La musica bisestile. Giorno 149. The Byrds

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18 Novembre 2018

La più grande band della musica WestCoast, capace di dare armonia e fluidità alla ghisa dei brani dei cantautori del folk più protervo, da Dylan a Phil Ochs, in quello che è stato probabilmente il loro capolavoro.

 

MISTER TAMBOURINE MAN

 

Nell’estate del 1976, il mio amico Antonio Mercuri mi portò con sé a Rimini, dove aveva dei parenti, per passare due settimane al mare senza spendere soldi. Per fortuna mia madre mi costrinse a portarmi appresso il mio sacco a pelo – non si sa mai. La spiaggia di Rimini, per me che avevo visto solo il Paradiso in Terra, ovvero il Lido dei Gigli a Lavinio, fu uno choc disgustoso. La puzza di quella spiaggia non la dimenticherò mai più, così come non dimenticherò scene di assoluta follia, gente ubriaca ovunque, moltitudini sudate, volgari ed arrapate che guaivano di sperma inespresso, machos ridicoli dai dialetti squittenti e cinepanettonici, droga ad ogni dove (e non l’erba inoffensiva che conoscevo io da Roma).

“Mr. Tambourine Man”, 1965

La mattina bagnini e poliziotti raccoglievano da terra lo schifo lasciato dalla movida: l’umido alle ambulanze ed alle civette, il resto ai secchi giganti dell’immondizia. Ma noi avevamo il nostro piccolo circoletto di autoctoni, e la notte, dopo aver dormito qualche ora, si andava a salutare l’alba sotto Torre Pedrera, sperando che non ci fossero guai. In quella località c’era una strada di collina che arrivava ad un semaforo sulla litoranea, ed i dementi tra o villeggianti usavano fare una prova di coraggio: scendere dalla collina a tutta birra, a luci spente, ed entrare sulla strada principale passando col rosso. Ovviamente, la maggior parte della gente normale, si fermava anche con il verde e guardava con grande attenzione l’eventuale arrivo di un qualche asteroide della pazzia, ma gli incidenti accadevano lo stesso, ed a volte erano mortali.

Noi intanto, sulla spiaggia, studiavamo. Perché a casa della zia di Antonio c’era un disco dei Byrds del 1965, “Mr. Tambourine Man”, che ci aveva letteralmente fuso il cervello. Roger McGuinn era uno che veniva dal country ed aveva tutta una seri di riff meravigliosi, e facili da suonare, mentre Gene Clark, che veniva dal folk politicamente super impegnato, aveva melodie alla Phil Ochs, alla Tim Hardin, alla Pete Seeger ed alla Bob Dylan: tonnellate di ghisa musicale, che però Gene, insieme a Roger e soprattutto a David Crosby, modellava con dei cori di una bellezza e complessità che non avevamo mai sentito prima. Ancora oggi quel disco, a mio parere, è tra i migliori dieci mai registrati nella storia del rock, ed è stato il punto di riferimento per tantissime band famose.

Dopo averlo ascoltato, molti brani di Dylan non potrete più ascoltarli nella versione originale. Ed era bellissimo, la notte, tutti intorno alla fioca luce di un lampione, seduti sul muretto che separar la spiaggia dalla strada, provare e riprovare quelle armonie, alla ricerca della perfezione che si prova, quando, in un gruppo, ognuno suon aqualcosa di diverso, ma lo ascolti come se fosse tutto un unico accordo… Quanto a noi, finì malissimo. Io baciai la cugina di Antonio e venni sbattuto fuori di casa, e vissi non so nemmeno io quante notti con il mio sacco a pelo in spiaggia, prima di rendermi conto che era meglio prendere un treno senza biglietto e rischiare l’arresto che restare in quell’inferno. Sicché quei cori non li ho ancora imparati, ed Antonio l’ha inghiottito la notte, nessuno di noi sa più che fine abbia fatto…

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CAT: Musica

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