Giosquino: Josquin Desprez in Italia
I contemporanei lo paragonavano a Michelangelo. Per l’influsso che ebbe sulla musica del suo tempo e dell’epoca successiva. Io lo paragonerei piuttosto a Johann Sebastian Bach, per restare in campo musicale. Come Bach, Josquin Desprez opera una sintesi formidabile della musica che si fa nel suo tempo e getta le basi dello sviluppo ulteriore della musica, almeno fino all’avvento della monodia e poi del melodramma. Ma in realtà, le figure più complesse anche della musica monodica, per esempio Monteverdi, tennero presente la sua lezione. Monteverdi, infatti, non è inquadrabile nella sola pratica della monodia, il suo pensiero musicale resta fondamentalmente polifonico – anche qui come in Bach – anche quando sembra prevalere una voce. Insomma, Josquin è un gigante come ce ne sono pochi altri nella storia della musica. Quest’anno si celebra il cinquecentesimo anniversario della sua morte, avvenuta a Condé-sur-l’Escaut il 27 agosto 1521. Tre anni fa si è completata in Olanda la monumentale (30 volumi) pubblicazione di tutte le sue opere (NJE), impresa che è durata un secolo. Si affianca alle edizioni, ugualmente monumentali, di Bach, Mozart, Beethoven. Ma anche le case discografiche si sono date da fare. E naturalmente i musicisti che hanno eseguito e interpretato le musiche. appena uscito un cd di ARCANA molto particolare: è dedicato infatti all’avventura italiana di Josquin, tra Milano, Roma e Ferrara. L’omaggio è rivelato già dal titolo dell’incisione: Giosquino, Josquin Desprez in Italia. Allora si italianizzavano tutti i nomi, e Josquin diventa perciò Giosquino. Come più tardi, Luigi Vanvitelli, l’architetto della reggia di Caserta, che è figlio del pittore olandese Gaspar van Wittel. Handel in Italia si firmava Giorgio Endel, perché tanto gli italiani non pronunciano l’acca. E una volta naturalizzato cittadino britannico, nel 1735, scrive il cognome in inglese, George Frederick Handel, e non Georg Friederich Händel o Haendel.
L’ensemble Odecathon diretto da Paolo Da Col costruisce il suo concerto – perché questo bellissimo disco si ascolta come un concerto e ci si deve abbandonare ad ascoltarlo come se si stesse in una sala di concerto o nella navata di una chiesa – intorno a un capolavoro, tra i tanti di Josquin: la messa dedicata al Duca di Ferrara Ercole d’Este. A rendere esplicita la dedica – ma insieme a nasconderla nell’intreccio contrappuntistico della polifonia – Josquin ricava il cantus firmus della messa dal nome del dedicatario, Ercole d’Este. In latino: Hercules Dux Ferrarie (cone si scriveva il dittongo latino ae – Ferrari-ae – e come ancora oggi si pronuncia con la dizione ecclesiastica). Dalle vocali ricava le sillabe che denotano i gradi della scala guidoniana: RE UT (do) RE UT RE FA MI RE. È una messa monumentale. La varietà di soluzioni architettoniche che rispecchino le idee del testo sono infinite. Nel Kyrie il motivo è affidato al superius. Ma alla nona battuta (divisione moderna) il motto passa al tenor. Le altre voci, apparentemente intonano figurazioni più mosse. Ma in esse si scoprono varianti, diminuzioni, variazioni dello stesso motivo. Ciò conferisce al Kyrie una compattezza straordinaria, l’intera cattedrale musicale della messa è del resto costruita su un’unica idea: è veramente l’intera comunità dei fedeli che invoca la pietà del Signore. Nel Credo, alle parole “qui ex patre filioque procedit” superius e alto procedono omoritmicamente a indicare la reciprocità dello Spirito Santo con il Padre e il Figlio. Al Sanctus le quattro voci via via ascendono a simboleggiare l’ascesa dell’inno al cielo. A “pleni sunt coeli et terra” alto e basso cantano quasi in omoritmia e infittiscono le corrispondenze contrappuntistiche a indicare la pienezza dei cieli. Sorprendente il Benedictus in cui via via le quattro voci si scambiano il motto, a due a due, una fiorendo la melodia sull’altra. Questi accorgimenti saranno chiamati madrigalismi e creduti tipici del madrigale, ma come si vede, invece. La simbologia della scrittura musicale percorre la musica occidentale fin dai primordi della notazione musicale, a cominciare dal valore sacrale attribuito al numero tre, ritmo ternario, suddivisione ternaria, ritmo e suddivisione “perfetti”. Ancora Bach, nella Messa in si minore, ricorre al ritmo ternario per cantare l’incarnazione e la crocifissione, e alla parola crucifixus la figurazione delle note disegna una croce. L’Agnus Dei è da Josquin costruito sul retrogrado del motto. Oggi si direbbe che fa matematica, non musica. E invece fa musica, e musica altissima. La musica, infatti, non è solo percezione, ma la percezione di un risultato sonoro ottenuto magari con calcoli di contrappunto intricatissimi e sottilissimi tra la voci. L’orecchio non sente i calcoli, ma ascolta ciò che i calcoli producono. Diremo per questo che il calcolo distrugge la musica? Uno dei maestri del primo Quattrocento, Guillaume Dufay, ammiratissimo da Josquin, e venerato da Ockeghem, compositore a suavolta venerato da Josquin, compose nel 1437 un mottetto per l’inaugurazione della cupola del Duomo di Firenze progettata da Brunelleschi. Ebbene, il tenor del mottetto, ha le proporzioni intervallari che corrispondono alle proporzioni geometriche dell’intelaiatura della cupola. Artificio, matematica? E perché no? L’effetto è travolgente: un mottetto sublime, che riempie le orecchie la mente e il cuore, Nuper rosarum flores, e Santa Maria del Fiore si chiama il Duomo di Firenze. Josquin proviene da quella cultura. Ma, come tutti i grandi artisti, la rimodella. Rende ancora più invisibile l’artificio, vuole che la musica fluisca lieve come un’onda marina, soave come un vento leggero, naturale come un respiro, vuole anzi modellarla sul respiro umano.
