Dieci anni di Bru Zane: quanto piace la musica francese in laguna

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13 Ottobre 2019

Dieci anni fa Madame Nicole Bru, una delle donne più ricche di Francia, ha unito il suo nome a quello del casino Zane di Venezia: l’ha acquistato, restaurato e affidato a uno staff che è l’anima pulsante, sia scientifica sia organizzativa, del «Centre de musique romantique française». Da allora il Palazzetto Bru Zane, a San Polo, vicino alla Basilica dei Frari, ha portato avanti un’incessante attività di scoperta e riscoperta della musica francese del diciannovesimo secolo. Che siano capolavori o preziose rarità, l’importante è non fermare mai la ricerca e metterla il più possibile in pratica con concerti, rassegne, incisioni che diffondano ovunque le sinuose, enfatiche, spassose melodie di un periodo musicale tra i più gustosi e sottovalutati: i più scettici si ricredano con l’imperdibile cofanetto «The french romantic experience».

Culmine dei festeggiamenti il galà parigino dello scorso 7 ottobre, niente meno che il Théâtre des Champs-Élysées, con Chœur du Concert Spirituel e Orchestre de Chambre de Paris diretti da Hervé Niquet, nonché l’esilarante mise en espace di Romain Gilbert, che ha pensato i quindici brani in programma come sfida tra “commedianti” e “tragedianti” alle prese con arie dalla “Phèdre” di Lemoyne, dal “Faust et Marguerite” di Barbier, dall’“Adrien” di Méhul o dalla “Mascotte” di Audran (cavallo di battaglia di Olivier Py, ovviamente en travesti). Finale in festa con la versione di Lachnith del “Flauto magico”, “Les Mystères d’Isis”, e ovviamente Offenbach, “La Vie parisienne”, che ogni teatro del mondo dovrebbe avere in repertorio sempre, o almeno quest’anno per il bicentenario della nascita del compositore. Encore dall’opéra-bouffe “Les Chevaliers de la Table ronde” di Hervé, cavallo di battaglia del Palazzetto allestito nel 2016 con gran successo al Malibran di Venezia. Insomma per dirla con Offenbach “Le public aime l’art, c’est évident, mais il préfère l’art gai”, e il Palazzetto Bru Zane, quest’arte allegra e gaia sa dispensarla generosamente.

«Nessuno dieci anni fa avrebbe immaginato che la fondazione si sarebbe ingrandita tanto» commenta Alexandre Dratwicki, direttore scientifico del Palazzetto, ancora incredulo per il fatto che un’istituzione che si dedica a un repertorio così ristretto e specialistico abbia avuto una tale risposta di pubblico e stampa.

Perché secondo lei?

«Forse perché la gente resta colpita dai nostri principi, prima di giudicare le opere e i dischi che produciamo. Capiscono l’importanza di ridare una possibilità a questi lavori dimenticati, con il rischio che ci prendiamo di riscoprirli, a volte quasi insieme al pubblico e ai giornalisti in sala. Sempre meglio che rinunciare in partenza, lasciando per sempre queste partiture a prendere polvere in una biblioteca. Ovviamente non ci ritroviamo sempre davanti a lavori geniali, ma per fortuna non ci sono mai stati nemmeno dei disastri. Per noi conta trasmettere agli artisti e al pubblico il nostro entusiasmo: se l’artista crede in quello che sta facendo può trasformare qualunque melodia in qualcosa di memorabile, anche quelle che in francese chiamiamo “bluette”, godibili ma un po’ banali».

Come trasmettete agli artisti il valore di queste opere dimenticate?

«L’importante è non dare mai la sensazione di riportarli a scuola: non facciamo loro lezioni o corsi, i trattati scientifici li teniamo per noi. Ai musicisti diamo al massimo alcune indicazioni semplici e pragmatiche: un passaggio che di solito manca quando si cerca di collegare musicologia e musica pratica. Le indicazioni vengono sempre personalizzate: piuttosto che consegnare a tutti una lista di trenta consigli, ne diamo pressappoco la metà tenendo conto delle specificità di ognuno. Ovviamente serve conoscere bene gli artisti, ascoltarli e soprattutto amarli».

