Ad Aix-en-Provence il festival sa prendersi ancora dei rischi

26 Luglio 2023

Difficile trovare in Europa un altro festival d’opera con una programmazione ricca e coraggiosa come ad Aix-en-Provence, dove nella settantacinquesima edizione appena conclusa si sono alternate ben sei nuove produzioni e tre opere in forma di concerto. Quello che evidentemente attira sempre più spettatori ad Aix – quest’anno 75 mila, più cinque percento rispetto all’anno scorso – è l’approccio della direzione artistica di Pierre Audi, che non si limita a presentare i soliti titoli ma cerca di allargare il repertorio, oltre a commissionare nuovi lavori.

Ogni produzione aveva più ragioni di interesse: da citare almeno Wozzeck con Simon Rattle e la London Symphony, nonché la regia di Simon McBurney (disponibile su Arte), un Così fan tutte interamente ripensato da Dmitri Tcherniakov, la prima collaborazione del festival con la Comédie-Française per L’opéra de quat’sous di Brecht-Weill-Hauptmann con regia di Thomas Ostermeier e Maxime Pascal sul podio, e ancora la nuova opera di George Benjamin e Martin Crimp, Picture a Day Like This, undici anni dopo il successo storico di Written on Skin. Non tutto ha funzionato alla perfezione, ma si può dire senza dubbio che ognuno degli appuntamenti valeva il viaggio.

Così fan tutte, fotografia di Monika Rittershaus

Partiamo da quella che è stata probabilmente l’operazione più discutibile, vale a dire il Così di Tcherniakov, secondo cui la mozartiana “scuola degli amanti” è in realtà una resa dei conti tra coppie di lungo corso – ragione per cui servivano cantanti over cinquanta, per rendere più evidente l’impostazione. La scena concepita dal regista, come sempre un interno, prepara fin da subito lo spettatore alla borghesissima battaglia dei sessi cui assisterà: riferimenti non casuali sono Scene da un matrimonio di Bergman, Mariti e mogli di Allen, con l’Albee di Chi ha paura di Virginia Woolf? che dà la sua benedizione dall’alto. Anche Michael Haneke aveva impostato in modo analogo il suo Così a Madrid nel 2013, ma Tcherniakov si spinge oltre.

L’idea drammaturgica è che le due coppie Fiordiligi-Guglielmo e Dorabella-Ferrando stiano cercando di ravvivare il loro rapporto con un weekend in una sorta di centro gestito da Despina e Don Alfonso, anch’essi sposati ma non meno disfunzionali di quelli di cui si dovrebbero occupare. Lo scambio di coppie, perciò, non è più l’inverosimile inganno dei due uomini a danno delle loro compagne, ma è parte di un percorso terapeutico di cui tutti sono consapevoli anche se, come si intuisce presto, nessuno è davvero convinto. Le prime a tentennare sono le due donne, divertite dalla situazione fino al quintetto del (finto) commiato, “Di scrivermi ogni giorno”, salvo poi cambiare idea quando i loro compagni si presentano mascherati per passare dalle parole ai fatti. Anche i due uomini entrano in crisi quando si rendono conto di non riuscire a contenere la loro gelosia, mentre il cinico burattinaio Don Alfonso osserva divertito la scena e Despina, sempre più affranta, ci beve su.

Tutto funziona a meraviglia fino al monologo di Don Alfonso del secondo atto, quando lo spettacolo vira all’improvviso verso il thriller, con Don Alfonso e Despina che cominciano a minacciare i quattro malcapitati con un fucile. Che Tcherniakov non consideri il Così come una semplice opera buffa è corretto e assai stimolante, ma questo finale alla Funny Games non regge, perché l’aderenza al testo del libretto, oltre che musicale, che fino a quel momento non era solo pertinente ma illuminante, si fa nelle ultime scene confusa se non casuale, lasciando molte perplessità nel pubblico. Ma un finale sbagliato non invalida in alcun modo le due ore precedenti dello spettacolo, con la loro vivacità e intelligenza.

A dirla tutta l’aspetto più debole della produzione è quello musicale: il direttore Thomas Hengelbrock non controlla a dovere l’imprecisa Balthasar Neumann Orchestra né lo sgangherato coro dell’Académie Balthasar Neumann (direttore, orchestre e coro si rifaranno però con una buona Missa Solemnis eseguita al Grand Théâtre de Provence). I membri del cast compensano con carisma e grandissime capacità attoriali delle difficoltà più o meno evidenti: i migliori dal punto di vista vocale sono Claudia Mahnke (Dorabella) e Russell Braun (Guglielmo), se la cavano Georg Nigl (Don Alfonso) e Nicole Chevalier (Despina), mentre non reggono le loro arie né Rainer Trost (Ferrando) né Agneta Eichenholz (Fiordiligi).