È musica difficile, difficilissima, ma chi canta non prova disagio, la sente anzi naturale, come non potesse essere che come è: una musica che ha l’andamento del respiro umano. Stiamo attenti, dunque, quando critichiamo una musica di oggi a tirare fuori l’argomento che è cervellotica, artificiosa. Non è un argomento, non dimostra niente, non confuta nessun errore, è una petizione di principio che non si confrota con il dato di fatto: la musica che ne risulta. La musica va, infatti, giudicata per i risultati, e se a ottenere un meraviglioso risultato è un artificio dove sta il problema? Come se, parlando di poesia, fosse una sciocchezza, un compitino, per un poeta, scrivere un sonetto: due quartine con due sole rime, e due terzine anch’esse con rime obbligate, talora due sole, talora tre. Eppure da Dante a Petrarca a Foscolo a Baudelaire a Mallarmé abbiamo sonetti stupendi. Dunque, mettiamo subito le cose in chiaro: questa è musica difficile. Difficile sia da interpretare sia da ascoltare. Musica intellettuale, anche. Perché no? Da quando l’intelligenza è nemica dell’arte? Ma ciò non significa che questa musica, e la musica di oggi, non possa emozionare, catturare l’animo, conquistare il cuore. Anzi, il risultato, in Josquin, è di una tale bellezza sonora che non si può non restarne affascinati. I contemporanei lo paragonavano a Michelangelo, s’è detto. E se intendevano così definirne la potenza di penetrazione nell’intelletto di chi la legge, di partecipazione nelle corde più profonde del sentimento, se volevano cogliere, in questa musica, la sua capacità di colpire la fantasia dell’ascoltatore, avevano ragione. Ma è ancora poco. Questa è una musica di un tale miracoloso equilibrio, di una tale luminosa armonia, che l’impatto rasserena il cuore, illumina la mente: e allora il confronto più adeguato che sovviene è quello dell’Ariosto. Benedetto Croce, in quello che è forse il suo saggio letterario più bello e significativo, individua nell’Ariosto il poeta dell’Armonia, un po’ come lo sono nella pittura Piero della Francesca, Raffaello. Potremmo dire la stessa cosa della musica di Josquin. Forse, ma tali confronti sono sempre rischiosi, o addirittura fuorvianti, prima di Mozart, nessun musicista raggiunge una tale pienezza di equilibrio musicale, in cui tutti i sentimenti, tutte le passioni hanno spazio, ma senza che una travalichi l’altra. Come se il compositore, invece di viverle scompostamente, e rappresentarle con equivalente scompostezza, che so, restando nell’ambito di una cultura nordica, in questo caso fiammingo-tedesca, come fa un Grünewald, le guardasse invece dall’alto e le vedesse agire, e ne temperasse perciò l’irruenza, la violenza, e nell’equilibrio dell’azione musicale rispecchiasse l’equilibrio delle passioni. Aristotele vi dedica uno dei suoi problemi, il XXX, dedicato alla Malinconia, in cui vede la disposizione instabile dell’artista, del filosofo, capace d’interrogare le passioni senza lasciarsene dominare, perché il disordine, la patolgia, nascono quando invece ci si lascia possedere da esse, quando la bile nera, la melaina chole, invece di offuscare i diversi umori, che reggono l’equilibrio della mente, li invade, li annega, e allora si sprofonda nella pazzia. Albrecht Dürer vi dedica un’incisione mirabile, in cui disegna l’equilibrio instabile delle passioni, proprio ispirandesi al breve ma intenso trattato di Aristotele. Dürer è un contemporaneo di Josquin. Nella sua incisione possiamo intravedere su quali delicati, intricati, conturbanti sentimenti si regga l’equilibrio che ci appafre miracoloso di un’incisione, di un mottetto, di una messa. Non a caso il conturbante Michelangelo trovava il rivale tedesco troppo “matematico”. La Pietà Rondanini è in effetti l’esatto opposto della Malinconia di Dürer. Durero, come veniva chiamato in Italia. Nel cd, oltre alla messa, sono registrati