La musica bisestile. Giorno 232. Beck

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29 Dicembre 2018

L’epigono dei perdenti, colui che aveva talmente puntato sul proprio aspetto da nerd da divenire uno di quelli che a Napoli vengono chiamati “un tipo soggetto”, e che si becca gli scherzi perversi e gli insulti di tutti…

MELLOW GOLD

 

Quando ho ascoltato per la prima volta il disco, mi sono insospettito perché avevo riconosciuto due frammenti presi da qualche altra parte. Erano talmente brevi da poterli separare dal resto, ma non lunghi abbastanza per ricordarsi da dove venissero. All’inizio la cosa mi aveva portato ad una fissazione, per cui presi a leggere tutto ciò che potevo su quel ragazzino poco più che ventenne, che da Los Angeles si era trasferito a New York per aderire al nuovo filone chiamato anti-folk (vedi Adam Green e prima ancora i Moldy Peaches, ed in Scandinavia l’incredibile Matt Burt), che nasce come evoluzione del low-fi – ovvero della musica suonata il più essenzialmente possibile, che poi, da Contriva e Low in poi, è stata talmente complicata da divenire il contrario di ciò che era all’inizio.

“Mellow gold”, 1994

Dopo solo un anno è tornato a Los Angeles con le idee chiarissime: i suoi primi dischi sono semplicemente l’eccezionale collage di minuscoli frammenti di altre canzoni, messi insieme in modo da formare un nuovo brano, completamente diverso dai frammenti originali. L’effetto è strepitoso, ed alla fine colloca il suo lavoro o nel bel mezzo della musica indie degli anni 90, o in un comparto tutto suo, nel quale la sua follia creativa sia salvaguardata ed incoraggiata, nonostante gli incidenti (essendosi messo a saltare come un pazzo durante la registrazione di un videoclip si fece talmente male alla schiena da costringerlo a cancellare ogni concerto per quasi cinque anni) e le cocenti delusioni (il suo “grande amore” lo piantò in asso tre minuti dopo che lui le aveva rivelato di aver aderito a Scientology).

In entrambi i casi la sua soluzione fu scrivere, nel breve arco di una settimana, un intero album. Nel secondo caso “Sea changes” è in assoluto il disco di Beck che è stato venduto meglio, all’interno della sua oramai trentennale carriera. Ho ragionato a lungo su quale disco offrire in questa lista, ed ho scelto il primo fatto dopo il ritorno a Los Angeles, perché è il più “puro”. In questo disco, a parte la batteria elettronica, tutto è registrato e copiato, persino alcune delle parti vocali. Con qualche eccezione, dovuta ai migliori amici di Beck, che avevano insistito per avere i propri cammei in “Mellow gold”, come la violinista Petra Haden, che suona con tutti i grandi della scena indie, dai Foo Fighters ai Weezer ed ai Green Day, o come il bassista Rob Zabrecky, che in realtà ha un grande successo come mago ed attore comico.

Con “Odelay”, il disco che ne fece una star internazionale, Beck aveva già guadagnato abbastanza da potersi permettere dei veri musicisti, sia in studio che dal vivo. Da lì in poi continuo ad adorare la sua produzione, ma mi sorprende di meno, e la distanza dalle origini low-fi si è fatta sempre più marcata. Nel frattempo Beck si è risposato, è diventato padre, si è calmato, lavora sempre meno. Dice che smetterà tra due anni, quando ne avrà 50. Anche Fabrizio De Andr* aveva detto qualcosa di simile, ma poi se ne dimenticò. Speriamo che Beck Hansen faccia lo stesso.

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CAT: Musica

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