertà ad adolescenza, ha lasciato l’aula a piede libero.

Secondo stime pubblicate dai Sondaggi per la Demografia e Salute (DHS), il 91% delle donne sposate tra i 15 e i 49 anni è stato vittima di MGF, in particolare nelle zone rurali ad alto tasso di analfabetismo, e i motivi dietro a una pratica pericolosa, illegale e contraria sia a Islam che Cristianesimo, tanto da aver spinto il Gran Muftì di Al-Azhar a indire una fatwa e le autorità copte a esprimersi con altrettanto vigore, sono rimasti invariati negli anni.

Il caso Sohair è rappresentativo di come la giustizia sia un bene per pochi in Egitto, e la legge contro la mutilazione un mero pezzo di carta, anche se, grazie a capillari interventi sul territorio, la situazione sta cambiando. E, nonostante le difficoltà nello sradicare dall’oggi al domani una pratica diventata norma, la popolazione sta acquisendo consapevolezza dei rischi e svantaggi che comporta.

“Non dimenticherò mai quel giorno,” dice Zeynab Salah accogliendoci all’interno della sua fatiscente casetta nell’intrico di viuzze che è il villaggio rurale di Tawfeya, fuori Minia. “Avevo 11 anni e non sapevo nulla del khitan (taglio). Ricordo Aga Fatma, l’ostetrica, e di aver associato il suo viso ai racconti di pianti e urla delle mie amiche. Ho provato a fuggire ma mia madre mi ha trovato e convinto che, come tutte prima di me, quello sarebbe stato il mio destino.” Salah racconta di come ai suoi tempi la MGF fosse una tappa obbligatoria per le bambine in età da marito, e sbarazzarsi dell’organo del piacere garantisse castità e purezza prima e dopo l’unione matrimoniale.

Anni dopo toccò alla figlia. “Non volevo che vivesse il mio stesso trauma, e che un’ostetrica le tagliasse le parti intime con un rasoio senza anestetici, così chiesi consiglio a un dottore.” Rispetto al passato, il 60-70% delle mutilazioni genitali oggi è eseguito in cliniche private, perché “le famiglie si convincono che il problema non stia nell’operazione ma nel metodo con cui è eseguita,” spiega la direttrice della compagnia teatrale Noon Creative Enterprise, Nada Sabet. “Con mia sorpresa, il dottore trovò il clitoride di Aya più lungo del normale e decise di reciderne un pezzetto,” aggiunge Salah mestamente. Spesso i dottori fanno leva sulla piccola porzione di clitoride da tagliare, per convincere le famiglie a sottoporre le giovani all’operazione e, a dimostrazione, sono già famose le parole spifferate dal dottor Fadl al The Guardian: “Hai presente quanto è piccolo 1 cm? Ovunque fanno quest’operazione.”

Aya non ha ancora perdonato la madre, e Salah se stessa. “L’unico motivo che forse mi spinse a tagliare Aya era farla ingrassare un po’, ma se qualcuno mi avesse consigliato, non l’avrei fatto. Che colpa ne ho se sono cresciuta con l’idea che la MGF fosse una cosa normale?”

Alla campagna nazionale contro la MGF si sono aggiunti programmi di conoscenza gestiti da organizzazioni locali. “Grazie al consulto di capi religiosi, politici, e medici, abbiamo capito che la Mutilazione era sbagliata, contraria alla religione, e causa di problemi matrimoniali,” spiega Soad Gaber Mohamed, vittima di MGF e originaria del villaggio di Ezbet Shahin. “Così, abbiamo cominciato a divulgare la voce tra vicine e parenti, e in tante hanno abbandonato la pratica con noi.” La mutilazione è raramente frutto della scelta di un singolo individuo e, prima di prenderne le distanze, è necessaria l’unanime approvazione della comunità; dilemmi del tipo, “Cosa penserebbero gli altri se mia figlia fosse l’unica a non essere operata?” e, “Riuscirà mai a trovare marito?” sono all’ordine del giorno.

Se è vero che la MGF non ha substrato religioso, e non è presente in Medio Oriente tranne che in Yemen, le compagini islamiste, in particolare durante il governo del deposto Presidente Mohamed Morsi, hanno tradotto la mutilazione in circoncisione e, riconducendola a un hadith del Profeta, cancellato i progressi fatti contro la MGF negli anni, seminando falsi credo tra le comunità musulmane. I villaggi a maggioranza cristiana, come il minuscolo Nazzlet Ghaddas, invece, hanno abbracciato con più facilità il messaggio predicato dai leader religiosi locali e, in molti, hanno bandito la pratica firmando una dichiarazione scritta.

Come forma d’intervento alternativo, e di successo, il teatro comico “crea uno safe space, per discutere la MGF e condividere la propria esperienza senza essere giudicati,” spiega Sabet. “Il nostro auditorio non deve vergognarsi di essere stato sottoposto a mutilazione o difenderla, ma lentamente è portato a pensare che sia un’idea sbagliata.” Ogni pièce si basa su frammenti di storie vere, che mostrano come la MGF sia una delle tante forme di violenze a cui sono sottoposte le donne, attraverso il contrasto tra generazioni che simula una diatriba tra dottore e medico tradizionale, e la necessità di ricorrere a MGF per limitare la promiscuità. “Le donne sanno che è per via della MGF che non provano piacere durante l’atto sessuale,” dice Haddad, giustificando la sua decisione di mettere in scena un altro atto solo al termine dello spettacolo su richiesta del pubblico, “ma non me la sentivo di mettere a nudo le vite private delle presenti e dire loro, ‘Così vivrete fino alla fine dei vostri giorni.’ Se vogliono parlarne, bene, altrimenti, non voglio compromettere il lavoro fatto per una singola scena.”

Parlare di MGF oggi non è più un taboo e sono moltissime le donne che, senza timore, rigettano una pratica dettata da ignoranza e falsi costumi. Alle donne che ancora dicono, “Volete che le vostre figlie siano come occidentali sempre di corsa dietro al piacere?” rispondono, “Vedrai che se cresci bene tua figlia, non succede.” Anche se, “Estirpare la MGF in Egitto richiederà tempo,” dice Haddad, “portare il caso Sohair di fronte a una corte e sviluppare diversi interventi e attività sul territorio sta servendo a far capire alla gente come ci siano tradizioni valide, da mantenere, e altre, come la Mutilazione Genitale Femminile, dannose e inutili sia per la scienza che per la religione, e perciò da abbandonare.”

Il dottor Fadl ha indosso il camice ed è tornato al lavoro, ma le donne egiziane non sono più in fila a chiederne il consulto.

(Campagna Benetton 2014)

TAG: diritti delle donne, egitto, infibulazione, mutilazione genitale femminile, orangeurhood, unhate, unwoman
CAT: Medio Oriente, Mondo, Questioni di genere, Società

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...