alcuni mottetti del periodo italiano. Uno più bello dell’altro. Per esempio O Virgo prudentissima a 5 voci. Manca dunque il Josquin “profano”, quello della chanson, della frottola (per fortuna ci è risparmiato l’inflazionatissimo El grillo, frottola stupenda, ma che non rende ragione della complessità di Josquin ed è forse così famoso proprio per la sua apparente semplicità). Fanno eccezione due canzoni (frottole) a 3 voci presentate in veste strumentale, Fortuna d’un gran tempo e La Bernardina. Un mottetto, Inviolata, integra et casta, è presentato in due versioni, una a 5 voci e l’altra a 12. Nell’utile booklet annesso al cd, con una bella presentazione della musicologa Camilla Cavicchi, ci sono i testi della messa e dei mottetti. Paolo Da Col dirige l’Odhecaton, e partecipano alla registrazione i Gesualdo Six, e i gruppi strumentali La Reverdie (liuto, ribeca, arpa), e La Pifarescha ( shawm – ciaramella – e tromboni tenore e basso). Josquin si colloca proprio nel discrimine del passaggio dalle architetture polifoniche fiamminghe allo sviluppo del madrigale italiano, le cui radici si vollero un tempo vedere nella frottola, per dare al madrigale un carattere esclusivamente italiano, ma che più probabilmente vanno cercate in un adattamento italiano della chanson francese. Non a caso il suo avvio prevede il contributo di grandi compositori franco-fiamminghi: Adrian Willaert, Cipriano de Rore, Orlando di Lasso, Arcadelt. Se nella musica d’oltralpe l’interesse è volto all’architettura musicale, nel madrigale la parola comincia a pretendere una sua individualità. Josquin si trova proprio in mezzo a questo passaggio. L’architettura resta dominante, ma si piega anche a efficaci analogie simboliche per comunicare il senso di un testo. Proprio come in certa musica d’avanguardia del secondo dopoguerra, Boulez, Stockhausen, Nono. L’equilibrio tra architettura musicale e simbologia espressiva è dunque fondamentale per offrire un’esecuzione che rispetti l’incredibile complessità della scrittura polifonica. Paolo Da Col è perfetto nel raggiungere questo equilibrio. Altri interpreti privilegiano la bellezza del suono, la purezza dell’emissione vocale. Elementi indispensabili, ma non sufficienti a rendere il senso pieno di questa musica, capace, anche nei momenti di maggiore astrazione architettonica, di commuovere fino al pianto l’ascoltatore, per la bellezza appunto del suono, ma anche, o soprattutto, per il significato simbolico che l’architettura comunica. Non basta un ascolto ingenuo a cogliere tanta complessità. Chi può, e sia capace di leggere una partitura, se le scarichi dalla rete. Oggi è possibile farlo gratuitamente, visitando il sito IMSLP. Chi non sia in grado di leggere la musica, si legga attentamente le note del booklet e s’informi, inoltre, anche sulla rete, sulla figura di Josquin Desprez. Esiste una monografia in italiano di Carlo Fiore, Josquin des Prez, Palermo, L’Epos, 2003. Consiglio, anche, come introduzione, il ritratto che ne fa, assai preciso, in rete, Davide Daolmi, dell’Università Statale di Milano:
https://www.examenapium.it/meri/desprez/index.html
Ma poi, soddisfatte le istanze culturali: abbandonatevi all’ascolto. Non vi stancherete di riascoltare e riascoltare. Per chi, inoltre, volesse formarsi un’idea più completa della musica dell’epoca, consiglio il bel cofanetto di 34 cd pubblicato dalla Warner Classics, con musiche che vanno da Binchois a Obrecht. Oltre, naturalmente, a quelle di Josquin Desprez. Il cofanetto s’intola Josquin / and / The French-Flemish School. Da Amazon vi arriva in un giorno al costo di € 60,13. Oppure cercatelo nel più vicino negozio musicale. E che la grande polifonia vi illumini la mente e vi scaldi il cuore.
Josquin Desprez in Italia
Giosquino
Odhecaton, Paolo Da Col
The Gesualdo Six
Arcana A 489
1 cd
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