Topsy-turvy / oirartnoc la arepo’l

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12 Aprile 2022

Proprio non ci riesco a tacere. Proprio mi sento costretto a intervenire. Proprio non riesco a sopportare il maltrattamento dell’opera. Sono démodé, ma questo lo sanno tutti. Anche quella del povero Ciaikovskij rifiutato perché russo da una compagnia di balletto classico ucraino è un delirio ma quello che sto per raccontarvi è una follia maggiore.

Accade in quel di Detroit, ma colla complicità di ben due organizzazioni: Boston Lyric Opera e Spoleto Festival USA. Ma qual è il misfatto? Una cosa stravagante: rappresentare La Bohème dalla fine all’inizio, topsy-turvy, al contrario. Ma perché, direte voi, che male ha fatto l’opera per essere così maltrattata? Che senso ha cominciare dalla miserabile fine di Mimì e dal dolore generale sparso a piene mani da quel finale straziante inventato da Giacomo Puccini e dai poeti Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, secondo un preciso incedere drammatico? Per amore dell’happy end, anche quando non è previsto. Perché la gente che va all’opera, strafatta di Prozac, non dev’essere turbata da quella morte ingiusta e triste, ma andar via dal teatro colla leggerezza della goliardia e del duetto di Mimì e Rodolfo, climax del primo atto, con un magnifico do sovracuto che lascia tutti felici e contenti e che, se non ci fosse stato il tragico finale, lascerebbe sperare in un futuro pieno di bambini e dolci ritratti familiari. Però in fondo il finale è passato, e il futuro sta nel felice duetto d’amore, quindi i bambini si possono pure immaginare. Torta Mariage, festa sulla Senna e via. Fa chic.

La pensata del regista Yuval Sharon sembra aver riscosso un certo successo e lui stesso ha dichiarato alla stampa:

We need to explore and sometimes explode our idea of what opera is so that it can have a future. It seems like the perfect time to be undertaking an experiment like this.… a time where we have been questioning everything about society and art’s role in our society.

Abbiamo bisogno di esplorare e a volte spaccare la nostra idea di ciò che è l’opera in modo da assicurarle un futuro. Sembra che sia il momento perfetto per intraprendere un esperimento come questo… un momento in cui abbiamo messo totalmente in discussione la società e il ruolo dell’arte in questa nostra società.

Mah. Perché? Spacchiamo pertanto la sequenza temporale e percorriamola a ritroso. Per difendere l’opera, in pericolo di vita, aiuto, la salvi chi può, noi la facciamo al contrario, hai visto mai che potrebbe funzionare. Può sembrare piuttosto dada, tutto ciò, visto che si vuole rivoluzionare piuttosto che adattare un “vecchio” linguaggio e farlo sopravvivere. Io invece credo che sia piuttosto imbecille, in quanto non serve a niente. Ma, si sa, io sono un cretino e all’antica per cui se solo avessi espresso il mio pensiero nel paese della cifra e del clamore sarei già stato messo agli arresti se non condannato alla pena capitale. Però, allora, se uno avesse proprio voluto riavvolgere il nastro dalla fine verso l’inizio avrebbe dovuto iniziare dall’ultima nota e andare a ritroso, con tutta la musica capovolta, le parole “!Ìmim !Ìmim… !Oiggaroc. Ìsoc imradraug leuq…” eccetera.

Ecco! Questa sarebbe stata la versione corretta per capovolgere lo scorrere del tempo e fare un’operazione culturale di sicuro successo. Dal punto di vista concettuale avrebbe avuto un significato, la sfida dell’uomo per invertire il corso del tempo, la magica moviola per ringiovanire l’opera lirica, ormai ammuffito oggetto senza futuro.

Certo, la sfida sarebbe stata far imparare ai cantanti tutta l’opera al contrario e farli camminare, agire, indietreggiando e invertendo tutti i loro gesti. Non facile. E forse anche un po’ ostico il linguaggio, non solo per gli artisti ma anche per il pubblico, fruitore ultimo dell’operazione artistica, nonostante i sottotitoli proiettati, come oggi si usa. Anche perché, se uno avesse scelto i sottotitoli da leggere sulla spalliera della poltrona davanti nella lingua scelta, sarebbe dovuta essere al contrario anche la traduzione. Di certo avrebbe avuto ragione chi, da sempre, proclama che tanto i cantanti lirici non fanno mai capire niente quando cantano. L’operazione di cui il regista si è fatto carico non è per niente facile, se portata fino in fondo. Neanche Peter Sellars, il bad boy della regia d’opera americano, sarebbe arrivato a tanto, e nonostante lo sfracellamento di cabasisi che ha già provocato colle sue regie. Ciò che invece è stato realizzato è un omeopatico adattamento del mio rivoluzionario concetto dell’opera nella macchina del tempo a una più villana realizzazione invertendo il numero degli atti, dall’ultimo verso il primo. Voglio essere notato? Io vado a ritroso.  Sopra il cappotto porta la giacca e sopra il gilet la camicia porta le scarpe sopra le calze però poi quando passa ride tutta la città.

Questo fa il paio con quelle idee strampalate del direttore del Teatro Regio di Torino che voleva far scegliere i finali delle opere al pubblico, come se quelli previsti dai compositori e dai librettisti non andassero bene. Cosa non ci s’inventa per essere originali… A questo punto io farei un’intera stagione lirica con opere dove si scambiano gli atti, e forse anche le scene. Inaugurerei con La sonnambula in Algeri, di Gioacchenzo Rollini dove si apre regolarmente colla scena del porto e l’arrivo di Isabella che sbarca dalla nave dei pirati. La scena successiva, sorpresa, invece si svolge nel mulino svizzero con Amina che cerca l’anello suo facendo l’equilibrista sul cornicione a causa del sonnambulismo. Poi al secondo atto Isabella e il Conte Rodolfo in qualche modo s’incontrano e si scambiano le arie, lei canta “Vi ravviso o luoghi ameni” e il Conte “Per lui che adoro”, rivelando un’attitudine omoerotica che ci era stata celata dagli autori. E così via, con una kermesse di tutti i personaggi che si ritrovano in abiti e testi scambiati a fare i Grandi Kaimakan. Naturalmente con happy end, va da sé, dove si sposano tutti con tutti, perché non c’è più lieto evento di un matrimonio. Ecco, così si potrebbe rinnovare l’opera lirica e assicurarle un futuro.

Invece si preferisce banalmente capovolgere gli atti. Ma si sa che gli Americani, ultimamente, non brillano molto per iniziative. Forse anche i loro cervelli stanno subendo regressioni pericolose. Hanno iniziato il secolo nuovo con culture di cancellazione che stanno provocando vittime illustri, perfino padri della lingua inglese come Shakespeare. E noi, che siamo una colonia americana, dovremmo stare parecchio attenti. Saranno gli effetti secondari delle microplastiche ormai presenti anche nel piatto nazionale di hamburger e patate fritte?

Come disse, anni fa, una celebre attrice italiana, molto amata oltremare e pure premio Oscar, interrogata sulle nuove ipotesi della scoperta dell’America:

«A me hanno sempre insegnato che l’America l’aveva scoperta Colombo. Poi se non è stato lui io non lo so, e forse non lo voglio nemmeno sapere.»

Saggia donna.

 

TAG: boston lyric opera, Colombo, la bohème, Opera, Puccini, sellars, Shakespeare, spoleto festival usa, yuval sharon
CAT: Musica classica, Teatro

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