Questo atteggiamento appassionato e amichevole è vincente anche nella gestione di un’istituzione?

«Al Palazzetto siamo tutti come bambini che non cresceranno mai: resteremo sempre degli eterni adolescenti. Ma va bene così, preferisco che non ci siano protocolli burocratici, che tutti facciano tutto: io stesso preparo i caffè, faccio le fotocopie. Bisogna cercare di restare semplici. Spesso le persone sono complicate perché non conoscono altri modi per essere interessanti: alla passione serve semplicità».

Obiettivi per i prossimi dieci anni?

«Estendere la nostra attività a tutti i paesi possibili: per il momento abbiamo in programma Canada, Giappone, Cina, Stati Uniti, poi chissà. Vorremmo coinvolgere sempre più artisti, magari anche conosciuti e popolari per dare ai nostri progetti una dimensione diversa: può sembrare un meccanismo stupido ma funziona. Un progetto a cui tengo particolarmente riguarda nuove modalità di comunicazione delle nostre ricerche: video su YouTube, master telematici, canali che fissino il punto a cui siamo arrivati. Anche in questo caso ho in mente contenuti molto concreti, consigli e suggestioni su come funzionavano le cose nel diciannovesimo secolo: ad esempio cos’era allora il vibrato, come intendevano il tempo di un certo tipo di opera. Infine continueremo a lavorare sistematicamente sui compositori e sui generi».

Ad esempio l’operetta?

«Solo che di operette ce n’è a migliaia! Se si vuole lavorare seriamente sull’operetta bisogna mantenere l’impegno almeno per trent’anni. Tanti ne fanno una o due e poi passano ad altro».

E per quanto riguarda l’aspetto registico, qual è la vostra posizione?

«Nella Bibliothèque historique de la ville de Paris ci sono più di 1700 “livret de mise en scène” di opere dell’Ottocento, compresi titoli come “Carmen”, “Faust”, “Pelléas et Mélisande”. Noi cerchiamo sempre di dare ai registi tutta la documentazione possibile, per mostrare l’immaginario, lo spirito con cui un’opera è nata, ma non vogliamo certo riprodurre lo spettacolo originale. Chiediamo soltanto di non tagliare il testo, cantato o parlato che sia. Poi una lettura può essere moderna, perché no: gli spostamenti d’azione possono funzionare benissimo, basta che rispettino la musica, il testo e il soggetto. Il problema di queste operazioni, a volte, è che fanno dire all’opera il contrario di quello che dovrebbe dire».

Come sono i vostri rapporti con Venezia?

«Gli incontri che facciamo stanno coinvolgendo sempre di più la città, che ormai è ben consapevole della nostra attività. Un progetto a cui teniamo molto riguarda i bambini: ogni anno vengono da noi, a nostre spese, circa 1200 bambini da tutto il Veneto per seguire dei laboratori completamente gratuiti. Quanto alla Fenice, purtroppo, al momento non sembra possibile lavorare insieme».

Nel frattempo a Venezia la nuova stagione è già cominciata con un ciclo dedicato a Reynaldo Hahn, eclettico compositore venezuelano-francese intimo di Proust, che sarà celebrato con l’integrale delle sue mélodies in 4 CD in uscita questo autunno e, fino al 31 ottobre, con la mostra allestita al Palazzetto dal titolo “Venezia: Hahn, Proust, Fortuny”. A quanto pare, di materiale ce n’è in abbondanza anche per i prossimi decenni.

Immagine di copertina Palazzetto Bru Zane© Nicola Bertasi

TAG: Alexandre Dratwicki, Hervé Niquet, Nicole Bru, Palazzetto Bru Zane, Romain Gilbert, Théâtre des Champs-Élysées
CAT: Musica

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