L’opéra de quat’sous, fotografia di Jean-Louis Fernandez

La più importante novità di Aix di quest’anno è stata però l’apertura alla prosa, o meglio a uno “Stück mit Musik” (pièce con musica), cioè L’opera da tre soldi: musiche di Kurt Weill, testi di Bertolt Brecht riadattati a partire dalla traduzione di Elisabeth Hauptmann della Beggar’s Opera di John Gay, qui in una nuova efficacissima traduzione francese di Alexandre Pateau, dove i soldi del titolo non sono più tre ma quattro. La versione messa in scena da Thomas Ostermeier e Maxime Pascal era quella del 1928, a cui è stato aggiunto il song “Pauv’ Madam Peachum”, scritto nel 1937 per una ripresa francese.

Già Orio Vergani, recensendo la prima Opera da tre soldi di Strehler del 1956, si interrogava a proposito di questo “spettacolo dallo strano ritmo sempre incombente anche se lentissimo”. Oggi siamo invece abituati a letture meno scollate, più incalzanti e uniformi, come quel miracolo di coerenza drammatica che è l’edizione curata da Barrie Kosky nel 2021 per il Berliner Ensemble. Invece qualcosa si incaglia nell’attesissima lettura di Thomas Ostermeier, un regista che ha sempre affrontato i suoi lavori tenendo a mente la lezione brechtiana: che non è solo interazione col pubblico, sfondamento della quarta parete, recitazione virgolettata, ma una vera e propria chiamata alle armi che non può lasciare indifferenti, coinvolgimento etico-politico di chi ha smesso di distrarsi con l’inganno della finzione e delle sue facili emozioni. Invece, ora che Brecht diviene l’oggetto e non più lo strumento, Ostermeier non sembra andare oltre un pregevole lavoro di messinscena, tanto ben fatto quanto superficiale. Molto più interessante e a fuoco la direzione di Pascal del suo ensemble Le Balcon: trascinante, brusca, a tratti persino violenta, senza quei sentimentalismi cui certi song si presterebbero.

Di alto livello le interpretazioni degli attori della Comédie-Française, alcuni dei quali sono anche ottimi cantanti, soprattutto le donne, a cominciare dalla Polly di Marie Oppert (che canta anche “Jenny dei pirati”, di cui spesso si appropria l’interprete di Jenny delle Spelonche, in una tradizione che comincia con Lotte Lenya e continua con le nostre Milly e Milva), memorabili anche la Jenny di Elsa Lepoivre e la Mrs. Peachum di Véronique Vella. Trionfo per il Peachum di Christian Hecq, colonna portante del teatro francese, che a essere onesti più che cantare parla, ma sulla presenza scenica non si discute. Meno magnetico invece il Macheath di Birane Ba, un “Mack La Lame” un po’ troppo in balia degli eventi per la parte che deve sostenere.

Picture a Day Like This, fotografia di Jean-Louis Fernandez

Dopo il repertorio solito e quello insolito, il nuovo. Picture a Day Like This, l’opera da camera di Benjamin e Crimp, non delude le aspettative. Questa triste favola racconta di una donna che cerca di riportare in vita suo figlio. Per farlo, deve trovare una persona felice che le regali un bottone della sua camicia. Ma nel corso della sua ricerca incontra una serie di personaggi che, nonostante le apparenze, non sono mai veramente felici. Alla fine si ritrova nel giardino di Zabelle, sorta di presenza ectoplasmatica grazie a cui la donna capisce che quello strano viaggio non è stato altro che l’elaborazione della sua perdita e del suo dolore.

Il lavoro di Benjamin è particolarmente elaborato nella scrittura vocale, sia per definire gli stati d’animo della protagonista – che attraversa tutte le fasi del lutto, dalla negazione alla rabbia all’accettazione finale –, sia per caratterizzare i curiosi (e divertenti) personaggi che incontra: la coppia poliamorosa, l’artigiano, la compositrice di successo con il suo assistente, la misteriosa ed evanescente Zabelle. Dal punto di vista delle atmosfere sonore si avverte una maggiore uniformità, perché in fondo tutto il percorso ha un unico punto di vista che avvolge tutto: quello della donna sofferente. È Benjamin stesso a dirigere l’ottima Mahler Chamber Orchestra. Intensa e piena di preziose finezze l’interpretazione della protagonista Marianna Crebassa. Semplice ma ben realizzato lo spettacolo di Daniel Jeanneteau e Marie-Christine Soma. L’opera è coprodotta dal Teatro San Carlo di Napoli, che si aggiunge a Royal Opera House, Opéra national du Rhin, Opéra-Comique, Théâtres de la Ville de Luxembourg e Opera di Colonia.

 

Immagine di copertina di Jean-Louis Fernandez

 

 

TAG: Dmitri Tcherniakov, Festival di Aix-en-Provence, George Benjamin, Marianna Crebassa, Martin Crimp, Maxime Pascal, Opera, teatro, Thomas Hengelbrock, Thomas Ostermeier
CAT: Musica, Teatro

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