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Musica

“Nick Drake e Pink Moon: una disgregazione” di Ennio Speranza

di Giovanni Natoli
25 Marzo 2022

Ancora oggi, almeno in Italia il nome di Nick Drake è un nome segreto. Per quanto anche nel nostro paese la sua fama si sia allargata nel corso degli anni e la bibliografia sulla sua vita e le sue opere abbia trovato notevoli autori in grado di trattarlo, gli appassionati sono sempre un numero ristretto. Non si sa se per una comunque ridotta comunicazione o perché la natura stessa della sua opera porta a una ritrosia inevitabile. La musica del cantautore inglese, che realizzò solo tre album a cavallo tra i 60 e i 70 prima che sopraggiungesse la morte a quasi 28 anni, è talmente intima che probabilmente l’ascoltatore ideale per Drake è di natura riservata. Ascoltare Nick Drake assomiglia a un’esplosione controllata. Il suo universo artistico è devastante e quieto allo stesso tempo. Dopo la biografia di Stefano Pistolini (“Le provenienze dell’amore” Fazi 2006) e la formidabile raccolta e analisi di testi di Paola De Angelis (“Journey to the stars”, Arcana 2007) è uscito nel 2020 questo libro di Ennio Speranza per i tipi della Galaad “Nick Drake e Pink Moon: una disgregazione” . Se già la De Angelis, nello scavare nei testi del meraviglioso artista inglese tendeva a non subire il fascino di una vita così speciale su cui si poteva ricamare una sorta di esistenzialismo appetibile per molti posers, il volume di Speranza vuole programmaticamente allontanarsi da questa tentazione. Nonostante i media trattino raramente il tema “Nick Drake”, eccezione fatta per la Rete dove i contributi non ufficializzati da testate certificate abbondano, l’arte del cantautore di Tanworth In Arden raccoglie oggi i suoi frutti più maturi ed è influente presso più di una generazione di artisti che in lui han trovato l’alfiere dell’intimismo più intenso ma anche spietato e la possibilità di trattare di cose “ultime” senza gridare; affidandosi alla persuasività del distacco e della solo apparente “freddezza”, che in verità nasconde un cuore rovente. Speranza prende in esame l’ultimo album realizzato in vita da Drake, quello che molto probabilmente è il “vero” disco di Nick Drake. Realizzato in segreto, solo voce e chitarra, “Pink Moon” potrebbe sembrare un lavoro di un Robert Johnson cresciuto nell’ovattato mondo della buona borghesia di campagna, fatta di salottini con divani trapuntati, pianoforte di famiglia, ottima educazione, aplomb british. Speranza ci tiene a dichiarare sin dalle prime pagine che per capire e amare la musica del compositore di capolavori come “River Man”, “Northern Sky”, “Things behind the sun” non bisogna cedere alla tentazione di abbandonarsi a una biografia fatta di solitudine, malinconia se non tristezza. In primis perché già troppi sono gli artisti pop di cui siamo più ammaliati dalle cosiddette vite “speciali”, meglio se disperate. troppe iconografie, troppi volti vissuti, troppa droga, troppi tatuaggi e troppe sigarette tenute di traverso. Ma a discapito della musica che, anche nei casi più apprezzabili, viene sempre in secondo piano. E sarebbe da aprire un discorso sulla iconografia, un fenomeno moderno a cui in parte Drake (artista di nessuna fortuna in vita) venne risparmiato. Speranza ha ben capito, come ogni vero ammiratore di Nick Drake, che tutto quello che possiamo avere dal cantautore lo abbiamo dalla sua musica, dalla particolare forma che caparbamente e meticolosamente ha ricercato, dagli straordinari risultati sulla chitarra, le cui accordature misteriose e il finger picking implacabile e scuro sono tutt’or impareggiabili. E dalla voce; quella voce così fragile e permeante allo stesso tempo, smokey e adolescenziale all’unisono. Talmente speciale che è quasi assurdo cercare di fare delle cover di Nick Drake. Infatti l’autore dichiara: “(…) e, oltre al talento, accade che nella voce di Nick Drake il mezzo, per così dire è il messaggio e non c’è voce che possa sostituirsi alla sua nel cantare quelle canzoni e quelle parole. Come in una lingua separare il significato dal significante (…)Vuol dire perciò che non è possibile reinterpretare a proprio piacimento le canzoni di Nick Drake? Ovviamente no, ma si corre un certo pericolo(…).” Dicevo che Speranza si sbarazza, letteralmente, della biografia dell’artista per entrare ne cuore del suo disco più prezioso (mi chiedo però quale sia il disco non prezioso di Nick Drake…), più “Nick” di tutti. La gran parte del libro analizza tutti i brani di questo album che appare fatto di lacerti di canzoni e che invece, come Speranza ribadisce più volte, sono perfettamente compiuti nella loro apparente forma di appunti. Per ogni canzone dei 29 minuti di “Pink Moon” abbiamo analisi delle strutture musicali e dei testi, con esempi in partitura e in tablature dei momenti più salienti di ogni canzone; non trascurando di ricavare anche le influenze che sono presenti nella musica. Influenze che poi, come un mago, Drake sembra fare dissolvere in una forma che non si può confondere con nessun altro. Il grande mistero di questo meraviglioso ragazzo, morto giovane probabilmente senza velleità suicide, alto, bello, colto ed elegante, raffinato sino al midollo sta tutto dentro la sua musica, come ogni altro grande artista che si rispetti. Speranza riesce perfettamente a comunicarcelo. Personalmente il mio incontro con Nick Drake è avvenuto prima con la musica, poi con la biografia. E posso garantire che le sue canzoni sono state completamente soddisfacenti per cadere nella sua spirale, che ben altro contiene che  l’infelicità. Bellezza, semmai, non tristezza. Che di sole e caldo Drake è stato generoso dipensatore, più di quello che comunemente si afferma cedendo ai soliti luoghi comuni.

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