La musica bisestile. Giorno 216. Luca Carboni

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21 Dicembre 2018

Per anni è stato l’eroe strafatto e in canottiera delle ragazzine italiane, ma aveva qualcosa da dire e scriveva musica davvero buona. Poi Lucio Dalla è scomparso dalla sua vita, e lui è finito a ripetere senza fine sempre le stesse tre armonie

CARBONI

 

Luca Carboni è stato certamente il punto di riferimento di un’intera generazione, un cantautore costruito da Lucio Dalla con grande cura e pazienza, dopo che l’aveva scoperto in Teobaldi Rock, una piccola band punk locale (vi ho aggiunto l’unico 45 giri che abbiano prodotto come quinto della mia selezione) che voleva forse suonare come i Decibel di Enrico Ruggeri, ma avevano decisamente meno tecnica e quasi nessuna creatività. Luca aveva già problemi di droga, ma non così gravi come negli anni successivi al suo successo commerciale, quando era considerato il “bellissimo” della scena musicale italiana ed era del tutto incapace di gestire la propria vita privata.

“Carboni”, 1992

Lucio Dalla e Gaetano Curreri (Stadio) gli insegnarono diverse nuove armonie, che andarono ad arricchire notevolmente la sua capacità creativa, fatta di testi lirici, giovanili, mai patetici, capaci di grande profondità (“Farfallina”, “Silvia lo sai”) e comunque mai melensi. Fin da subito, Dalla lo ha messo nelle mani di un management estremamente professionale, paterno, creativo ed intrusivo, che lo teneva in piedi per permettergli di suonare (specie in tour), che evitava di mandarlo alle interviste in stato di demenza (come accade da sempre, per esempio, a Vasco Rossi) e che, con gli anni, lo ha accompagnato nella disintossicazione e nella sua rieducazione.

Il guaio è che, distaccandosi da Dalla, dalla droga, dal giro degli amici di gioventù, la sua vena artistica si è completamente prosciugata. Da circa 25 anni le produzioni di Carboni sono penose, irrilevanti, superflue. Lui è andato avanti cantando i suoi grandi successi, scrivendo qualche canzoncina dimenticabile, costruita generalmente su un’armonia o due, ed il suo management ha fatto il resto.

L’ho conosciuto personalmente a San Gallo, in Svizzera, dove mi fu permesso di fare una grande intervista come lancio del suo tour europeo. Lo trovai estremamente stanco, ma simpatico ed interessante. Lo presentai come il successore della scuola bolognese guidata da Guccini, Dalla e Morandi, ma il suo management la prese male, così come prese malissimo il mio accenno ai suoi trascorsi di tossicodipendenza, ed ancora peggio la mia affermazione, secondo la quale, dopo questo album del 1982, il resto della sua produzione valesse zero.

Dissi a Luca Carboni che, al posto suo, avrei completamente cambiato genere. Invece di dirmi che la mia arroganza fosse ridicola, come sarebbe stato giusto, mi disse che ci pensava da tempo, ma non gli veniva in mente nulla di veramente valido. Continuo a credere che sia stato un grande artista, mi dispiace vederlo sul palco trasalire minchiate per l’estate, trasformato da quel bellissimo che era in un imbolsito cinquantenne senza vita. Ancora di più mi attacco a questo suo disco stupendo, che comprai trentasei anni fa, e che ancora ascolto.

 

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