Le proposte di legge abbandonate: un prezzo da pagare per l’instabilità politica
Quasi tutto tace a Roma in questi giorni di pausa natalizia. Il Parlamento tornerà a riunirsi nella seconda settimana di gennaio: il 9 la Camera ed il 10 il Senato.
Ma la politica, si sa, non dorme mai. E anche quando tutto sembra tranquillo, dietro la calma facciata si nascondono frenetiche attività di incontri, riunioni e preparazione dei prossimi critici mesi per i partiti italiani e non solo.
Se, quindi, i lavori prettamente istituzionali sono fermi, lo stesso non si può dire della spasmodica attività dei politici, che fra dichiarazioni sui social e dichiarazioni alla stampa rimarcano la propria posizione sulle questioni più rilevanti: modifiche alla legge elettorale e prossime elezioni.
I partiti maggioritari, PD e M5S, con differenti opzioni, chiedono con estremo vigore che si arrivi velocemente al voto. Lo stesso Orfini, presidente del Partito Democratico, ha affermato ieri in un’intervista al Corriere della Sera che “Gentiloni ha detto che il suo è un governo di servizio al Paese, ma una volta completato il percorso è giusto restituire la parola ai cittadini”, auspicando che si riesca a modificare la legge elettorale con un ampio appoggio politico, cercando di uniformare i due diversi sistemi vigenti per le Camere, ed andando alle urne entro giugno 2017. Di parere contrario il Presidente Mattarella, che, neanche troppo velatamente, cerca di riportare tutti sul binario del termine naturale della legislatura.
Ciò che è chiaro agli occhi di tutti è che, in qualsiasi caso si proceda, l’instabilità che caratterizza il nostro sistema politico ormai dall’inizio della campagna elettorale per il referendum del 4 dicembre – per parlare solo dei mesi più recenti ovviamente – ha avuto, e continua ad avere, numerose conseguenze.
Come avevo già scritto sul disegno di legge sulla concorrenza (qui), in mancanza di volontà politica ed in presenza di un sistema di bicameralismo perfetto, è molto semplice che le proposte ed i disegni di legge si perdano nei meandri dei lavori delle Commissioni e del passaggio fra le Camere. Questo è ancor più vero quando uno Stato si trova, come nel nostro caso, in un costante vortice di incertezza e cambiamento e, soprattutto, quando è proprio il partito di maggioranza, che ha promosso numerosi di questi disegni di legge durante la sua azione di Governo, a pretendere che si vada al voto il prima possibile.
L’associazione Openpolis ha pubblicato un’analisi delle proposte di legge che rimarranno sospese qualora la legislatura finisse prima, cosa che potrebbe facilmente accadere anche se la legislatura completasse il suo corso. L’attuale Governo Gentiloni, infatti, non avrebbe una forza politica e rappresentativa della volontà degli elettori tale da poter portare avanti alcune delle più insidiose battaglie intraprese dal Governo Renzi.
Secondo Openpolis i disegni sospesi sono ben 74, di cui 22 fermi alla Camera e 52 al Senato. Fra questi ve ne sono numerosi riguardanti i diritti civili e alcune misure di welfare: il ddl sul reddito di inclusione, l’introduzione dello ius soli, l’introduzione del delitto di tortura, la nuova normativa sul divorzio breve, il provvedimento sull’attribuzione del cognome ai figli. Inoltre sono bloccati da mesi anche il ddl sull’omofobia, sepolto nelle commissioni dagli emendamenti della Lega Nord, ed il ddl sul reato di tortura, sospeso a luglio poco prima del voto finale al Senato.
Da cittadini, forse, dovremmo chiederci se è sempre giusto che, in nome della continua ricerca di una (fuggevole) stabilità politica, si abbandonino, ogni volta, progetti, proposte e disegni di legge e di politiche pubbliche positivi per la società. A maggior ragione se essi riguardano i nostri diritti civili, che dovrebbero rappresentare obiettivi condivisi da tutte le forze politiche.
La risposta più immediata che potremmo darci è: “That’s politics baby”; ma siamo pronti, da cittadini, a farcela bastare?
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