Il dilemma dell’elettore prigioniero

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8 Dicembre 2017

La campagna elettorale per le politiche 2018 non è ancora ufficialmente cominciata, ma già si sentono i primi appelli al voto utile: alcuni leader di partito invitano gli elettori a votare non per la propria lista preferita, ma per quella che è in grado di impedire la vittoria della lista più “indigesta”.

Questa strategia non avrebbe molto senso in presenza di un sistema elettorale puramente proporzionale; ma si giustifica grazie alla previsione (inserita appositamente nel Rosatelllum) che un terzo dei seggi parlamentari sia attribuito con il metodo uninominale, nel quale vince il candidato che prende un voto più degli altri. L’elettore è così posto di fronte alla scelta tra “seguire il proprio cuore” (in senso politico) oppure “turarsi il naso” per evitare il peggio e, poiché il voto uninominale “trascina con sé” quello proporzionale (nel senso che l’elettore non può praticare il voto disgiunto e la scelta del candidato di collegio coincide automaticamente con la scelta della lista o coalizione che lo sostiene), il voto utile finisce per condizionare i risultati anche per gli altri due terzi dei seggi.

La situazione dell’elettore è molto simile a quello che in Teoria dei Giochi si chiama dilemma del prigioniero. In questo gioco, due sospettati di un crimine vengono arrestati e tenuti in celle separate, senza poter comunicare tra loro; viene loro detto che, se nessuno dei due confessa il crimine, verranno entrambi condannati a un anno di carcere; se tutti e due lo confessano la pena sarà per entrambi di cinque anni mentre, se solo uno dei due confessa, questi verrà rilasciato, mentre l’altro dovrà scontare dieci anni in cella. Se i due prigionieri potessero mettersi d’accordo, la scelta più conveniente per entrambi sarebbe quella di tacere; ma, sospettando che l’altro possa confessare, a ciascuno conviene fare altrettanto, in modo da rischiare al massimo la pena di cinque anni invece che quella di dieci.

L’elettore che si sente rappresentato da una lista poco “quotata” nei sondaggi è in una posizione analoga a quella del prigioniero: se avesse la certezza che un numero sufficiente di elettori del suo collegio voteranno quella lista potrebbe farlo anche lui e vedere realizzato il risultato migliore, cioè l’elezione del suo candidato preferito; ma, se sospetta che molti di loro si orienteranno su una lista a lui sgradita, è portato a praticare il voto utile puntando a un risultato non ottimale, ma comunque migliore della presunta alternativa (ad esempio, il potenziale elettore della nuova lista “Liberi e Uguali” potrebbe votare Pd per impedire la vittoria del candidato della destra nel suo collegio).

L’aspettativa sul comportamento di voto altrui è quindi determinante per decidere quello dell’ elettore prigioniero: razionalmente, costui dovrebbe optare per una lista già dotata di un buon consenso e che sente “meno lontana” da sé rispetto alle altre ugualmente forti. Tuttavia, non sempre la scelta elettorale è frutto della razionalità: può anche capitare che alle urne i cittadini si lascino guidare dall’emotività, ad esempio esprimendo un voto di protesta contro la lista data per favorita. E’ proprio ciò che è accaduto nelle elezioni del 2013, quando tutti i pronostici garantivano la vittoria del Partito Democratico (anche grazie al premio di maggioranza previsto dal meccanismo elettorale di allora, il cosiddetto Porcellum), mentre alla fine la lista più votata risultò essere quella del Movimento Cinque Stelle.

Questa imprevedibilità rende dunque fallace l’argomento del voto utile: l’elettore “razionale” potrebbe infatti trovarsi ad aver votato inutilmente una lista che non gli corrisponde appieno, solo perché condizionato da sondaggi poi smentiti dalle urne – o, peggio ancora, da un’aspettativa creata ad arte dai sofisticati algoritmi della propaganda social. In quest’ottica è probabilmente più saggio che ciascun elettore esprima un voto convinto, pienamente rappresentativo e indipendente da quello altrui: come il prigioniero audace che ha scelto di non confessare, potrebbe avere la gradita sorpresa di un esito favorevole.

Dopotutto il voto, libero e segreto secondo la nostra Costituzione, non dovrebbe sottostare ad alcun tipo di ricatto: quello di chi non è riuscito a conquistarsi la nostra fiducia, ma vuole estorcerla colpevolizzandoci, è il più meschino che si possa immaginare

(immagine dal web)

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CAT: Parlamento

2 Commenti

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  1. marco-baudino 6 anni fa

    Gentilissima Silvia, tagliamo la testa al toro??? Le mando quanto ho commentato ad un articolo di Fusco…

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  2. marco-baudino 6 anni fa

    Paroparo… “Ripropongo una idea: e se venisse messo un quorum alle elezioni politiche? Nel senso che se non si raggiunge la maggioranza degli aventi diritto, le elezioni non valgono? E costringono i partiti a rivedere programmi ma soprattutto i candidati? Ad libitum, fino a quando non vengono presentati candidati graditi al popolo e non ai partiti… Ostia DEVE avere aperto gli occhi: chi sta amministrano, chiunque sia, lo sta facendo con il 16% dei consensi. Questa NON è democrazia! Altro che stracciarsi le vesti per la recrudescenza di fenomeni estremisti!! E sembra tutto calcolato. Le regole elettorali non sono adeguate, il Rosatellum un abominio, il tutto a vantaggio di eletti sempre meno rappresentativi, incapaci a risolvere la situazione. Che vortice verso il disastro. Quorumquorumquorum, allora, anche alle politiche, per responsabilizzare elettori ed eletti. Proviamo a pensarci? Così com’è non va!!! È in pericolo la democrazia vera. Altro che “pericolo fascista” , messo in piedi dagli stessi che stanno facendo disaffezionare il popolo elettore”.

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