La rivoluzione attuale del Fidelio di Beethoven
Correva l’anno 1805 quando al Theatre an der Wien (Teatro di Vienna) venne presentato per la prima volta il Fidelio (Op. 72b) di Beethoven (la prima versione – il cui titolo completo era “Fidelio, oder die eheliche Liebe”; quella finale fu presentata otto anni dopo, di molto accorciata in lunghezza arrivando agli attuali due atti), diretta da Ignaz Von Seyfried. In piena epoca napoleonica e a distanza di una decina d’anni dal Così fan tutte di Mozart (prima rappresentazione al Burgtheatrer di Vienna nel 1790) Beethoven presentava un’opera controcorrente e rivoluzionaria, ieri come oggi: il 7 Dicembre, come da tradizione, i milanesi e il mondo (anche per esigenze di visibilità in vista di EXPO) hanno celebrato l’apertura della nuova stagione del Teatro alla Scala proprio con il Fidelio. Assenti il Presidente della Repubblica Napolitano e il Premier Renzi, presenti il Sindaco Pisapia, il Ministro dei beni e delle attività culturali Franceschini, il Presidente del Senato Grasso e il Presidente della Regione Lombardia Maroni. A dirigere l’orchestra l’ormai indiscusso e amatissimo Daniel Barenboim (alla sua ultima direzione come maestro scaligero) e alla regia una strepitosa Deborah Warner capace di rendere contemporanea (attraverso i molti – più o meno velati – riferimenti moderni) un’opera ambientata in Spagna – Siviglia – nel XVII.
L’esecuzione perfetta ha accompagnato e assecondato le scelte registiche avvalorando la rivoluzionarietà dell’opera. Se Mozart mise in scena un dramma giocoso – ambientato a Napoli – smascheratore delle infedeltà degli amanti in una società votata alla troppa leggerezza – Don Alfonso si giustificava dicendo di aver agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi, le coppie si ricompongono come in origine e tutti cantano la morale: “Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa” – Beethoven, con il suo singspiel in due atti ribalta per ben due volte la visione. Un Orfeo e Euridice al contrario dove è la moglie innamorata – Leonore-Fidelio – a operare il tutto: è lei la protagonista (primo ribaltamento: è una donna l’eroina, non un uomo), è lei a dover scendere nelle profondità della terra per ritrovare l’amato Florestan. Per meglio raggiungere il marito nelle prigioni si traveste da uomo, diventa Fidelio e attira su di sé l’amore di Marcellina, figlia del carceriere Rocco (la Warner fa baciare le due soprano, sic!).
Fra i riferimenti “contemporanei”: l’azione scenica si sviluppa sempre in un carcere senza grate, in un sottosuolo a più livelli, dove la luce arriva tenue dall’alto: la scenografia riproduce probabilmente una grande struttura industriale dismessa. Fra i prigionieri si trovano anche dei naufraghi neri, profughi salvati nel mediterraneo(?). Nell’immagine il «cattivo» Don Pizarro veste una giacca nera doppio petto e un maglione nero girocollo (ricorderà qualcuno?) è responsabile dell’incarcerazione di Florestan – probabilmente per motivi ideologici. La liberazione finale avviene come se fosse caduto il muro di Berlino, all’ultimo e più profondo livello della prigione.
È il trionfo dell’amore coniugale. Il senso dell’opera è sì politico – come molto critici hanno sottolineato dato il tema della prigione e dell’ingiustizia – ma in una declinazione ben diversa: il “senso politico” è la verità dell’amore che diviene liberazione dall’ingiustizia (secondo ribaltamento: l’amore ne viene rinforzato non perché abbia attraversato un fallimento ma perché ha passato egregiamente la dura prova). È l’amore senza ideologia che sconfigge il senso ideologico sia della rivendicazione sia dell’incatenamento della libertà. Per questo Beethoven può essere riascoltato ancora oggi come rivoluzionario nonostante il declino dell’istituzione politica e dell’istituzione dell’amore consacrato (che accetta di tutto, anche il bacio con Marcellina).
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